Mondo Jazz

BRASS BANG AL SOCIALE DI COMO


Il penultimo concerto della breve tournè italiana del Brass Bang ha come sede il Teatro Sociale di Como. Poi, tra pochi giorni, i quattro musicisti registreranno il primo album come gruppo, cementato da un sodalizio che oramai dura da tre anni e che vede il repertorio iniziale ulteriormente allargato.Non mi soffermo sulle personalità dei protagonisti, credo che la maggior parte delle persone che mi leggono ne conoscano abbondantemente le qualità ed i talenti che nel concerto di ieri sono emersi prepotentemente dando vita ad un set frizzante e coinvolgente durato poco più di un'ora e mezzo.Se nel concerto di Ambria Jazz del 2010 mi era sembrata evidente l'influenza di Lester Bowie e della sua Brass Fantasy ora le ramificazioni dell'ensemble sono certamente più variegate e affondano le radici in territori alquanto diversi tra loro, mantenendo comunque una eccellente unitarietà espressiva ed una dirompente comunicatività.Nella loro proposta c'è la tradizione barocca (Handel con due brani, un tema da Musica per i reali fuochi d'artificio e il celeberrimo Lascia ch'io pianga), la classicità afro-americana (Black and Tan Fantasy di Duke Ellington, Bemsha Swing di Thelonious Monk),  e la sua punta più avanzata (il lirico ed avvolgente Zero di Lester Bowie), ma c'è spazio anche per gli evergreen di sempre (Moon River e, naturalmente, l'immancabile Guarda che luna), composizioni originali di Fresu ed una versione semplicemente fantastica di As Tears Go By, aperta dall'unica lunga parentesi concessa ai delay ed ai suoni filtrati dal computer per poi chiudersi prepotentemente con il ritornello della canzone dei Rolling Stones suonato all'unisono. Come in ogni quartetto fiatistico i compiti sono suddivisi in base alla gamma timbrica di ogni strumento, con naturalmente ampi spazi solistici per ognuno: cosicchè al basso tuba di Marcus Rojas e al trombone di Gianluca Petrella spetta sopratutto l'ancoraggio ritmico, mentre il flicorno di Paolo Fresu e la tromba a coulisse di Steven Bernstein tocca il ruolo del primo e secondo violino nel corrispettivo classico, il quartetto d'archi. Personalmente ho apprezzato molto il ridotto ricorso all'elettronica rispetto all'esperienza concertistica precedente, prediligendo l'approccio acustico che meglio riflette il reale spessore dei musicisti.Impressionante il sostegno propulsivo di Rojas, un motore perpetuo, vero ago stabilizzatore del gruppo che con tre solisti di primissimo piano ha una valenza tecnica ed espressiva di livello assoluto. Una goduria per le orecchie e le menti di un pubblico caldo e numeroso, salutato nel secondo bis con la dolcissima melodia di Non Posso Riposare, antico tema popolare sardo  
  Foto di Marina Magri