Mondo Jazz

STRAIGHT NO CHASER: IL FILM SU MONK


Il documentario, come genere, ha una vocazione per il realismo, ambisce a catturare la realtà. Ciò nonostante l’uso dei dispositivi e del linguaggio cinematografico, l’atto stesso dell’inquadratura, tendono ad indebolire tale vocazione, e rivelano comunque un punto di vista soggettivo forte quanto le pretese di oggettività.Alla fine tale realismo si fonda maggiormente su ciò che lo spettatore è disposto a credere come reale, come vero. Ma questa “disponibilità a credere” dello spettatore, il documentario in qualche modo se la deve guadagnare. Thelonious Monk: Straight, no chaser, documentario biografico sul pianista e compositore jazz Thelonious Sphere Monk, restituisce un’immagine di Monk che ci appare come la sua vera immagine. Anche quando ci troviamo di fronte a riprese cinematografiche sofisticate. Questo è forse uno dei maggiori pregi di Straight, no chaser.La Zwerin adotta anche alcune tecniche del cinema verité, soprattutto l’utilizzo dell’intervista, per rafforzare il realismo del film, ma è proprio quando Monk viene realmente mostrato, secondo modalità proprie dell’ostensione (mostrare un oggetto per comunicarne il significato), che prende forma la sensazione di trovarci davanti al vero Monk.Attraverso il Monk mostrato si accede con più immediatezza a cosa abbia significato Monk, a cosa egli sia stato. E in questo caso la bellezza del documentario coincide con la bellezza dell’oggetto filmato, ovvero Thelonious Monk. Charlotte Zwerin, che è stata sposata ad un musicista e ha girato parecchi documentari biografici su artisti, pittori e musicisti (suo è anche il documentario Gimme Shelter sui Rolling Stones, dove viene ripreso l’omicidio ad Altamont), in Straight, no chaser dimostra la propria abilità di filmmaker (soprattutto nel montare il materiale girato), ma anche, in sovrimpressione, l’amore per il musicista Monk, anzi per la persona Monk; pur non avendo prestato troppa attenzione alla cronologia, la Zwerin ci accompagna lungo la strada percorsa da Monk, quasi fosse Nellie (la moglie di Monk), con ammirazione, rispetto, comprensione e sincero affetto.Per questo film la Zwerin ha attinto in gran parte a materiale girato nel 1968 da Michael e Christian Blackwood. Sono quasi tutti filmati che evidenziano una tecnica di ripresa sofisticata: numerosi sono i piano sequenza che avvolgono Monk e diventano quasi metafora di un abbraccio. La cinepresa quasi sempre è mossa con tale abilità che sembra tradire il realismo della “presa in diretta”, anticipa i movimenti di Monk, sembra muoversi seguendo una sceneggiatura, ed è proprio in questi casi che parrebbe ingannarci e trasformare il documentario in fiction.L’uso delle inquadrature disegna in modo consapevole frame intepretativi: Monk pensoso, chiuso in se stesso o calato in un dolore sordo silenzioso; Monk ironico, Monk sorridente, Monk musicista. Le inquadrature delle mani mentre egli suona rivelano la personale e quasi paradossale tecnica pianistica (Monk suonava con le dita tese e piatte percuotendo i tasti, sovvertendo la tecnica tradizionale che vuole le dita arcuate) e (attraverso una forma di sineddoche) ci rimandano all’originalità di Monk pianista e compositore, per il quale la tecnica pianistica e compositiva erano strettamente legate.Le interviste hanno diverse funzioni nel dare forma alla struttura narrativa del film: soprattutto hanno la funzione di parentesi, di incisi nel discorso. Ma non aggiungono molto, spesso confermano, (e talvolta contraddicono) quanto mostrato e “detto” attraverso le immagini di Monk che suona, parla, dorme, vaga, gira su se stesso, si addensa in pensieri profondi e remoti.Altro elemento importante del testo è la musica: non è mai colonna sonora, ma l’elemento che da coerenza alla struttura narrativa e ne è parte integrante: la biografia di Thelonious Monk è anche la storia della sua musica. Monk inizia prima del be-bop e vi finisce dentro quasi accidentalmente. Vi partecipa senza caricare di valore ideologico la propria presenza, a modo suo, come musicista nero ma senza porre la questione razziale. Si inserisce nella rivoluzione musicale del be-bop, da esistenzialista: Monk prima di tutto è Monk.Ed è anche attraverso narrazioni come quella del documentario di Charlotte Zwerin che si rafforza l’immagine di Monk come icona. Monk è il musicista che segue la propria voce, in modo personale, introverso e anticonformista, originale, libero da schemi, libero nell’espressione, il musicista che sovverte e innova i codici dei linguaggi musicali jazzistici a lui pre-esistenti o contemporanei. Monk in fondo è un’icona della libertà, della libera espressione e della libertà di essere.Questo è uno dei significati più chiari di Monk, e prevale sulle sue proprietà accidentali come “Monk, quello che è strano”, “Monk il pazzo”, Monk che “girovaga su stesso”, “Monk che sta sveglio per tre giorni e dorme per altri due”.(*) Straight, no chaser è un’espressione che indica il whisky bevuto liscioFonte:  http://cineclubfratellimarx.splinder.com/post/20112244/thelonious-monk-straight-no-chaser