Mondo Jazz

BRAXTON PLAYS FOR LOVERS?


Nel deserto ferragostano succedono cose strane. Nuovamente a digiuno di musica live, mi aggiravo famelico nelle labirintiche stanze della Grande Discoteca Svedese, quando mi sono imbattuto in questo 'strano oggetto' :https://open.spotify.com/album/1wchKjajLlm7U5tXLSIIUQ?si=XMh-pmW3SMm1nh9kwgLjmgD'istinto mi è venuto da sorridere, pensando che di questo passo forse ci possiamo attendere anche un "Braxton plays for Lovers", o quantomeno un suo "Greatest Hits". Facezie a parte, la compilation non è una boutade, ma una raccolta pubblicata da una di quelle etichette inglesi specializzate in ristampe di materiale d'epoca, da tempo inedito. Dobbiamo presumere che l'edizione abbia il pieno avallo del musicista, che del resto ha così messo nuovamente in circolo una selezione delle sue registrazioni Arista della metà degli anni '70: operazione meritoria, visto che si tratta di musica da tempo indisponibile in formato fisico e cui Braxton deve una prima affermazione sulla scena internazionale (en passant, segnalo ai fan di Anthony che gli ineffabili svedesi si sono accaparrati anche l'intera serie degli album Arista completi...).Qualche riflessione viene spontanea: ormai viene per tutti il momento della 'compilation', persino per una figura appartata ed ammantata di reputazione esoterica come Braxton. Questo è uno dei pochi frutti positivi per noi ascoltatori della corsa all'occupazione di ogni e qualsiasi nicchia di mercato disponibile da tempo in corso tra i giganti della musica liquida.E dunque cogliamolo, questo strano frutto: con la facilità ed il disimpegno consentito dalla formula dello streaming, profittiamone per riascoltare con l'orecchio di oggi quegli album degli anni '70 che contribuirono alla inossidabile fama di musicista ostico e difficilmente avvicinabile che ancora oggi Braxton si porta dietro presso vaste fasce del pubblico della musica afroamericana.Non essendo mai stato un suo aficionado, anch'io ho tentato questo riascolto retrospettivo: devo dire che i risultati sono stati piuttosto interessanti e coinvolgenti. Innanzitutto, va detto che gli oltre quarant'anni trascorsi hanno smussato molte delle spigolosità avvertite allora nella musica del chicagoano: direi che parecchie sono nel frattempo quasi inavvertitamente filtrate nel grande fiume del modern mainstream, diventando moneta corrente. Altra cosa che mi ha colpito e che andrebbe rispettosamente fatta rimarcare ai più tenaci detrattori è l'ostinato e metodico confronto costantemente affrontato da Braxton con il grande songbook americano, ciclicamente sfogliato e riletto con serietà ed impegno da un musicista i cui notevoli atout di compositore sono del tutto fuori discussione (al contrario di quelli di altri suoi più celebrati colleghi, che continuano ad infliggerci dimenticabilissimi 'originals'....). Infine, mentre scorrevano le mobilissime e zigzaganti linee di "Creative Orchestra Music 1976" mi è venuto da riflettere sul fatto che Braxton non ha mai cessato di pensare e lavorare in dimensione orchestrale (altro campo a lungo disertato da molti), e che spesso in questo ambito è capace dei suoi risultati più singolari ed affascinanti, tutt'altro che privi di sostanziale comunicativa anche per un ascoltatore munito di media cultura jazzistica; risultati tra l'altro ancor oggi più freschi e stimolanti di tanto algido, monocromo minimalismo che ci giunge dal Nord Europa, tanto per dirlo chiaro.Quindi concediamo una chance anche a "The Essential Anthony Braxton": quantomeno ci risparmieremo gli sbadigli di tanta offerta festivaliera di queste settimane.Franco Riccardi