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Come ci vedono all'estero


Ecco un articolo dell'ex-editore dell'Economist, che spiega perché Berlusconi è inadatto a governare l'Italia.IL RITORNO DI BERLUSCONI Una vittoria ottenuta con le minacce, il potere dei media e il clientelismo Bisogna ammettere che l'uomo ha del talento. Il trionfo di Silvio Berlusconi alle elezioni italiane - che lo ha riportato per la terza volta alla carica di primo ministro a 71 anni, dopo meno di due anni dalla sconfitta e dopo cinque anni di governo, in cui ha lasciato l'Italia ad uno degli ultimi posti in Europa a livello di crescita - è notevole. Testimonia la sua resistenza, ma anche una campagna piena di battutacce e provocazioni. La sua vittoria, comunque, dovrebbe suscitare profonda preoccupazione in chiunque abbia a cuore la democrazia. Questo perché, oltre al suo indubbio e personale appeal, Berlusconi ha degli enormi vantaggi. Anzitutto, è l’uomo più ricco d’Italia, detiene il monopolio delle tv commerciali, un grosso impero editoriale e un mucchio di altri interessi sparsi. Il predominio di un leader partitico che detiene il controllo dei media sarebbe considerata un’inaccettabile violazione della democrazia in qualsiasi altro Paese europeo. Infatti, se l’Italia cercasse, oggi, di entrare ex novo nell’Unione Europea, una tale concentrazione di poteri sarebbe senz’altro un ostacolo alla sua accettazione. Ma, dato che è stata invece uno dei membri fondatori nel 1957, nessun altro Paese membro né la commissione europea osano dire nulla. Durante quest’ultima campagna elettorale, il fatto di essere proprietario di tutte le tv private – ad eccezione di La7 e di Sky Italia, che è comunque di destra – ha aiutato enormemente Berlusconi. Come capo del governo il suo vantaggio è persino maggiore, dato che può (come ha fatto e farà) sfruttare anche i canali pubblici della Rai a proprio agio. Una ragione importante per cui perse le elezioni di stretta misura nel 2006, nonostante il fatto che il suo governo fosse stato generalmente fallimentare, fu proprio questa: l’essenziale e totale controllo del sistema radiotelevisivo italiano. E durante l’ultima campagna elettorale la paura di un suo ritorno non può non aver fatto capolino nella mente di giornalisti e commentatori Rai, che vogliono conservare il posto di lavoro. Devo a questo punto rivelare una storia tra me e Berlusconi. Nel 2001, quando ero editore dell’Economist e in Italia era imminente un’altra elezione, conducemmo una lunga indagine sulle sue finanze e sui suoi molteplici, aggrovigliati intrallazzi. Come risultato di questa indagine, e consapevoli del suo conflitto di interessi in quanto maggiore proprietario dei media italiani, dichiarammo in copertina che era “inadatto a governare l’Italia” ("unfit to govern Italy"). Mezza Italia calunniò l’Economist per quella copertina, mentre l’altra metà ci beatificò. L’allora vittorioso Berlusconi ci marchiò con l’etichetta di “comunisti”, puntando giustamente sulla mia somiglianza con Lenin e intentando contro di noi la prima delle due cause per diffamazione che stanno ancora procedendo a rilento nei meandri dei tribunali italiani. La notorietà che tutto questo ci portò fu un bel divertimento. Ma dietro di essa si celano alcuni fatti importanti. I difensori di Berlusconi dicono che c’è un’ampia competizione tra i media italiani, cosicché il fatto di possedere tante tv è irrilevante. Invece non lo è, perché in Italia la tv è di gran lunga più potente della carta stampata; inoltre, Berlusconi fa continuamente ricorso a minacce di azioni legali e al clientelismo per intimidire i giornalisti italiani. I suoi difensori sostengono, inoltre, che non è mai stato condannato in nessuno dei processi che l’hanno visto protagonista. Quest’affermazione è vistosamente falsa, dato che si è salvato con leggi fatte approvare appositamente dal suo governo nel periodo 2001-2006, riducendo per esempio i limiti di prescrizione e depenalizzando il reato di falso in bilancio per il quale era inquisito. Berlusconi è un monito per tutti noi su ciò che può accadere quando si permette ad un uomo solo di dominare i media e quando si intrecciano i propri interessi con quelli del governo di una nazione. Cosa succederà adesso? Berlusconi ha vinto con una vittoria assai più decisiva di quanto si aspettassero gli esperti e governerà insieme alla Lega Nord – il partito contrario agli immigrati e propugnatore del federalismo delle regioni – altro grande vincitore di queste elezioni. Ci sia aspetta che il suo governo duri più a lungo della debole coalizione di centrosinistra che l’ha preceduto. La rappresentanza politica nel Parlamento italiano è stata drasticamente ridotta grazie a queste elezioni, il che è sicuramente una buona cosa. Ma senza rappresentanti comunisti e socialisti – per la prima volta dal 1946 – c’è il rischio di un dirompente attivismo extra-parlamentare, come risposta al programma del nuovo governo. L’Italia ha tribunali e un presidente della repubblica che esercitano poteri di controllo sul governo, quindi la speranza di un qualche freno c’è – anche se durante la campagna elettorale Berlusconi ha minacciosamente paventato la possibilità, per i giudici, di sottoporsi a test psichiatrici di sanità mentale. Il suo governo sarà, presumibilmente, più corporativo che aperto al libero mercato, stando almeno all’evidenza della campagna elettorale, durante la quale ha prospettato di bloccare la trattativa in corso tra Alitalia e Air France-KLM. Un tale intervento e qualsiasi nuovo aiuto da parte dello Stato, lo porterà in rotta di collisione con la commissione europea; così come un probabile aumento del deficit italiano – grazie anche alla sua promessa di tagliare le tasse e gli aumenti dei beni di consumo – lo porterà alla rottura con gli esponenti degli altri governi europei. In tal caso, è importante che non vengano accettate le sue prepotenze. Né Gordon Brown né qualsiasi altro leader europeo dovrebbe riproporre nei confronti di Berlusconi lo sciagurato atteggiamento servile esibito da Tony Blair, che dimostrò quanto il suo supposto idealismo fosse privo di principi. Dovranno trattare il primo ministro italiano con la diplomazia che si deve ad un qualsiasi capo di governo dell’Unione, ma è quanto mai sconsigliabile spingersi oltre. E Gordon Brown farebbe meglio a passare le sue vacanze nel Dorset piuttosto che in Sardegna, d’ora in poi.   Bill Emmott   (l’ex editore dell’inglese The Economist)