massimopiero

Arrestato


“Eppure lei è sempre stato un bravo ragazzo, si è sempre comportato bene fino ad ora, nel modo giusto, per tutte le cose. Ha sempre fatto quello che si deve, quello che è corretto fare” E mentre parlava non mi guardava mai negli occhi, come se parlasse al muro, alla foto del Presidente del Consiglio appesa, all’accendino con il quale si stava accendendo la sigaretta. Ma, siamo in un ufficio pubblico, non è consentito fumare qui. “Io lo so che non ha mai fatto colpi di testa, ragazzate, nemmeno quando l’età sarebbe stata consona, quando ne avrebbe avuta una (seppur parziale) giustificazione dovuta alla beata gioventù, all’inesperienza”. Si,  stava proprio fumando una sigaretta, se la fumava e la guardava, scuotendo il capo, fino a quando, come per darmi la stoccata finale, aveva, per la prima volta da quando ero entrato in quella stanza, rivolto il suo sguardo verso di me, fisso. “E’ un po’ una delusione quindi, il fatto che lei si trovi qui, ora…..”. Ma forse, è bene raccontare la storia dal principio.Tutto è iniziato con una raccomandata, di quelle che esci di casa nel pomeriggio e trovi nella cassetta delle lettere una cartolina giallo sbiadito. Pensi a quando cavolo è passato il postino e perché non ha suonato, visto che sei stato tutta la mattina in casa, costringendoti adesso ad andare a ritirarla da solo all’ufficio postale. Mattino dopo, ufficio postale, un po’ di tempo per capire il tipo di numero con la sigla giusta, un’oretta di attesa, il numero che compare su un display posto in un angolo. Un sacco di gente, chi fa un po’ di conversazione, chi si lamenta dell’attesa, chi chiede ad un altro se sa come si riempie un modulo, un brusio misto e confuso che scorre come un torrente di montagna, con un suono anche piacevole, fino a quando l’impiegata, che si era diretta verso una stanza interna per cercare la mia lettera se ne era rientrata con quella busta azzurrina in mano. Con la faccia stranamente seria aveva cercato lo sguardo del direttore, che si era invece girato dall’altra parte dirigendosi verso uno stanzino a vetri dentro al quale si era chiuso. Nello stesso momento mi era sembrato che tutti si fossero voltati a guardarmi, interrompendo improvvisamente le loro chiacchiere, per poi ritornarci in modo frettoloso quando avevo girato la testa a destra e a sinistra per capire cosa potesse aver generato quel silenzio improvviso. E l’impiegata poi era stranamente impacciata mentre controllava il mio documento e assolveva tutte quelle funzioni che in realtà dovrebbero essere abbastanza comuni e semplici. Dopo pochi minuti, in ogni caso, ero fuori dall’ufficio postale con la mia busta azzurrina tra le mani.Una convocazione da parte di un non specificato ufficio di Pubblica Sicurezza, l’indirizzo indicava il Viale Leonardo da Vinci, probabilmente presso la sede della Questura. L’impatto non era stato effettivamente piacevole, ma non avendo nulla da temere o comunque non venendomi in mente nulla di cui mi dovessi assolutamente preoccupare, mi era rimasta solo un minimo di agitazione dovuta alla stranezza di questa inaspettata novità. La cosa migliore era quindi andarci subito.Nel palazzo della Questura c’ero stato di recente per il rinnovo del passaporto. Fuori c’è sempre una fila piuttosto lunga di stranieri soprattutto cinesi, probabilmente in attesa per permessi di soggiorno e pratiche relative. Per le altre cose invece si può entrare direttamente e chiedere ad un poliziotto dentro un gabbiotto a vetri. Appena visto il colore della mia busta mi aveva chiesto di attendere perché sarebbe venuto un agente per accompagnarmi. Anche dentro c’erano molte persone, la fila per lo sportello dei passaporti, le stanze dove altre persone attendevano il loro turno per presentare denunce o cose del genere, l’ ufficio per il rilascio del al porto d’armi. Ogni tanto qualcuno lo accompagnavano ai piani superiori, ma quelli sono i piani dove ci sono cose più gravi. Chissà se anch’io sarei stato accompagnato su per le scale.E invece no. La persona che era venuta a prendermi mi aveva riportato fuori per una uscita posteriore, dove un marciapiede conduceva ad un lungo cortile al termine del quale si entrava in un altro posto. All’ingresso non c’era nessuno, anzi, non c’era nemmeno una specie di portineria, o un tavolo con una sedia, niente. Solo un corridoio con una serie di porte. E era proprio la prima di queste porte che il mio accompagnatore mi aveva indicato con un cenno del capo, lasciandomi velocemente da solo li davanti. Dapprima un po’ indeciso sul da farsi, avevo poi bussato, sentendo immediatamente una voce che mi invitava ad entrare. Avevo aperto la porta trovandomi davanti una persona intenta nella lettura di alcuni quotidiani sparsi disordinatamente sulla scrivania davanti a lui, anzi, li osservava tutti distrattamente, voltando violentemente le pagine, soffermandosi solo un istante di più sulle ultime, quelle dei programmi televisivi, per poi passare subito al giornale successivo. Una stanza senza finestre, un attaccapanni con un bel cappotto appeso, una foto incorniciata del Presidente alle sue spalle.“No, non le nascondo che sia proprio una delusione, un persona poi del suo livello, ben inserita nel mondo del lavoro e nella società. Ma forse è bene essere chiari ed arrivare al punto”. Stavo iniziando a sentirmi veramente a disagio, il fatto di arrivare “al punto”, qualunque esso fosse, mi era sembrata un’ottima cosa e avevo fatto un piccolo cenno di assenso. “Mi dica, solo a titolo di esempio, per carità, cosa ha fatto ieri sera, tutto nel dettaglio, da quando è uscito dal lavoro”. La cosa stava assumendo dei contorni piuttosto preoccupanti, ma non avendo ucciso nessuno, avevo iniziato a raccontare la semplice, quanto banale, verità. La mezz’oretta di tangenziale dall’ufficio al quartiere dove abito, una ulteriore trentina di minuti al supermercato per una spesa veloce, il rientro a casa intorno alle diciannove. Pochi minuti per mettere a posto quello che avevo comprato, breve preparazione di un arrostino da mettere in forno con due patatine. “Bene, bene così, vada pure avanti, proprio nel dettaglio, come sta facendo” Dopo aver acceso il forno avevo riempito un caliciotto di “rosso” e mi ero seduto sul divano a leggere “Un uomo” della Fallaci (sono circa a metà), sorseggiando alla fine di ogni capitoletto un sorso di vino e dando nello stesso tempo un’occhiata al forno. Poco prima delle otto avevo tirato fuori dal forno la cena, apparecchiatura essenziale, accensione della televisione. “Ah, continui, continui…..” TG di LA7, mentre sentivo i titoli e le notizie principali avevo sistemato l’arrosto nel piatto e l’avevo portato in tavola, mi ero seduto, avevo spento la TV e mi ero messo a mangiare, pensando, non so, forse a cosa era successo durante la giornata. Finita la cena avevo messo un po’ in ordine e ero andato al piano superiore, dove ho il computer, a leggere un po’ di posta, a dare un’occhiata in giro per il web. “E’ stato al computer fino a quando è andato a dormire allora…!” No, in realtà c’ero stato forse mezz’ora, perché poi mi aveva telefonato un’amica ed eravamo stati un po’ a parlare. Finita la telefonata ero tornato al mio divano con il mio libro, questa volta intervallando i capitoli con un goccetto di grappa. Ero andato a dormire intorno alla mezzanotte. “E questo è quello che fa sempre, tutte le sere, lei sta sempre in casa a leggere il suo libro”. Forse era deluso dalla banalità della cosa. Avevo allora specificato che nella serata precedente era andata così perché non avevo impegni, e che a volte esco con qualcuno, da un po’ di tempo faccio teatro e ho un paio di serate impegnate in prove o cose del genere, qualche altro impegno vario, chessò, magari una partita di calcio tra amici. “Beh, abbastanza impegnato allora, difficile che passi una sera in casa guardando la televisione”. Ecco, in realtà, ora che ci pensavo, se c’è una cosa che non faccio mai, è proprio quella di guardare la televisione. A parte un po’ di TG mentre preparo la cena, e altri casi eccezionali dove c’è proprio qualcosa da vedere che mi preme, di solito un film, o qualche documentario storico, la televisione di casa mia è sempre spenta.“Spenta”. Questa parola, questo mio pensiero ad alta voce aveva causato nella persona davanti a me come uno scatto, una reazione nervosa  strana che aveva però cercato subito di nascondere, continuando a pronunciare quella parola, a bassa voce e quasi digrignando i denti. Poi si era seduto e guardando fisso i giornali sulla sua scrivania aveva iniziato a parlare con un tono differente da quello di prima, un modo di parlare a basso volume ma sprezzante “E chi si crede di essere, lei, per poter fare a meno di tenere accesa la sua televisione” Adesso si che non ci capivo niente. “No, non si preoccupi” aveva aggiunto dopo con una risata nervosa “avrà tempo per ricredersi, avrà tutto il tempo” La sua mano aveva premuto un pulsante posto lateralmente alla scrivania e subito erano arrivati immediatamente due tipi vestiti uguali, non in divisa però, che mi avevano preso per le braccia e mi avevano quasi trascinato fuori dalla stanza, e successivamente per il corridoio fino ad una porta metallica, che avevano aperto con un grande scatenacciare di chiavi, per poi gettarmi dentro la stanza che racchiudeva.Se quella era una prigione, mi trovavo una cella piuttosto strana. Non che sia mai stato in una cella, ma non mi sembrava corrispondesse all’idea comune che tutti ne possiamo avere. Ben arredata, con un bel divano, una televisione davanti, accesa su uno di quei programmi di intrattenimento pomeridiano pieni di disgrazie e tragedie. Mi era venuto quasi da sorridere, come al pensiero che si può anche stare in prigione, a patto però di non essere costretti a vedere certa roba. C’era anche un tavolo, e addirittura una cucina, con tutto, frigorifero, lavastoviglie, forno. Dentro il forno c’era qualcosa che cuoceva, un arrostino con le patate, ma….”fermi tutti, quello è il mio arrosto. Sono a casa mia. Allora sono salvo, so dove tengo il telecomando”. Avevo premuto il magico pulsante rosso e la televisione si era spenta. Contemporaneamente si era aperta anche la porta di ferro.Senza pensarci due volte, mi ero incamminato lungo il corridoio. Passando vicino alle altre porte sentivo uscirne le voci dello stesso programma televisivo. E mentre mi stupivo di come fosse stato facile uscirne, chiedendomi come mai nessuno nelle altre stanze non avesse fatto lo stesso, in un attimo mi ero trovato fuori, all’aperto. Era già buio. L’aria era profumata. Si, la temperatura non era poi così fresca per questo periodo e forse a causa del tempo piovoso e umido che induceva al fermento, al ribollire, ne veniva fuori questo odore dell’aria che sembrava quasi primavera.