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Impronte per tutti


Per non fare differenze, ora prenderanno le impronte a tutti, grandi e piccini, rom e ariani, cani e porci. Il filosofo Giorgio Agamben, uno dei nostri intellettuali più famosi nel mondo (ovviamente da noi semisconosciuto), una volta doveva andare in America per fare una conferenza. Quando, come a tutti gli stranieri in visita nel paese della democrazia e della libertà, gli chiesero le impronte digitali, fece dietrofront sdegnato. Ora che le impronte gliele chiederanno per rimanere in Italia, cosa farà, chiederà asilo politico agli Stati Uniti d'America? Scherzi a parte, è chiaro che la partita si gioca sul piano simbolico: a livello pratico, prendere le impronte è solo un modo per identificare una persona,  non è diverso dal fare una foto del viso. Il problema è che le impronte recano con sè una brutta memoria storica (le schedature razziali oppure l'identificazione dei delinquenti). Se si prendono le impronte a tutti, il messaggio che arriva è che tutti noi siamo dei delinquenti potenziali. P.S. Se volete approfondire il rapporto tra l'attuale "società mediatizzata" o "mediocrazia" e le ombre del passato come nazismi e fascismi, può essere utile leggere alcuni saggi di Agamben, come "Homo sacer" e "Stato di eccezione". Vi segnalo anche una sua intervista ad Andrea Cortellessa sul tema dello stato di polizia e le impronte, che trovate sul sito della Stampa (risale al novembre 2007).