Mondo Jazz

JAMMIN' THE BLUES


Ho già proposto almeno due volte questo incredibile filmato, ma è passato molto tempo e le cose belle meritano più passaggi.Ricordo ancora il mio stupore la prima volta che vidi Jammin' The Blues, l'immaginifico suono di Lester Young, il passaggio di bacchette di Papa Jo Jones, i ballerini, il bianco e nero coinvolgente: dieci minuti di pura bellezza. Arricchisco il filmato con due commenti eccellenti: Sul piano storico, merita di essere ricordata la partecipazione di Lester [Young] alle riprese e alla colonna sonora di "Jamming' The Blues", un cortometraggio prodotto e super...visionato nel1944 da Norman Granz e realizzato da Gjon Milj, un fotografo del settimanale Life. I rapporti tra il jazz e il cinema non sono stati finora molto felici, sotto il profilo qualitativo, pur avendo, le due arti, tutte le carte in regola per fraternizzare. Fra i primi esempi di riuscita del jazz all'immagine filmica è appunto questo cortometraggio, impostato su un'alternanza, abile fino al virtuosismo, di fondali bianchi e neri e di ombre e di luci, che assieme alla musica, è capace di una profonda suggestione…»Franco Fayenz, Il nuovo jazz degli anni '40, RomaUn prototipo di reportage precursore e dell'attuale videoclip, che metterà in scena i grandi rappresentanti del jazz, nell'attimo vero del loro sforzo creativo. Nel film appaiono il tenor-sassofonista Lester Young (Woodville, Mississippi, 27 agosto 1909 - New York, 15 marzo 1959) e i grandi musicisti della Jazz At The Philarmonic. Questo corto vanta il maggior numero di recensioni entusiastiche e il primato della critica di jazz-film del secolo. Nonostante all'inizio del film la voce over annunci che sta per cominciare una jam-session, quella sorta d'improvvisazione collettiva che vede riuniti un gruppo di jazzman in un atto creativo, questo film, dal punto di vista figurativo è lontanissimo dal concetto di improvvisazione estemporanea. C'è dietro un'elaboratissima costruzione dell'immagine in rapporto alla spontaneità del suono. L'altra protagonista, oltre alla musica è la fotografia che con il suo bianco e nero rigorosissimo, offre poche sfumature intermedie ma lavora con perfezione sui netti chiaroscuri. L'aspetto inoltre interessante è l'occhio del regista sulla negritudine. Con grande intelligenza evita i luoghi comuni di quella teatralità greve e di quel folclorismo falso che all'epoca accentuava spesso un'idea razzista della realtà del mondo dei neri. Non dimentichiamo che siamo in un momento che vedrà esplodere a breve il concetto di jazz come arte. Siamo alle porte di quella rivoluzione che cambiando i connotati folclorico-popolari alla musica afro-americana, ne segnerà definitivamente il destino convertendola in arte.Da http://www.jazzitalia.net/lezioni/cinziavillari/cv_capitolo1.asp#.USaA8qVri_g