Se per percorrere i 130 km da Hanoi alla baia di Ha Long ci vogliono tre ore e mezza in Cambogia le strade hanno una caratteristica ancora peggiore: fuori dai luoghi frequentati dai turisti e dalla arteria principale che porta da Pnom Phen a Saigon, gli incontri indesiderabili sono possibili e la sicurezza non è garantita. Il paese è ancora visibilmente lacerato e devastato dalle guerre e dalla conseguente povertà, e questo a discapito di una etnia di animo gentile e accogliente. L'impressione davanti alle condizioni di estrema miseria in cui versa buona parte della popolazione è però singolare: da tutti emana una serenità ed una accettazione quasi inspiegabili per una cultura occidentale cosi' impregnata di materialismo e di spiritualità superficiale. Per me la Cambogia ha rappresentato l'apice emotivo del viaggio: davanti alla rilassata e sorridente popolazione, la prodigiosa natura tropicale è parsa quasi un bilanciamento naturale, il giusto sipario per raccontare una terra tormentata e meravigliosa. L'area archeologica di Angkor è di bellezza stordente: accanto agli incredibili templi costruiti dall'uomo gli archeologi, intelligentemente, hanno lasciato una parte delle costruzioni della cultura khmer cosi' come li hanno trovati, abbracciati e soffocati dalla giungla (vedi foto). L'opera dell'uomo a confronto con quella della natura, che alla fine riesce a prevalere. Quasi un monito lasciato a noi contemporanei. Mentre visitavo Angkor Vat nella mente prepotentemente mi risuonava l'omonimo tema ad opera di Michael Galasso, parte della colonna sonora di quel meraviglioso ed amaro film che è In the mood for love. E tali erano i sentimenti che mi pervadevano durante il percorso: stupore, malinconia, ammirazione. Nell'aria l'urlo lancinante delle cicale e variegati richiami di uccelli.