Charlierìe

Post N° 934


Fra i pochi momenti attesi nella giornata valligiana, la pausa caffe' e' regina incontrastata. Un momento sacro di cazzeggio, pettegolezzo, sfogo, curiosita'. Un vortice di risate urletti minch...stronz...cavolate con vari toni di giubilo o disperazione.Come si sa, krukken kermit e la sottoscritta, siam pure esigenti e eliminiamo bar come fossero fastidiosi moschini, qualora non abbiano piu' tutti i requisiti di nostro gradimento (tavolini per tre, possibilmente a tavola rotonda; intimita' per poter ciarlare indisturbate e lontano da orecchie indiscrete; baristi di cui sparlare, clienti da squadrare goduriosamente; ah si' pure l'aroma del caffe').Ultimamente ci alterniamo fra due caffe'. Uno che ha tutti i requisiti tranne clientela degna di sguardi. L'altro che ha tutti i requisiti tranne i tavolini idonei. Da qualche giorno, nel primo e' avvenuto un cambiamento notevole. Un apprendista barista. Pora stelina. Giovine assai. Quindi incolpevole. D'altronde il mestiere lo dovra' ben imparare sul campo. Pero' irrora il campo di una brodaglia decisamente imbevibile. Tanto da essere notata dal tris di psicotiche, nonostante le profonde conversazioni in cui esse si immergono. Oggi si decide di andare all'altro bar. Tanto si era in ritardo e si sarebbe state al bancone comunque. Orbene, entriamo e al banco c'e' il figlio decenne della barista. Noi salutiamo e attendiamo. Lui saluta e ci guarda. Silenzio. Spazientito, ci chiede cosa vogliamo. Abbozziamo, due caffe'. Il piccolo chiede come lo vogliamo, urtato. Rispondiamo, amabili vedendo la madre che appare all'orizzonte, uno liscio ed uno macchiato, ce li fai tu bel piccolino? Egli, tutto serio, si gira afferra la manopola e si mette all'opera. Avesse potuto, ci sputava pure dentro.