Mondo Jazz

DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI (UN) AMORE (SUPREMO)


A Love Supreme è anche il disco che in una certa misura ha ucciso John Coltrane, e qui lʼespressione va intesa in senso perlopiù metaforico, diciamo pure polemico, via. Perché è vero che il sassofonista sarebbe morto di lì a un paio di anni, ma è altrettanto vero che in quei due anni Coltrane produsse dischi non meno importanti del capolavoro dalla costina eccentrica.E però, nella memoria di buona parte di ascoltatori e appassionati, dopo A Love Supreme Coltrane semplicemente scompare. Lo notava già Eric Nisenson, il cui Ascension - Vita e musiche di John Coltrane è in corso di ristampa presso Odoya: descrivendo un concerto-tributo di inizi anni novanta, lo scrittore americano notava che “tutti i suoi traguardi posteriori al 1964 sono stati ignorati”. E poi prosegue: “Come se Trane, dopo le registrazioni di A Love Supreme, fosse morto”. Appunto.Fonte: http://www.internazionale.it/opinione/valerio-mattioli/2015/02/22/capolavoro-john-coltrane-50-anni-a-love-supreme-jazz Coltrane secondo... Claudio Fasoli«Interessarsi all'ultimo periodo di Coltrane è come per un botanico guardare le foglie di un albero: non può farlo senza controllare anche le radici e il tronco. Cosa troviamo infatti nelle sue registrazioni degli ultimi anni? Troviamo materia ribollente, drammatica se non tragica nella sua espressività, soprattutto lacerante, con rare isole di rarefazione. Il discorso è convulso e si sviluppa per moduli improvvisativi sui quali Coltrane si sofferma indagando e scavando, creando quindi episodi quasi autonomi che poi sfoceranno in orizzonti ulteriori. Questo atteggiamento programmatico e improvvisativo è possibile in quanto legato allo sganciamento definitivo da strutture di qualsiasi tipo, come se Coltrane volesse portare a compimento, abiurando l'impiego di temi più o meno armonizzati, la esigenza di esprimersi in assoluta libertà senza nessuna password tematica riconoscibile e/o cantabile.Da questo punto di vista A Love Supreme sembrerebbe quasi datato: esso si colloca però saldamente nel corpus discografico del quartetto storico e ne resta esemplare, simbolico e straordinario reperto. In realtà questo era ciò cui ci aveva già abituati questo quartetto in tutte le precedenti (e future) registrazioni. Successivamente gli si è voluto dare un peso specifico diverso, con riflessioni sul titolo e sulla poesia recitata dallo stesso Coltrane, soffermandosi su temi collaterali che con la musica non hanno relazione alcuna. Per molti A Love Supreme non è il disco "migliore" di Coltrane: è considerato assolutamente rappresentativo di quel suo periodo unitamente ad altri, e quindi è più correttamente definito "uno fra i migliori", per quanto questo possa significare.C'è comunque da dire che il titolo ha la sua parte di responsabilità in questa ambiguità, come ha ben chiarito Ashley Kahn nel suo libro su questo disco. Qui, come altrove, troviamo le qualità espressive del quartetto al vertice e credo che il contributo di Elvin Jones , McCoy Tyner e Jimmy Garrison sia da tenere ancora una volta molto più in considerazione, dato che tutto l'universo coltraniano trova fondamento nel suono che i suoi sidemen erano in grado di fornirgli con una partecipazione che ha portato qualcuno a definire il gruppo , in senso provocatorio e paradossale, il "quartetto di Elvin Jones"!».Coltrane secondo... Francesco Bigoni«Da musicista non amo particolarmente le etichette, pur riconoscendone la valenza comunicativa. Tra quelle che evito accuratamente c'è "l'ultimo Coltrane", per due motivi. Primo: ha un che di funereo e di scolastico, un po' come "l'ultimo Leopardi". Tende ad aumentare la distanza storica tra gli ascoltatori (e i musicisti/allievi) e Coltrane, oltre ad ingabbiare quegli elementi della sua vastissima ricerca che altrimenti sfuggono dalle mani, mortificandone l'organicità e l'umanità. Trattandosi di uno dei musicisti più influenti da cent'anni a questa parte (e non solo in ambito jazzistico) è naturale che il suo suono, il suo fraseggio, le sue strategie di organizzazione musicale siano stati sezionati, sviscerati, divisi in periodi e sottoperiodi; a me piace però pensare che gli elementi di continuità tra il Coltrane dell'Olympia e quello del live alla Temple University siano tanti quanti gli elementi di rottura.Secondo: per me "l'ultimo Coltrane" fu il primo. Se escludo la partenza dalla bella antologia della Atlantic in lp, che è anche il primo disco di jazz che ricordi di avere ascoltato e consumato, è da qui che è iniziata la mia esplorazione sistematica della sua discografia: per qualche motivo saltai a piè pari dal quintetto di Miles ad Ascension, Meditations, Expression. All'epoca era il mio preferito era Ascension. Quell'album mi ha aperto una porta su molta della musica che ho ascoltato in seguito e segnalato l'esistenza di giganti come Pharoah Sanders, Archie Shepp, John Tchicai. Lo trovo ancora oggi dirompente: la ricchezza e l'individualità delle voci dei musicisti coinvolti, la semplicità e l'efficacia dell'organizzazione del materiale, la magia del duo di Garrison e Art Davis e dell'ingresso del solo di Tchicai (nella Edition II)».Fonte: http://www.giornaledellamusica.it/approfondimenti/?id=117195