Mondo Jazz

INTERVISTA A KEITH JARRETT


Prima pagina degli spettacoli interamente dedicata al pianista di Allentown quella del Corriere della Sera di ieri grazie ad una lunga e interessante intervista ad opera di Claudio Sessa. Jarrett è in tournè con il trio e suonerà in Italia il 10 luglio a Perugia (Umbria Jazz) ed il 13 a Brescia in Piazza della Loggia. Inoltre, a dodici anni di distanza, il 14 ottobre Keith sarà di nuovo al Teatro della Scala di Milano. Sempre in ottobre verranno ristampati in un cofanetto i primi tre album del trio, anticipo dei festeggiamenti per il venticinquennale del gruppo che cadrà nel 2008, ed uscirà un nuovo album doppio, My Foolish Heart, registrato dal vivo a Montreaux nel 2001. A proposito del quale Jarrett dice che " è stato un concerto insolito. Molto energico, quasi senza ballad. E a metà serata, all'improvviso, siamo tornati alla musica degli anni trenta e venti, abbiamo suonato anche dei ragtime. Non era mai successo prima e non credo succederà più. E' questa la vera libertà : poter guardare avanti e indietro senza negarsi nulla. La natura profonda del trio non è altro che il cambiamento continuo." Molti i passaggi interessanti dell'intervista,  in passato si era parlato dell'aggiunta alla formazione di un sax ed una tromba, ma sull'argomento Jarrett è lapidario :"Se ne è parlato, è vero. Ora non più. Tre è il numero perfetto: quando in un gruppo c'è uno strumento a fiato non si suona più insieme. Lui è li' che aspetta di cominciare l'assolo, e quando finisce sta sul palco e guarda gli altri...Inoltre c'è da pensare al livello musicale che abbiamo raggiunto. Gary è un eroe: ha il cancro ed ha dovuto subire una operazione molto pesante, ma quando di recente siamo stati in Giappone ha suonato le cose migliori che gli abbia mai sentito fare. Inserire un altro musicista vorrebbe dire modificare tutti gli equilibri, ricostruire da capo la chimica del gruppo, e, per me è finita l'epoca degli esperimenti ; ho il tempo soltanto per suonare al livello migliore che posso raggiungere. Infine non avevo mai trovato, in tutti i gruppi che ho avuto, il livello di fiducia presente in questo trio. Non solo sul piano musicale : abbiamo il fortissimo sentimento di essere una famiglia." Altra osservazione sul fatto che da molto tempo il trio non incide più in studio : " Ha a che fare con quello che dicevo sulla chimica del gruppo. Negli studi di incisione non c'è abbastanza respiro. Io ho bisogno di interagire con ciò che mi sta intorno." Infine, sollecitato dall'intervistatore ad un parere sul fatto che molti musicisti europei ed italiani incidano per la sua stessa etichetta, Jarrett si abbandona a giudizi perlomeno discutibili : "quando ascolto un musicista del vostro continente capisco subito che non è americano. E' una questione culturale: il jazz è un'esperienza che è riuscita a trasformare le sofferenze dei neri nel blues e nello swing. Gli europei non hanno questa cultura. Lo swing è praticamente impossibile da descrivere ed è assolutamente impossibile da imparare: bisogna averlo dentro. E lo swing è il jazz." Nessuno mette in discussione la primogenitura della musica afro-americana, ma nel 2000 ridurre il jazz ad un fatto di nazionalità mi sembra riduttivo, cosi' come limitarne la definizione allo swing. Secondo questo parametro Coltrane, Coleman e tutti i musicisti della New Thing sarebbero esclusi,eppure , a differenza di Jarrett,  loro sono neri....