Fiumecheva

"Lo specchio"


10.Si rimise in piedi non senza difficoltà e questo le ricordò che doveva assolutamente riscriversi in palestra.Di fianco al laghetto c’è una vecchia cuccia artigianale in legno, che era lì da prima che lei decidesse di scavare il laghetto. Un tempo il giardino era il regno di Merlino, il cane col sorriso, come spesso amava chiamarlo.Merlino era un meticcio, incrocio fra una femmina di un pastore tedesco e di un maschio pastore belga. Quando appoggiava le sue zampone anteriori sulle sue spalle era più alto di lei, non ci volesse molto ad esser più alti di lei.Lei lo aveva visto nascere insieme ai suoi fratelli e quando tutti iniziarono a camminare ed ad allontanarsi un po’ dalla madre, Merlino era quello che le veniva più spesso incontro. Lui l’aveva scelta.Quando era cucciolo gli aveva insegnato tre semplici esercizi: a camminare al passo di fianco a lei, a sedersi al suo comando e a porgerle la zampa. C'era un gioco che amavano molto fare: correre. Facevano a chi arrivava primo, ma naturalmente vinceva sempre lui e ne sembrava molto felice. Allora a volte, però, lei lo imbrogliava un po', si metteva pari lui pronta a partire, poi faceva una finta e correva nella direzione opposta, lui che era partito come un fulmine, a metà strada, accorgendosi che non lo seguiva, si fermava, lei rideva e lui la guardava tra il perplesso e il deluso, poi ripartiva a razzo inseguendola e superandola. Col tempo aveva imparato il trucco e così ad ogni partenza pure lui faceva le finte: un po' a destra, un po' a sinistra e poi di nuovo a destra... e diventava un gioco infinito. E ridevano, ridevano a crepapelle, si, pure lui, il cane col sorriso.Quando era triste e nervosa lei usciva di casa per sbollirsi e si sedeva nel prato, che ora è il suo giardino magico, e con la schiena si appoggiava al muro.Merlino si avvicinava e lui, che al solito era così esuberante e giocherellone da risultare quasi fastidioso, in quei momenti si metteva seduto accanto a lei e guardava nella sua stessa direzione, tante volte lei si è chiesta se capisse veramente cosa stava guardando, ma il fatto è che se ne stava lì a respirare appena. Aveva occhi vispi e intelligenti e, come di solito si dice, gli mancava solo la parola, ma in quei momenti, ne era certa, se anche avesse potuto parlare, non l'avrebbe fatto. Se ne stava lì e aspettava.Quando, poi, a lei era passata un po' la tristezza, si girava e allungando la mano lo accarezzava. E ogni volta lei capiva cosa vuol dire: esserci. Che l'amore dev'essere così: guardare nella stessa direzione.Purtroppo morì avvelenato da un maledetto ignoto e quando lei se ne accorse, ormai il veterinario non poteva farci più nulla. Lo vegliò tutta la notte e verso mattino sembrava stare meglio, si era alzato in piedi scodinzolò e le regalò uno dei suoi sorrisi. L’ultimo sorriso.Si, la sua cuccia è ancora lì, in giardino, non ha voluto che la portassero via. Di fianco ci ha scavato il laghetto e di fronte ci ha messo una panchina, quando si siede lì, a riflettere guardando i pesci nuotare, a volte le sembra di sentire ancora il suo respiro."E me ne sto quiSeduto accanto a teGuardo dove tu guardiRespiro piano per non disturbareNon ti toccoNon asciugo le tue lacrimeQuesto tu non lo vuoi.AspettoChe ti giri verso di meChe tu vedaChe ti sono accantoChe tu capisca Che ci sono sempre statoChe ti basta allungare la manoPer toccarmi e che non sei sola."