In
una recente intervista al Corriere, Remo Gaspari, uno dei big della prima
repubblica, ha stigmatizzato l’incarcerazione di Del Turco, dicendo che in giro
ci sono troppi “magnacci”. Il giornalista allora è sobbalzato “Magnaccia, si
dice magnaccia!” “No- replica lui stizzito - io mi riferisco ai magnacci, che col
mercimonio dei corpi femminili non c’entrano”. A questo punto abbiamo un indizio
in più per capire questo sventurato paese. Dunque cerchiamo di fare un pò di
chiarezza: ci sono i “magnaccia” coloro
che, secondo la definizione dipietrista, procacciano le donne ad altri uomini, per
lucro o altri torbidi interessi; poi ci sono i “magnacci”, che sarebbero, Gaspari
dixit, quelli che invece vivono da parassiti nella pubblica amministrazione o
nella magistratura, magari dopo aver fallito nella politica. A questo punto,
aggiungo io, dopo la variante al maschile e al femminile ci manca l’alterato,
ed ecco i “magnaccioni”. Non so bene come inquadrarli ma ricordando la nota
canzone, deve trattarsi di magnacci depotenziati, che al fancazzismo traditore aggiungono
soltanto l’amore per le gozzoviglie e il vino. In definitiva ci sono due
categorie fondamentali di italiani, a cui se ne aggiunge una terza, che è però
la forma attenuata della seconda. Io ero rimasto a Totò, che divideva l’umanità in uomini e caporali.
Oggi invece viviamo in una società moderna, globalizzata, e il crinale passa
tra questi due tipi umani: colui che passa il tempo impegnandosi a fottere,
figuratamente e carnalmente, uomini e
donne, nella smania di potere, sesso e possesso, e che poi nell’esaltazione
gode trionfante (potremmo dire “colui che ride e fotte”: l’archetipo letterario
è il Don Rodrigo manzoniano, quello reale è il Silvio nazionale); e colui che
si accontenta di vivere alle spalle altrui, imboscato in ministeri asl enti
locali redazioni ed altre agenzie del furto legalizzato, con il pretesto dell’interesse
pubblico o di valori astratti in nome dei quali si mostra contrito e compunto (un
tipo umano che si riassume nell’espressione napoletana “chiagni e fotti”, colui
che piange e fotte: l’archetipo letterario è Don Abbondio, quello reale fate un pò voi c’è l’imbarazzo
della scelta Mastella Vespa Ferrara e via così). A questo punto non ci resta che
rivalutare i “magnaccioni”, innocui crapuloni gaudenti, il cui archetipo forse
risale alla Siena medioevale, a quel Giovanni di Balduccio, campanaro, che trascurava il proprio
ufficio religioso per dedicarsi ai piaceri della buona tavola e per questo era
detto “il Mangia” (e in onore del suo fulgido esempio di vita, la torre di
Siena da allora fu detta “Del Mangia”).