Mondo Jazz

Maledetta quell'immersione


Poche volte la scomparsa di un artista mi ha colpito come nel caso di quella di Esbjörn Svensson, avvenuta giusto dieci anni fa, il 14 giugno 2008. Sarà stato per la giovane età (44 anni), per le circostanze del tutto inattese (la perdita di sensi durante un'immersione al largo delle coste svedesi, una vana corsa in elicottero presso il più vicino ospedale), oppure perché sentivo la sua musica così vicina, una sintesi di tante componenti, la classica, il jazz, il rock, ricca di risonanze emotive.Avevo mancato la loro prime date italiane ad inizio del millennio, per recuperare con il concerto genovese del Gezmataz nel 2007, splendida vetrina del loro status di gruppo al vertice della creatività artistica e della popolarità mondiale, sancita dalla copertina di Down Beat, prima volta per una band europea. Sta di fatto che dal quel 14 giugno tutto è finito. C'è stata una coda di pubblicazioni postume, i cd "Leucocyte" e "301" che indicavano le nuove direzioni intraprese dalla musica del trio, con l'uso più marcato dell'elettronica.Affluenti del grande fiume E.S.T. hanno continuato il loro corso, con la musica composta ed eseguita come titolare dal batterista Magnus Öström e dal bassista Dan Berglund con i Tonbrucket. Abbiamo ascoltato la celebrazione di EST Symphony, rilettura per orchestra ed ensemble jazz di parte del loro repertorio, ad opera di Hans Ek, che ha diretto la Royal Stockholm Philharmonic Orchestra, con la partecipazione di Öström e Berglund. Ed ora, sempre da parte della ACT, c'è questo doppio cd "Live in London", registrato al Barbican Centre nel maggio 2005, a completare un ideale trittico avviato con il "Live 1995" e proseguito con il "Live in Hamburg" del 2007.Occasione per rinnovare il dolore ed il rimpianto per la perdita di Svensson, ed insieme motivo di gioia per tutti coloro che sono sintonizzati sulle onde sonore del trio, colto in un momento particolarmente felice della propria parabola, all'indomani delal pubblicazione dell'album "Viaticum" qui interpretato per buona parte, e nel corso di un acclamato tour.  In una forma estesa, dieci brani fra i sette ed i diciassette minuti, troviamo tutti gli elementi dell'arte del trio.Il pianoforte del leader, lirico ("In the tail of her eye", la preghiera di "Belief, Beleft, Below" ), classico ("Viaticum"), barocco ("When God invented the coffee break") jazz in tutte le parti improvvisate, in un susseguirsi di climi sonori ed emotivi che esalta, commuove ed appassiona. Il geniale contrabbasso di Berglund, amplificato nella classica trasfigurazione elettronica, ma anche capace di assumere il ruolo di co-leader, come di esemplari voli solisti (ascoltatelo nell'iniziale "Tide of trepidation" o nel tour de force di "Spunky Sprawl").Ed il ritmo di Öström, in grado di evolvere da battito primordiale ad invenzione percussiva raffinatissima. Tutti elementi che dal vivo sono amplificati dalla capacità di interazione ed inventiva istantanea, trasmettendo l'impressione di un'arte collettiva colta nel suo pieno sviluppo . C'è un momento nel disco, quando il tema elementare di "Behind the Yashmak", si accosta alla drammatica linea del contrabbasso, in grado di commuovere fino alle lacrime, come è successo a me. Ed il pensiero, inevitabilmente, torna a quella maledetta immersione che ci ha privato di Esbjorn.  Andrea Baroni