Merube

diafiṡàrio 10


 Ha una sagoma aspra il dire quando le ruvidezze repentine di un tempus poris scontornano ogni lemma e tace il titillare convulso della lingua sul palato come uno sbattacchiare d'ali a misurare fiacco il ciglio del vocitus. In girotondo vorticano tutte le parole, prima dello schianto, prima di stramazzare in sincronia con il silenzio incrinandosi nel baricentro fino alla genesis di senso. Così il corpo abbandona peso all'anima e muta d'accezione e d'essenza, nello spiazzo dell'allocuzione si appunta come un fregio nero a margine, nel bianco esangue di una pausa muto, diserta la distanza, annichilendosi si fa senza verbo, cronico, sconfinato.