Mondo Jazz

LA LEGGENDA DEL PIANISTA BOYD


DDopo una lunga gavetta nei club, Dunlop ha trovato la fama a 85 anni. È stato "scoperto" mentre suonava uno strumento stonato in un ricovero. Incantava gli altri ospiti della casa di riposo provando accordi su un vecchio Packard. Ora ha inciso il suo primo cd e sabato si è esibito nel Delaware con uno Steinway a coda.  I due relitti della vita s´incontrarono per caso nella caffetteria di una casa di riposo dove erano andati a morire, il vecchio piano stonato e il vecchio pianista sdentato. Non sapevano che sarebbe risorti insieme.Erano arrivati al capolinea della loro vita, Boyd Lee Dunlop, il "blues man", il jazzista di Buffalo che aveva suonato per i club migliori e per i soldati in guerra, e il piccolo piano verticale che aveva conosciuto giorni di gloria nella casa di una famiglia borghese per le lezioni di piano ai figli, prima di precipitare. Poi il pianista era affondato nell´oceano della vecchiaia e della memoria, in una deriva che lo aveva portato nella casa di riposo per indigenti del Delaware.Il piano, un Packard, era ruzzolato tra svendite e donazioni per beneficenza, perdendo per strada denti d´avorio e dimenticando le proprie sonorità fino alla stessa mensa dove Boyd "The Blues Man" biascicava le minestrine di riso e pollo, aspettando le punture di insulina per il suo diabete. Fino a quando, più che il tempo poté la voglia e Boyd provò a rimettere le mani artritiche sopra quello che restava della tastiera. E l´inspiegabile miracolo della musica avvenne. Era un anno fa circa, nessuno ricorda bene niente in quella casa di riposo, né le cose né le persone, quando gli altri ospiti cominciarono a sentire gli accordi e le improvvisazioni diffondersi nella Casa.«Quando ero giovane sapevo suonare tutto e vincevo scommesse contro gli avventori dei club che nominavano 50 pezzi sicuri che non li avrei potuti eseguire», ride adesso il pianista nell´ospizio. Lavorando tra i tasti rotti, i martelletti logori e le corde allentate, Boyd scoprì che qualche armonia ancora riusciva a spremerla da quegli strumenti danneggiati, le mani e il piano. Gli veniva bene Torna a Surriento, non proprio una colonna del jazz pianistico da Thelonious Monk o da Fats Waller, ma gli accordi e la variazioni funzionavano. Agli ospiti, perduti nella loro minestrina di pollo e nel purè di patate, piaceva.Piacque, e moltissimo, anche a un fotografo che cercava di vendere servizi al New York Times ed era andato in giro per la case di riposo per poveri su e giù per la costa dell´Atlantico, dunque anche nel Delaware, che da Manhattan dista un´ora e mezzo di treno. Di musica, di jazz, e di celebri chitarronate come Torna a Surriento, Brendan Bannon non sapeva nulla, ma il suono di quel piano scordato che riempiva la desolata sala mensa dell´ospizio, tra odori di pollame e di disinfettanti, lo investì come un´onda anomala.Volle conoscere la storia del vecchio afroamericano diabetico di 85 anni, che saltabeccava curvo tra i tasti rotti per strappare qualche suono coerente. Scoprì che Boyd aveva avuto un passato di gloria nei jazz club di Buffalo, al nord dello stato di New York. Che aveva inciso 33 giri con il proprio gruppo ed era considerato una stella nel cielo della "Colored Jazz Music", richiestissimo nelle chiese, nei matrimoni di lusso, nei night, nei teatri. I grandi del piano jazz erano andati ad ascoltarlo e gli avevano offerto di andare in concerto e in tournée con loro.Ma Boyd era rimasto fedele alla sua gelida Buffalo e al Grande Nord, dove per la prima volta, da bambino, aveva messo le mani su una tastiera, scoprendo che negli 88 tasti in bianco e nero c´era la sua vita. La madre, domestica di notte e operaia di giorno, gli aveva proibito di portare in casa un vecchio pianino sgangherato da mercato delle pulci («sporco e ingombrante» era stata la sentenza finale) ma lui, bazzicando sacrestie e circoli del dopo lavoro aveva imparato a leggere la musica e a muovere le dita su un vecchio, classico manuale di esercizi per principianti, lo Czerny, delizia e soprattutto croce degli aspiranti pianisti.Era stato reclutato dalla US Army nel 1941, ma anziché sparare, l´Esercito gli aveva chiesto di suonare. Ma nel dopoguerra, dopo una fiammata negli Anni ´50 e primi ´60, Boyd si era spento. I jazz club si erano rarefatti. Gli armonium e gli organi della chiese erano stati sostituiti da melodie e armonie sintetiche, meno costose. E lui era scivolato giù dal Nord verso quell´unico ospizio per la vecchiaia, nel Delaware, che la sua assicurazione fosse disposta a pagare. È stato il fotografo, che è riuscito a vendere il proprio servizio al New York Times (doppio miracolo del pianoforte) a registrare con un telefonino la musica di Boyd.A scaricarla per un amico produttore di cd che, ascoltandola, sobbalzò e disse: «Ma questa musica vive, chi è questo che riesce a far vivere un piano così scassato?». I manager della casa di riposo ebbero l´idea di organizzare una vendita per beneficenza di cheesecake sfornate dagli ospiti per pagare Vinny Tagliarino, un famoso accordatore cieco che lavorò per giorni e riuscì a rianimare quello strumento in agonia. Ora ha registrato il suo primo cd, Boyd´s Blues insieme con due vecchietti come lui, ripescati dal "Colored Jazz Club" che ancora esiste a Buffalo e sabato scorso 10 dicembre ha dato il suo primo concerto a pagamento, 10 dollari per l´ingresso.Ha suonato sopra uno Steinway a coda, il pianoforte dei grandi, sorridendo come un bambino fortunato a Natale quando ci ha messo le mani sopra e ascoltato le sonorità che da quello strumento riusciva a ottenere. Il pianino dell´ospizio è rimasto nella mensa ad aspettarlo, perché i pianoforti non sono gelosi, quando anche questa fiammata si spegnerà e Boyd tornerà da lui, non a "Surriento", purtroppo, ma nel Delaware. Vittorio Zucconi, La Repubblica, 12/12/2011Fonte: wwwmicciacorta.it