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Alba e Tramonto

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...da Profilo di donna

Post n°29 pubblicato il 10 Luglio 2009 da namaste_24
 

... l'aria è rarefatta, il caldo è insopportabile, il ritmo del tempo è scandito dal rumore cadenzato delle ruote sui binari ... tu tum tu tum ... tu tum tu tum.
Il paesaggio intorno è luminoso, predomina il colore dell'oro e dell'ambra, se guardo intensamente a terra, il riverbero del sole sulle stoppie del grano tagliato mi acceca, ma è meraviglioso!
L'odore forte del legno dei sedili, del metallo e del grasso, lascia pian piano spazio al profumo dei campi, di quello che resta delle ginestre e della malvarosa.
Poi, il ritmo diventa più lento, come il battito di un cuore alla fine dei suoi giorni ... tu tum ... tu tum... tu ... tum..
Il rantolo dei freni, il metallo dei binari si fonde con quello delle ruote, un lungo stridio, un ultimo sussulto e il tempo si ferma.
Tiro giù la valigia, la stessa di quando ero partito dieci anni prima.
Allora era piena di pochi indumenti, una lettera con un indirizzo e tanta speranza, oggi è piena di altri vestiti, di altre lettere, quelle di mia madre, quelle di mia moglie.
La speranza, quella è rimasta in quelle terre lontane, insieme al sudore della fronte, riporto dietro solo dolori di schiena e calli alle mani.
Un respiro, afferro la maniglia della porta di questo treno e scendo quei tre gradini che mi separano da quella terra, la mia terra.
Anche qui il tempo è fermo, la stessa stazione, qualche vetro rotto in più, la stessa scritta scolorita, e poi quel gabbiotto un po' più lontano con sulla porta la scritta inequivocabile "cessi"  e un silenzio spettrale.
Non c'è nessuno ad aspettarmi, neanche la corriera per portarmi su in paese, solo un ferroviere  "l'autista oggi è malato o forse ha da fare nei campi", mi toccherà andare a piedi.
Fa caldo! Mi tolgo la giacca di lana nera e la fermo sotto lo spago che tiene chiusa la valigia, mi incammino con passo sconsolato verso il paese, prima però, affondo le mani sotto il fontanile, bevo qualche sorso di acqua, è fresca, quasi ghiacciata ma saporita, è la stessa di tanti anni fa.
La strada è polverosa e piena di buche, il silenzio viene interrotto dal canto assordante delle cicale, ma forse cantavano anche prima.
Dopo circa mezz'ora di cammino, abbandono la rotabile, sono rimasti pochi tornanti, ma è meglio risparmiare qualche passo, mi inerpico lungo un piccolo sentiero, tanto il passo sarà sempre lo stesso.
Le prime case sparse, ed un cane attaccato alla catena che ha iniziato ad abbaiare, si è accorto della mia presenza.
Finalmente!
Sono sudato, affaticato e stremato dal caldo, ma felice. Comincio a sentire la voce di alcuni bambini insieme al rumore di qualcosa di metallico che rotola sul selciato della piazza.
Ricordo, lo facevo anch'io, un cerchione di bicicletta, un pezzo di fil di ferro piegato ad una estremità tale da accogliere lo spessore del cerchione e accompagnare lo stesso e cercare di tenerlo diritto e farlo rotolare, e io a corrergli dietro per guidarlo e non farlo cadere.
La piccola piazza si apre davanti ai miei occhi, faccio un po' fatica per il sole che mi abbaglia, poi fra me e lui si frappone il piccolo campanile della chiesa, già addobbato per la festa di San Rocco, e riesco ad ammirare per intero quella piazza.
Case basse, i bambini che corrono dietro a quel cerchio, e lì, davanti alle case già in ombra, delle figure vestite completamente di nero.
Sono alcune donne del paese, mamme, mamme di mamme, mamme di mamme di mamme.
Non riesco a riconoscerle, scorgo i loro profili, è il profilo di donna, alcune sedute sulle sedie di paglia, altre sui gradini dei portoni delle case.
Qualcuna ha fra le gambe una cesta in vimini e sbuccia i fagioli, altre con ago grosso, quello per rifare i materassi, con uno spago non troppo spesso infilano come perline i gambi dei peperoni, ne fanno inserte come collane hawaiane da appende e far seccare al sole ed usare in inverno, li chiamiamo "i cruschi", vengono fritti nell'olio bollente per pochi secondi e serviti con patate o baccalà, sono croccanti come patatine, ho già l'acquolina, sarà l'ora.
Intanto queste donne sono lì, vivono ogni giorno guardando all'oggi e al domani, raramente a ieri.
Attendono l'arrivo di una lettera, di un pacco, di un vaglia, non ci sperano molto ed è per questo che guardano soprattutto al domani, al come andare avanti, all'inventarsi le cose, a risparmiare quello che hanno oggi perché forse sarà necessario domani.
Queste donne vestite perennemente di nero, per un lutto che ha colpito la propria famiglia.
Il simbolo del lutto dura sette anni, ma non passano mai sette anni prima di un nuovo lutto, ed allora loro sempre in nero, in segno di rispetto, forse arcaico, ma sempre rispetto.
Questa piazza l'ultima volta che l'ho vista è stata ai primi di novembre dell'anno scorso, pochi giorni, ne approfittai del passaggio su un camion che veniva da queste parti.
C'era la neve, tanta, si camminava come nelle trincee della grande guerra o nelle gallerie delle miniere di carbone, quelle in cui lavoravo io, solo che qui era candido, tutto pulito.
Oggi c'è il sole, poco lontano da quelle donne, in un angolo più in ombra, scorgo un altro profilo di donna, quello si lo riconosco è mia moglie.
E' seduta sulla solita sedia in paglia, in bilico, con la spalliera della sedia attaccata al muro della casa, in mano un gomitolo di lana rossa e due ferri per fare una maglia.
Sospesa alla trave del piccolo portico una corda a cui è appesa una cesta in vimini bianchi, più grande di quella vista prima, piedi scalzi, uno a terra e l'altro spinge quella cesta, come un'altalena.
Mi avvicino, mi vede, scatta in piedi, corre verso di me, un abbraccio interminabile, la sollevo in aria e giriamo insieme, poi da quella cesta appesa, un vagito, un richiamo, come a dire "ci sono anche io", è lui, mio figlio, ho ritrovato la speranza, quella in realtà l'avevo lasciata qui nella mia terra.

Dedicato a mio Padre, mia Madre e ad una carissima Amica

Namaste_24

 
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