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Bergamo Jazz si è concluso ed i commenti sulla rete si intrecciano. Personalmente ho potuto assistere solo alla prima serata, probabilmente la più omogenea delle tre, ma anche in questo caso i commenti divergono. Il soggetto delle controversie è l'esibizione di Myra Melford, una proposta sicuramente troppo poco mainstream per poter piacere a tutti, al contrario di Joshua Redman che invece presenta una confezione extra lusso e super levigata del proprio prodotto perfettamente mainstream e assolutamente sapido per tutti i palati, neofiti compresi.Ho già scritto nel mio commento che, pur avendo apprezzato entrambi i set, ho preferito la ricerca di nuovi ambiti e soluzioni della pianista. Non tutto nel set mi è apparso oliato, qualche lungaggine e qualche pausa fisiologica della tensione si sono ascoltate, ma impossibile non apprezzare la scrittura angolosa e aperta, gli ampi spazi cantabili, le energiche sventagliate dei solisti, il sostegno ritmico puntuto e gommoso, la voce cristallina di Miles, il gioco preciso degli accumuli e dei rilasci di tensione.Certo, anche la persona a mio fianco si muoveva a disagio sulla poltrona guardando nervosamente l'orologio, ma al di la dei gusti è del tutto normale in teatro avere un pubblico più abituato ad essere carezzato che stimolato.Merito di Rava direttore artistico è sicuramente aver allestito un cartellone che, pur con un occhio agli incassi, non si è perso dietro le mode del momento e , memore del successo di Peter Evans lo scorso anno, ha rischiato puntando su nomi non propriamente popolari da noi ( Melford, Wooley, Vandermark).Una felice controtendenza visti i tempi.