Terza serata a Tremezzo all'insegna della forma canzone in entrambi i progetti presentati. Si inizia con il trio Ars 3 formato da Mauro Grossi al pianoforte, Attilio Zanchi al contrabbasso e Marco Castiglioni alla batteria. Un programma basato sulla canzone pacifista degli anni 60' e 70' racchiusa nell'album Promemoria uscito lo scorso anno per Abeat.Compito non semplice quello di evitare le secche della retorica, ma la palpabile emozione con la quale Mauro Grossi tracciava le coordinate del lavoro del trio erano ampiamente sufficienti ad allontanare ogni dubbio. E il pathos dalla parola si è propagato rapidamente alla musica, dall'iniziale Masters of War di Bob Dylan fino ai due brani finali, uno di tradizione ebraica (Dona Dona di Shalom Secunda) e l'atro palestinese, uniti in una ideale staffetta di dolore e compassione. Nel mezzo molti pezzi famosi ispirati alla pace e alla non violenza, da Il Disertore di Boris Vian a Peace di Horace Silver per chiudere con il bis dedicato alla canzone italiana (Un mondo d'amore di Gianni Morandi). Un gruppo che è cresciuto di intensità nel corso del concerto, ben bilanciato, solido nella sezione ritmica e convincente nei momenti di improvvisazione.Il compito più difficile per chiunque provi a riproporre la musica di De Andrè è cercare di colmare il vuoto abissale che ogni possibile versione incontra dovendo fare a meno del timbro unico rappresentato dalla voce di Fabrizio. Per un jazzista inoltre c'è anche l'handicap della mancanza dei testi, componente di importanza vitale nelle canzoni del cantautore genovese. Infine c'è il problema di rendere al meglio quelle musiche cosi' sottilmente intrise di dolce malinconia oppure di effervescente ironia. In ambito italiano inoltre c'è una tendenza a volte esagerata da parte dei nostri musicisti alla riproposizione di musiche di autori che mal si prestano a versioni jazzistiche, esempio tra i più abusati è la figura di Lucio Battisti, che spesso si risolve in rimpianto verso gli originali.Non è il caso di Danilo Rea, che attingendo ad una profonda sensibilità musicale e sorretto da una padronanza stupefacente dello strumento regala un concerto intenso per colori, variazioni ritmiche e citazioni melodiche. La scomposizione e destrutturazione delle melodie si manifesta in maniera apparentemente semplice e naturale, come se tutto fosse un originale gioco di scatole cinesi. E cosi' La Canzone di Marinella si muta in Besame Mucho con facilità disarmante prima di rientrare nell'alveo naturale; una versione emozionante e rarefatta di Over The Rainbow trasmigra in citazioni monkiane e rinasce come La Ballata di Carlo Martello. Il bis intriso di lampi beatlesiani e melodie napoletane diventa una martellante Bocca di Rosa. Ma tutto il concerto è all'insegna di questa versatilità, leggerezza apparente ma intrisa di ricca sostanza, che dona al pubblico presente uno strepitoso Danilo Rea, certamente uno tra i migliori pianisti attualmente in scena.