massimopiero

Il segreto del caffè


“Non so spiegarti, ma non è venuta bene”. Cercavo in realtà di capire io per primo, mentre parlavo al telefono con Nicola, muratore e imbianchino di fiducia, nonché portiere della mia squadra di calcio, ruolo per il quale di fiducia ce ne vuole ancora di più. “Vengo stasera dopo cena a prendere un grappino, e si da un’occhiata. Se c’è da rifarla non c’è problema”. Al secondo bicchierino ancora non eravamo arrivati a capo della situazione e berne un terzo sarebbe stato un rischio. Il lavoro di stuccatura non faceva intravedere imperfezioni, la rimbiancatura era assolutamente omogenea, ma rispetto alle altre due stanze non era altrettanto, altrettanto, non lo sapevo nemmeno spiegare. Mi rendevo conto dell’assurdità della cosa, se fosse stato un lavoro fatto da un estraneo avrei lasciato correre, probabilmente mi sarei vergognato di contestarlo con argomenti così vaghi, ma trattandosi di un amico, e soprattutto di una persona che lavora con impegno e precisione degni di un orologiaio d’altri tempi, mi sentivo libero di esprimere i miei strani dubbi. “Ecco, vedi le altre due stanze, sono più….sono più luminose”. Nicola mi seguiva senza problemi nei miei assurdi ragionamenti, li prendeva sul serio, deciso insieme a me ad andare infondo alla questione. Avevamo anche preso le lampade delle altre stanze e le avevamo cambiate con quelle dello studio in questione, per capire se fosse stato un problema di illuminazione. A fine serata lo avevo convinto. Rimaneva da capire il motivo di questo problema, perché a quel punto, anche rifacendo il lavoro da capo, si rischiava di non raggiungere un risultato migliore. Perché c’era un unico indizio. Quando gli avevo commissionato quel lavoro, non era potuto venire personalmente causa precedenti impegni, delegando il tutto a due suoi operai e rassicurandomi sulla qualità del loro operato. In principio la cosa mi aveva un po’ disturbato, ma trattandosi di un semplice lavoro di tinteggiatura avevo lasciato correre. Effettivamente, i due ragazzi mi avevano convinto fin dal primo momento. Arrivavano puntuali di prima mattina e si mettevano subito all’opera con grande allegria. Mentre mi radevo, li sentivo cantare e ridere mentre lavoravano, e altrettanto facevano quando rientravo a casa per pranzare insieme a loro. Dopo pochi giorni il lavoro era finito e le tre stanze erano perfette. Faceva proprio piacere passarci del tempo dentro. Dopo due settimane un piccolo guaio. Si era rotto il lucernario sul tetto e in una notte di pioggia si era allagata la soffitta, causando infiltrazioni nel soffitto di una delle stanze appena pitturate, lo studio appunto, danneggiandone l’intonaco. A quel punto, siccome il lavoro era più complicato, era intervenuto personalmente Nicola, che con una precisione da certosino e la serietà di un chirurgo, aveva rifatto l’intonaco e pitturato di nuovo la stanza. Aveva fatto il lavoro con una concentrazione tale, che nemmeno lo avevo sentito lavorare, immerso com’era in religioso silenzio, come se fosse un restauratore di affreschi settecenteschi. Proprio la stanza dove lui aveva fatto di nuovo il lavoro, era quella che non mi convinceva, e che stavamo entrambi osservando al fine di comprenderne il misterioso problema.La mattina successiva era già a casa mia con i ponteggi e i secchi di vernice. Aveva la faccia assonnata perché durante la notte su questa cosa non ci aveva dormito. Alla fine si era deciso di tornare a fare il lavoro da capo. Però aveva un gran bisogno di un caffè. Poco male perché mi ero appunto appena svegliato e quando era entrato in casa mia stavo già armeggiando davanti alla moka. Appena il tempo di berne il primo sorso che sul suo volto si era dipinta una smorfia di disgusto. “Ma che è questo? Caffè…?”Il caffè è uno dei grandi misteri d’Italia. Non si sa se dipende dall’acqua, non si sa se dipende dalla qualità dal caffè, se se ne mette poco, se se ne mette troppo, se la fiamma è troppo alta o troppo bassa. Non c’è persona che conosco che non abbia una sua particolare ricetta o convinzione, quando non si tratta di veri e propri segreti. Chi ha avuto la fortuna di bere il caffè a Napoli, quello che ti servono in tazzina già zuccherato, sa di cosa parlo. Oppure quello che si beve in piazza S.Eustachio a Roma, dove la macchina è messa al contrario rispetto a molti altri bar, ovvero in modo che l’avventore non vede niente di quello che il barista fa. Gli arriva solo la tazzina, già pronta e zuccherata. Nicola è appunto di Napoli, e sul caffè non transige.E così mi ha strappato la tazzina di mano gettandone il contenuto nello scarico. Si è messo a sciacquare la moca sorridendo e cantando. Con pochi movimenti veloci, dai quali cercavo invano di carpire chissà quale segreto, ha ricaricato la macchinetta. “Per fare il caffè buono ci vuole la musica e l’allegria” è stato il suo unico commento, mentre con un movimento sicuro, ma allo stesso tempo delicato, avvitava i due pezzi della moka, come se la accarezzasse, prima di appoggiarla sulla fiammella azzurra, riprendendo la canzone di prima.“Nicola, io un caffè così buono non l’ho mai bevuto in casa mia..!” Lui stava pensando la stessa cosa, ma essendone l’autore, era ovviamente meno stupito di me. “Te l’ho detto il segreto”. E’ stato esattamente dopo queste parole che ci siamo entrambi bloccati, probabilmente pensando la stessa identica e assurda cosa. Un minuto di silenzio, assoluto, prima di scoppiare tutti e due in una risata irrefrenabile.Abbiamo continuato a ridere per un’ora, a vari livelli. Dalla risata che ti fa venire le lacrime all’allegria spensierata. Poi Nicola si è alzato e se n’è andato. La stanza era già a posto.