Mondo Jazz

PIERANUNZI SUONA AL VILLAGE (E LE CANTA PURE...)


 Enrico Pieranunzi ha appena terminato la settimana di ingaggio allo storico club Village Vanguard di New York (6-11 luglio). Chiamato da Paul Motian a completare un prestigioso trio con Marc Johnson,  il pianista romano ha occupato le pagine degli spettacoli di tutti i quotidiani ed i magazine  della grande mela. Prima di volare oltreoceano Pieranunzi aveva concesso una intervista insolitamente pepata a Daniela Floris di OnLine-jazz.net. Abituato a sentirlo ragionare in modo pacato, lontano da ogni eccesso polemico, la sortita del pianista mi ha sorpreso. Interessante comunque l'argomento, da tempo oggetto di polemica (senza peraltro possibilità di soluzione)  anche sui magazine specializzati. Non troppo  difficile infine, tracciare l'identikit del jazzista affetto da "sindrome di Valtur".....Ecco lo stralcio più pungente:“In America contrariamente a quello che pensiamo qui il jazz non interessa molto, è una musica molto minoritaria. New York però non è come il resto dell’ America , è a parte. New York ama il jazz e non sarebbe New York senza il jazz. Ma il resto…basti pensare che discograficamente le vendite di cd jazz in Usa sono appena il 2% del totale di tutti i cd dei vari generi messi insieme…Per fortuna In Italia,Francia e Giappone le vendite di jazz tengono bene, nonostante la crisi e nonostante l’assedio del pop, rock ecc. E anche ai concerti in Italia il pubblico viene numeroso. C’è curiosità, interesse, conoscenza. E non va dimenticato che il jazz è una musica basata quasi esclusivamente sull’ ”innamoramento” da parte dell’ascoltatore, viene scelto cioè a prescindere da passaggi radio (che non ci sono quasi più) bombardamenti pubblicitari, trasmissioni TV (che sono ugualmente sparite…)…c’è una specie di complicità tra artista e pubblico e quest’ultimo, pur non ampio, è fedele agli artisti che ama”.- Stiamo arrivando al punto, credo, che riguarda il jazz in Italia oggi… con la scusa di uscire dalla condizione di “musica di elite” sembra che il jazz vada verso canoni diversi da quelli della scelta o dell’ innamoramento di cui parli tu… per esempio quello della spettacolarizzazione.“ Si, purtroppo è così…Io penso in realtà che la musica buona fa spettacolo, ma lo spettacolo… non fa musica”.- Che ruolo ha la televisione in questa spettacolarizzazione?“Decisivo ed esiziale direi. La televisione la si guarda e non la si ascolta e questo approccio visivo si sta estendendo anche a tutta la musica. In più purtroppo l’Italia è e rimane sostanzialmente un paese di canzonettari, scusa la franchezza. La stragrande maggioranza del pubblico italiano trova la musica strumentale ostica, soffre se la musica non è accompagnata da un testo. Non c’è da noi una tradizione di musica strumentale anche pop come in Francia e Germania, in cui alcune grandi orchestre negli anni ’60 vendevano come cantanti di grido. Siamo sempre il paese del Bel Canto e della Commedia dell’Arte, non dimentichiamolo. E adesso anche nel jazz si va in questa direzione: la musica viene più che spettacolarizzata, teatralizzata, “comicizzata”. A quel punto secondo me tanto vale chiamare sul palco ad esibirsi veri comici professionisti, invece che sedicenti musicisti…”.- La spettacolarizzazione dunque uccide l’improvvisazione?“ Se è nella direzione della “cabarettizazione”, dell’intrattenimento da varietà tv sì. Uccide la musica, non solo l’improvvisazione. Con un paio di effetti collaterali non trascurabili: che si confondono le idee ad un pubblico di suo già non molto educato dalla scuola a distinguere la buona musica dalla cattiva, e che si vanifica il lavoro di generazioni di musicisti che sono riusciti faticosamente ad esportare un’immagine di jazz italiano finalmente valida. Stiamo purtroppo tornando, in nome del “divertiamoci dai, sennò che noia!..” a “italiani= pizza, spaghetti e mandolino”…”- Forse la spettacolarizzazione è lo “zucchero” per far ingoiare piu’ facilmente la pillola dell’ improvvisazione ritenuta complessa e allo stesso tempo “non vera musica”?“ Se fosse così il rimedio sarebbe peggiore del male. E’ un inganno quello di credere e far credere che l’improvvisazione è una cosa complicata. Meldhau, Joshua Redman, Shorter suonano, si esprimono improvvisando, e magnificamente, e il pubblico accorre numerosissimo ad ascoltarli per questo motivo, non per altri. Non mi risulta che quando sono sul palco raccontino molte barzellette o facciano gag…. Dov’è il problema? Sono musicisti e fanno i musicisti. No, non credo che da parte degli “spettacolarizzatori” di cui parliamo ci sia un intento terapeutico…C’è invece una sorta di “sindrome Valtur” che li spinge ad animare un pubblico che loro stessi ritengono, chissà perché, non in grado di comprendere una musica da loro stessi ritenuta “difficile”. In realtà dalla musica così si scappa…e poi la musica è solo bella, o no…”- Quali sono le conseguenze per i giovani jazzisti che si affacciano sui palcoscenici?“ Un giovane musicista (penso fra i tanti ad un dotatissimo pianista che si chiama Claudio Filippini) che oggi voglia veramente, solamente suonare, che ha scelto l’arte dei suoni come veicolo di espressione e comunicazione secondo me si trova in difficoltà. Gli si chiede appunto di “fare spettacolo” e intorno vede esempi di moda che vanno in questa direzione…non è facile…Fonte : http://www.online-jazz.net/wp/2010/07/05/piana-pieranunzi-ed-io/#more-1970