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SONG FOR MY FATHER: RITRATTO DI FAMIGLIA


Horace Silver (born September 2, 1928), born Horace Ward Martin Tavares Silva in Norwalk, Connecticut, is an American jazz pianist. Silver is known for his distinctive humorous and funky playing style and for his pioneering compositional contributions to hard bop. Silver was influenced by a wide range of musical styles, notably gospel music, African music, and Latin American music and sometimes ventured into the soul jazz genre.Song for My Father is a 1964 album by the Horace Silver Quintet, released on the Blue Note label. The album was inspired by a trip that Silver had made to Brazil. The cover artwork features a photograph of Silver's father, John Tavares Silver, to whom the title song was dedicated.A jazz standard, "Song for My Father" is here in its original form. It is a Bossa Nova in F-minor with an AAB head. On the head, a trumpet and tenor saxophone play in harmony. The song has had a noticeable impact in pop music. The opening bass piano notes were borrowed by Steely Dan for their song "Rikki Don't Lose That Number", while the opening horn riff was borrowed by Stevie Wonder for his song "Don't You Worry 'Bout a Thing".Horace Silver — piano Carmell Jones — trumpet Joe Henderson — tenor saxophone Teddy Smith — bass Roger Humphries — drumsMio padre era l'ultimo di dodici figli, sei maschi e sei femmine, l'unico nato in Italia da madre tedesca e padre italiano. Il nonno era emigrato a Zurigo in cerca di lavoro, scarso anche allora in Italia, sopratutto nel suo caso, essendo pittore e scultore. Le uniche e poche commesse italiane provenivano dalle piccole parrocchie di montagna, cosicchè lui, profondamente ateo, si trovava a dipendere dal clero. Molti gli annedoti gustosi che mio padre a questo proposito mi ha raccontato.A diciannove anni mio padre parti' per il servizio militare. Tornò a casa undici anni dopo, due dopo la fine della seconda guerra mondiale. Di lui la famiglia non sapeva più niente dall'otto settembre del 1943.Nel frattempo i genitori erano scomparsi ed i fratelli e le sorelle si erano divisi quello che c'era. Quando arrivò al paese l'unica cosa che possedeva era il vestito che indossava.Leggo sul quotidiano locale di sabato 8 gennaio, del tributo reso a 45 internati nei lager tedeschi avvenuto nel palazzo comunale del mio borgoNon ho bisogno di stigmatizzare il ritardo della commemorazione, che si commenta da solo, avvenuto a 65 anni dai fatti: giovani italiani che hanno rifiutato di giurare per la repubblica di Salò schiavizzati e maltrattati dai nazisti e a stento ricordati dalle istituzioni democratiche in nome delle quali tanto hanno sofferto fisicamente e moralmente.Solo una classe politica negletta, di scarsa statura morale e culturale come quella espressa ininterrottamente dal nostro paese dal dopo guerra ad oggi poteva scordare i propri figli.Detto questo, e appresa con soddisfazione la notizia, mi permetto di dubitare dei criteri mediante i quali si è pervenuti all'elenco dei 45 nominativi degli internati. Lo dico con cognizione di causa, essendo figlio di uno dei cosiddetti "schiavi del Reich" che però non figura tra i riconosciuti dal comune ma invece è tra i nominativi dei deportati sul sito a loro dedicato .Mio padre è scomparso da 30 anni, anche in seguito ad una salute minata da due anni terribili in campo di concentramento, lui figlio di madre tedesca e con una perfetta conoscenza della lingua, tenuto in prigionia a pochi chilometri dal paese materno in nome di una scelta di libertà e democrazia.Ancora mia madre conserva la piastrina metallica che lo identificava nel lager oltre a documenti e fotografie. Non rivendico niente, tanto meno medaglie, per le quali mio padre ha sempre avuto una giusta e condivisibile allergia.A lui hanno tolto la gioventù e molti anni di vita, nessuna medaglia potrebbe cambiare questa verità: lui avrebbe commentato questa notizia con una risata amaraDimenticato tra i dimenticati, ultimo tra gli ultimi.Grazie Italia, paese magnifico e terribile, per aver scordato ancora una volta mio padre.