Mondo Jazz

ANDY


Peregrinando per la rete negli ultimi tempi sempre più spesso sono tornato sul sito di AndyMag.com, magazine on-line attento alle diverse forme di comunicazione e con una serie di interviste interessanti a personaggi del nostro tempo.Estrapolando tra le parole di musicisti e/o addetti ai lavori è possibile trovare annedoti e perle di vario genere. Eccone alcune, rimandando come sempre ad una lettura più approfondita nel link a fine articolo.  Tra i suoi incontri c’è quello con Ornette Coleman…. Lo andai a salutare al termine di un suo concerto e gli regalai alcuni miei dischi. In primavera gli scrissi, invitandolo nella mia casa in campagna, un monastero del ’500 che avevo comprato per poche lire, attraverso un’agenzia, senza vederla, a rate: avevo fatto quattro concerti alla Piccola Scala e volevo coronare il sogno di una casa-laboratorio. Nell’ex refettorio che allora era adibito a stalla avevo allestito un piccolo teatro a cinquanta posti, quanti erano gli abitanti del paese. Lui, tipico dei jazzisti, non mi rispose. L’inverno successivo Ornette era a Roma, per suonare al Music Inn. Mi telefonò: “Pronto, sono Ornette! È ancora valido il tuo invito? Ho la mia band, siamo in sette”. Li andai a prendere alla stazione con la mia spider e due macchine di amici paesani. Era il suo gruppo di jazz elettrico, i Primetime. Facevano un baccano tremendo. Lui si era messo in testa di riprodurre il brusio della metropoli. Erano vestititi da pirati, la gente li guardava allibita! Rimasero una settimana. Una mattina viene da me con il sax e mi fa “Ma non suoniamo?”. Io per delicatezza in quei giorni non gli avevo mai chiesto nulla! Scendemmo in teatro e suonammo per quattro ore in duo. Ero d’accordo con gli abitanti del paese: quando la porta del teatro era aperta, potevano accedere. A poco a poco la sala si riempì di cinquanta spettatori.(Intervista di Daniela Floris a Giorgio Gaslini) Per diventare critico jazz quali caratteristiche bisogna possedere?Posto che, personalmente, non mi sento un critico ma piuttosto un giornalista di jazz (se do dei giudizi, vengono dall’esperienza e dal gusto, ma non dalla musicologia oggi finalmente entrata nel settore), direi che le prime doti restano la curiosità, base di ogni attività culturale, e lo studio costante della storia del jazz. Ammiro il critico militante: quello che sta dalla parte degli artisti (il che ho sempre fatto) e, in più, si mischia alle loro iniziative (questo purtroppo non l’ho fatto mai).(Intervista a Gian Mario Maletto di Gianmichele Taormina) Sapresti descrivere un’emozione o lo stupore che il primo (o l’ultimo) standard ascoltato ti ha provocato nella memoria?Assolutamente no! Se fossi in grado di descrivere le emozioni provate nell’ascolto o nell’esecuzione della musica sarei il più grande scrittore della storia! (ride).Nessuno ci è mai riuscito finora, anzi, nessuno ci ha mai provato, dato che è impossibile! Resta invece il fatto che la musica mi piace perché offre una “via di fuga” dalla realtà; o, per meglio dire, un’alternativa. Una sorta di “mondo parallelo” con i suoi codici e con la sua riorganizzazione del tempo che acquista uno speciale spessore, quasi fisico. Ritengo poi che “verbalizzare” fenomeni musicali sia sempre pericoloso. Può essere utile a scopi divulgativi, ma chi si occupa attivamente dalla “cosa” si trova in difficoltà a parlarne. Almeno a me capita così! In questi casi si cita di solito la risposta di Lester Young alla domanda di un critico sul suo ultimo disco: “Sorry, I don’t talk about my sexual life in public!”(Intervista a Pietro Tonolo di Gianmichele Taormina)Link: http://www.andymag.com/