Mondo Jazz

GIMMI ENDRICS E PAUL MCCARTNEY


Giro istruttivo quello di stasera in rete: ho scoperto due nuovi spazi in lingua italiana dedicati al jazz, uno è un blog ad opera di uno dei collaboratori de Il Giornale della Musica, Giuseppe Mavilla, e si chiama Scrivere di Jazz.  E' attivo da aprile, e per quanto la frequenza dei post non sia regolare (circa 5-6 al mese), il contenuto è vario ed interessante, tanto da meritare una visita e da essere inserito nel mio box Parliamo di Jazz.L'altro più che un blog è un portale a cinque autori, si chiama FreeFallJazz, è operativo da ottobre e alterna news e commenti a recensioni di album.L'ultimo post si occupa del jazz italico, o meglio dei suoi vizi e delle sue debolezze. Ne trascrivo alcuni passaggi rimandando la lettura completa al link a fine articolo: La vicenda del jazz italiano ha avuto una storia lunga che qua non c’interessa tratteggiare, se non nell’ultima fase. Fase coincidente con l’attuale e che vede un’ormai consolidata sinergia fra la frangia di pubblico colto-wannabe, quello che frequenta cinema, mostre, vernissage e degustazioni e giammai va a vedere un cinepanettone, e l’ambiente di chi il jazz lo produce e lo suona, che ha deciso di intercettare e spremere questo vasto bacino. E se il jazz è cultura, dobbiamo tenere presente che in Italia l’estetica della cultura prende il sopravvento sulla cultura medesima. L’italiano in cerca di cultura vuole prima di tutto qualcosa che sia riconoscibile come cultura da tutti, per apparire colto agli occhi degli altri. Ergo, perché qualcosa sia cultura, deve assomigliare a ciò che sappiamo già sia cultura. E dal dopoguerra, la cultura si fa a scuola, quindi la cultura deve insegnare e annoiare. Lo wannabe nostrano, insomma, è un po’ come un tipo che andasse in libreria dicendo “devo farmi la cultura, mi dia il libro più noioso che ha”. Come fa allora il jazz a soddisfare questa richiesta, dal momento che viene visto come musica o inavvicinabile o fin troppo istintiva, viscerale, fisica e quindi insomma mica tanto colta se ci si diverte? Semplice, fa così: CCerto jazz di marca europea, ovvero quello opportunamente sterilizzato, improntato all’omogenità sonora, al “bel suono”, al ritmo snervato, rispettoso dell’accademia e codificato dall’orrida ECM, si riflette in cose come questa: ‘Il Cielo In Una Stanza’ di Gino Paoli, canzone odiosissima e insopportabile, come suonata da Enrico Rava e vari ospiti (Bollani no, a dispetto del titolo del clip) nel micidiale ‘Italian Ballads’ del 1997. Se devo trovare un colpevole, forse questo disco è un buon indiziato. Perché contene tutto: il lirico suono pulitissimo e delicato della delicata tromba del leader, che va poco lontano dall’esposizione ad libitum, e gli altri che fanno da tappezzeria discreta. Niente da capire, niente da sentire, musica d’ambiente che traveste da jazz (“la tromba! l’improvvisazione! il contrabbasso pizzicato! i negr… ah no, quelli no.”) melodie che conosce anche il maiale e ci ricordano l’Arcadia dell’Italia perduta, più umile e morigerata, dove in tv c’erano le Kessler e non le maledette Veline. Ah, bei tempi (segue lagrima di gommozzione)! L’operazione ha un gran successo. Da allora, progetti del genere sono proliferati. Anzi, il “progetto” (dedicato a Battisti! Rino Gaetano! Mino Reitano! Gimmi Endrics!) è la cifra stesso di tanto jazz italico tutto melodia, superficialità e rimestamento dell’acqua stagnante – quello che va per la maggiore e soffoca il resto. Innocue pappe che fanno da sfondo raffinato alle degustazioni di vini e formaggi in un bell’agritusimo, anche dal vivo, ché poi lo chiamiamo Jazz Festival di Pontasserchio e si piglia il contributo statale per la cultura! E poi la mia casa di produzioni allega i dischi all’Espresso! E poi vuoi mettere il jazz italiano, che non ha più bisogno della prepotenza imperialista di quegli stronzi americani! E poi i dischi di jazz italiani sono i più belli di tutti, visto che le riviste li esaltano e basta, siamo i meglio, tiè! E poi i grandi del jazz italiano fanno sempre il pienone perché sono i più bravi di tutti, c’è meritocrazia perché il pubblico è competente! E poi queste cose hanno il merito di avvicinare tanta gente al jazz! Oh, ma quel disco che mi hai prestato di Dexter Gordon, insomma, non è che mi sia garbato granché, troppo casino, troppo “americano”, è superato… Se molti degli appunti dell'autore dell'articolo sono indiscutibilmente veri e stimolanti (spesso anch'io ho commentato l'esagerato celebrazionismo nostrano verso figure che con il jazz hanno ben poche possibilità di comunione), vorrei far notare come d'altro canto spesso anche portali storici dedicati al jazz, in questo caso parlo di JazzTimes, si perdano in roboanti e inutili articoli del tipo "Paul McCartney to release standard album with Diana Krall": Paul McCartney has announced that his next solo album, as yet untitled, will be a collection of romantic ballads and standards, with jazz pianist Diana Krall and her band accompanying the ex-Beatle. The album, produced by Tommy LiPuma, will be released by Concord/Hear Music on February 7. In addition to the cover material, the album will include two new McCartney originals. Guests include Eric Clapton and Stevie Wonder. Bassist John Clayton also reportedly plays on the album. Ma chissenefrega di un album concepito solo per vendere da musicisti a corto di idee ma assetati di dollari. Non si tratta di negare qui il valore e l'importanza di McCartney & co. ma quando è palese l'intenzione commerciale, si tratti di standards americani o di canzoni di Lucio Battisti (P.S. : basta, non se ne può più !), sarebbe preferibile un defilato silenzio da parte degli addetti ai lavori , a meno che non siano foraggiati dalle label, nel qual caso il fatto si commenta da sè.  Non mi pare di essere un talebano del jazz, ma quel trafiletto su Gimmi Endrics lo sottoscrivo pienamente....  http://scriveredijazz.blogspot.com/ http://www.freefalljazz.tk/