Creato da pierrde il 17/12/2005

Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

violoncello, voce, Hank Roberts

pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig

trombone, Filippo Vignato

vibrafono, Pasquale Mirra

batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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Dall'immenso archivio di Radiotre č possibile scaricare i podcast di alcune trasmissioni particolarmente interessanti per gli appassionati di musica nero-americana. On line le puntate del Dottor Djembč di David Riondino e Stefano Bollani. Da poco č possibile anche scaricare le puntate di Battiti, la trasmissione notturna dedicata al jazz , alle musiche nere e a quelle colte. Il tutto cliccando  qui
 

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Messaggi di Luglio 2012

PAGANESIMI ELETTRICI

Post n°2342 pubblicato il 31 Luglio 2012 da pierrde

Mi sono imbattuto casualmente in un blog che promuove un e-book, scaricabile gratuitamente, ed ho iniziato a leggere.

Si tratta di cinque racconti a tema musicale, in cui la normale recensione di un album viene romanzata.

Può piacere o meno, ma quello che mi ha colpito in particolare è l'introduzione allo scritto:

 

Nel cyberspazio dei blog musicali, e in verità anche tra le pagine della stampa specializzata, la “recensione” dell’album è ancora uno dei pezzi forti, il formato perfetto per ogni post, per ogni colonna da riempire, soprattutto per fare, nel bene e nel male, un po’ di propaganda. Eppure c’è sempre qualcosa che non convince del tutto.

Sul versante internet, per esempio, è quasi inevitabile che ogni blogger finisca per recensire ciò che più ama e di cui ha più piacere di scrivere e diffondere, col risultato che sommando le opinioni di ogni spazio web abbiamo sempre album “fantastici, eccellenti, seminali…”. Non per scarso spirito critico o eccessiva superficialità, ma per troppo amore verso la propria musica.

Una seconda considerazione, più ampia, che può interessare anche la carta stampata: ha ancora utilità recensire un album in un’epoca in cui chiunque, in pochi secondi, può ascoltarlo senza spendere un centesimo? E’ ancora un’ opinione utile o semplicemente pubblicità? Chi si ricorda gli anni ’80 e ’90 si ricorda anche di prezzi in vertiginosa ascesa, compact disc che all’alba dell’Euro erano arrivati a costare ben oltre le 35.000 lire.

Certo che all’epoca, in mancanza di uno spazio comune sul web, ogni acquisto doveva essere ben ponderato, e prima di spendere somme che per qualcuno, per tanti ragazzi squattrinati, potevano essere anche importanti, documentarsi era d’obbligo. Si può dire lo stesso oggi?

Greil Marcus, in tempi non sospetti, già sosteneva che "la recensione musicale è una forma morta. A nessuno frega un cazzo di cosa pensi di un disco che hai recensito". Ultima considerazione, o meglio provocazione: ma l’album si ascolta ancora nella sua interezza?

O forse si riversano centinaia di canzoni in playlist infinte, ordinate un po’ a caso sull’ I-Pod, scaricate chissà da dove e suonate chissà da chi? Partendo da questo triplice ragionamento, cercando di sfuggire alla stereotipata tendenza di incensare l’album perfetto, di usare le solite “frasi fatte” da buona recensione e provando a non offrire solo opinioni “private” e personalismi scritti, sono nati questi “Paganesimi Elettrici”.

Non si è rinunciato ai dischi preferiti, bisogna ammetterlo, ma si è cercato di collocarli, ricontestualizzandoli per semplici associazioni di idee, in una prospettiva – perché no? – letteraria tutta differente. Ne sono così risultate recensioni romanzate, o meglio romanzesche, anche nel senso più manierista del termine, che inseriscono un gruppo rock, un suo album, la sua storia, in uno scenario spazio-temporale completamente differente.

Per continuare la lettura cliccare sul link:

http://theevilmonkeysrecords.blogspot.it/

Invece per quanto riguarda le considerazioni introduttive ammetto di esserne colpito e in parte la mia voglia di bloggare (mi si passi il termine) sta un pò vacillando. Ci devo riflettere per un pò...

 
 
 

TUBOLIBRE BAGNATO: LA PIOGGIA FERMA AMBRIA

Post n°2341 pubblicato il 29 Luglio 2012 da pierrde

Il sabato sera nella centrale piazzetta Martinengo si svolge storicamente il momento culminante di Ambria Jazz.

In parte è stato cosi' anche ieri sera, fino a che Giove Pluvio ha posto impietosamente fine nel momento più emozionante dell'esibizione del quartetto di Gianluca Petrella.

Prima di Tubolibre sul palco era sfilata una brass band italo-svizzera con un repertorio da orchestre anni '60 stile Perez Prado: simpatici e divertenti ma sopratutto apprezzati per la brevità (....) visto l'incombere di nubi minacciose.

C'è stato anche un momento tra ironia e ricerca quando Mirko Guerini, sax soprano, e Mirio Cosottini, tromba, hanno effettuato il "ritratto sonoro" del patron del festival Giovanni Busetto, e prima di lui a Marina Cotelli, assessore alla cultura del Comune di Sondrio.

Ma il piatto forte della serata era Tubolibre, il quartetto del trombonista pugliese Petrella. Il repertorio presentato attingeva all'album Slaves uscito nel 2010, dove nella formazione figurava ancora Mauro Ottolini oggi degnissimamente sostituito dall'inglese Oren Marshall alla tuba.

Un gruppo compatto e tosto che presenta una musica fortemente contaminata con l'energia del rock e con l'uso abbondante di elettroniche, anche troppo, tanto che ad un certo punto il ritorno ad un assolo acustico di trombone mi è parso ristoratore e rinfrancante. 

Detto fuor di metafora non è la situazione musicale nella quale vedo meglio il trombonista, a mio parere di gran lunga preferibile in altri contesti (dal gruppo di Rava a quello di Previte, per non parlare della splendida Cosmic Band di cui è leader).

I miei parziali dubbi sul progetto non inficiano però l'energia di una formazione coesa con un ammirevole Marshall, pulsante motore di ritmo, un chitarrista mai sopra le righe e sempre propositivo, Gabrio Baldacci, ed un batterista tecnicamente dotato, Cristiano Calcagnile, che mi piacerebbe riascoltare in un ambito più jazzistico.

Petrella come sempre ha fatto la sua parte con generosità e lucidità, il solito imprescindibile controllo dello strumento che gli deriva da un tecnica impressionante. Mi sembrava che la serata stesse veramente decollando con l'inizio di Cypress Groove, tirata e swingante come mai, quando le prime gocce hanno presagito quello che nel giro di pochi minuti poi è successo.

Il gruppo ha finito il brano lasciando il rimpianto di una esibizione troppo corta, circa tre quarti d'ora, ma sopratutto nel momento migliore del concerto in cui stava quagliando una intesa ed uno scambio di massimo livello.

Per me Ambria 2012 finisce qui. Troppo lontani geograficamente gli ultimi appuntamenti. Spero in una nuova edizione allietata da grandi nomi e da ottime previsioni metereologiche. 

 

 
 
 

DUE TASTI DI TROPPO

Post n°2340 pubblicato il 28 Luglio 2012 da pierrde

Un pò di buon umore da un blog solitamente serissimo, quello di Doug Ramsey, giornalista, scrittore e critico musicale americano.

La foto proviene da Malcom Harris l'editor della biografia di Paul Desmond scritta da Doug.

La didascalia precisa che si tratta di un piano speciale pensato per hip-hop e rap, sottolineando la scarsa musicalità che spesso confina con la rozzezza dei due generi.

Ovviamente i commenti si sono sprecati, da chi richiama gli appassionati di jazz, secondo mitologia notoriamente persone dalle orecchie aperte, ad una maggiore tolleranza e comprensione a chi ribatte piccato che si, le orecchie sono aperte, ma solo per la musica...

Miglior commento quello di un lettore che sottolinea come, per i rapper e per l'hip-hop, questa tastiera presenti almeno due tasti di troppo...

Personalmente ho vissuto il post nell'unica maniera secondo me possibile: con ironia. Per quanto riguarda poi il rap posso solo dire di esserne culturalmente e linguisticamente tagliato fuori. Per l'hip-hop invece la mia avversione è fisica: non posso proprio considerarlo. Mi spiace per Robert Glasper.

 
 
 

AMBRIA UNO E DUE: LE SERATE CONCLUSIVE

Post n°2339 pubblicato il 28 Luglio 2012 da pierrde

La quarta edizione del festival valtellinese è giunta alle quattro serate clou dell'intera rassegna. Iniziata in coincidenza con la più blasonata Umbria Jazz e proseguita sempre in coincidenza con il festival di Clusone, praticamente mi ero perso tutta la prima parte ed i concerti conseguenti.

Ambria è il nome di una località montana dove il festival storicamente fa tappa il sabato conclusivo con concerto, lettura di poesie dialettali e, non poteva mancare, polentata per tutti. Questo per inciso va detto per comprendere lo spirito del festival, a metà tra la festa di paese e la rassegna musicale in un clima di amicizia e di conoscenza. Ovvio che in un simile quadro la musica jazz non sia la sola rappresentata, anche se certamente occupa lo spazio maggiore e con le proposte qualitativamente più importanti.

Ecco spiegata la presenza di musiche popolari, di lotta e rivendicazione sociale ma anche di montagna. A completare il quadro va detto che le differenti serate si svolgono in locations sempre diverse e sempre affascinanti. Purtroppo tutte piuttosto lontane da me, che di conseguenza mi sono trovato a dover operare una selezione piuttosto ardua.

I concerti sono tutti gratuiti, fatto che se ha favorito una più che consolante affluenza di pubblico ha evidenziato anche i classici risvolti negativi, dal rumore di fondo al vagolare distratto dei molti. Per la natura popolare e paesana degli eventi era piuttosto evidente che gli appassionati, merce rara in Valtellina, erano netta minoranza: buffo vedere gli sguardi di circostanza alle spiegazioni della cantante sui temi di Horace Silver, Rachel Gould o Kenny Wheeler, perfetti sconosciuti ai più e già piuttosto provati per via del buffet vinicolo offerto

( corde sensibili dalle mie parti ...).

Molto divertenti anche le dissertazioni spericolate in tema musicale di politici e rappresentanti locali: speriamo che la loro materia non la conoscano come il jazz se no stiamo freschi. Finite le note di colore passiamo alla musica.

La prima serata la definirei interlocutoria: un gruppo locale rinforzato da Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso ha aperto dignitosamente la strada a Lingue di Fuoco, un progetto che vedeva la batteria di Cristiano Calcagnile, la voce di Monica Demuru e solo due dei quattro chitarristi annunciati nel programma: Gabrio Baldacci e Lorenzo Corti.

Un set che ha affastellato brani dalla provenienza disomogenea (Da Nilla Pizza a Bjork passando da Patty e Bessie Smith, Joni Mitchell, Maria Carta....) trattati e assimilati ed infine restituiti in una veste omogenea ma che, proprio per questo, ha appiattito ogni differenza in un gioco tra psichedelia e rock che alla lunga ho trovato piuttosto piatto e discutibile al di là dell'indubbio valore dei singoli musicisti.

Ascoltare la ninna nanna Antoneddu di Maria Carta in versione rock progressive mi ha ricordato che la strada del ritorno era lunga e la decisione quindi inevitabile.

La seconda serata si apre finalmente con un grande protagonista, Gianluca Petrella, che non tradisce affatto le aspettative e si produce in un solo vibrante e ispirato per più di un'ora in uno scenario fiabesco, Castel Grumello al tramonto, tra vigne e paesaggi montani. Come al solito il ricorso all'elettronica è una risorsa  indispensabile per la fantasia del trombonista pugliese che si raddoppia, semina basi ritmiche, inventa echi con il delay, si produce in una divertente e raffinata versione di Over The Rainbow e incalza il pubblico passando tra le file con il suo trombone incandescente.

Dopo tanta grazia decido che nessun'altra musica può competere e mi ritiro largamente soddisfatto senza ascoltare il secondo gruppo locale (spero non me ne vogliano, ma già li ho ascoltati altre volte in concerto).

Ambria Jazz è diventata un punto di riferimento culturale molto importante in Valtellina. Ad onore del vero la concorrenza non è certo spietata, ma il lavoro e la passione di Giovanni Busetto e di tutta la sua squadra meritano l'elogio incondizionato di tutti gli appassionati.

Sabato sera all'insegna di Tuba Libre, il gruppo di Petrella. A domani per le cronache. 

 

 
 
 

IL TRIO DI JARRETT IN ITALIA: MAGIA O FREGATURA ?

Post n°2338 pubblicato il 26 Luglio 2012 da pierrde

 

 

Il trio Standard di Keith Jarrett, Gary Peacock e Jack De Johnette è in Italia e ha già dato due concerti a Genova e a Torino.

Le prime reazioni sul web sono contrastanti. Del concerto genovese ho rintracciato una sola recensione, il cui titolo già è esplicativo (Due ore di pura magia), mentre il concerto torinese ha suscitato reazioni alquanto diverse documentate sul blog Mi Piace il Jazz.

Non entro ovviamente nel merito non avendo assistito a nessuno dei due concerti, mi limito a segnalare i link e a solidalizzare con il commento di Loopdimare quando invita gli appassionati a disertare concerti dai prezzi esorbitanti condotta che pratico personalmente da anni.

 

http://genova.mentelocale.it/47388-keith-jarrett-al-carlo-felice-due-ore-pura-magia/

 

http://mipiaceiljazz.blogspot.it/2012/07/su-keith-jarrett-torino.html#comment-form

 
 
 

CHRISTIAN SCOTT - CHRISTIAN aTUNDE ADJUAH (CONCORD) 2012

Post n°2337 pubblicato il 25 Luglio 2012 da pierrde
 

1-1 Fatima Aisha Rokero 4005:41 1-2 New New Orleans (King Adjuah Stomp)5:01 1-3 Kuro Shinobi (Interlude)2:25 1-4 Who They Wish I Was5:42 1-5 Pyrrhic Victory Of Atunde Adjuah5:17 1-6 Spy Boy / Flag Boy4:45 1-7 Vs. The Kleptocratic Union (Ms. McDowell's Crime)6:00 1-8 Kiel6:14 1-9 Of Fire (Les Filles De La Nouvelle Orleans) Alto Saxophone – Louis Fouche* Trombone – Corey King 4:15 1-10 Dred Scott4:29 1-11 Danziger10:38 2-1 The Berlin Patient (Ccr5)3:50 2-2 Jihad Joe5:56 2-3 Van Gogh (Interlude)1:35 2-4 Liar Liar Trombone – Corey King 5:41 2-5 I Do Tenor Saxophone – Kenneth Whalum III* 4:03 2-6 Alkebu Lan5:33 2-7 Bartlett7:01 2-8 When Marissa Stands Her Ground Alto Saxophone – Louis Fouche* Trombone – Corey King 6:24 2-9 Cumulonimbus (Interlude)2:26 2-10 Away (Anuradha & The Maiti Nepal) Trombone – Corey King 7:03 2-11 The Red Rooster3:37 2-12 Cara

Bass – Kristopher Keith Funn Drums – Jamire Williams Guitar [Guitars] – Seth Presant Piano, Electric Piano [Fender Rhodes], Harpsichord – Lawrence Fields  Trumpet, Siren, Siren [Sirenette], Flugelhorn [Reverse Flugel], Producer – Christian aTunde Adjuah*

Nei negozi il doppio nuovo album di Christian Scott uscirà solo il 31 luglio ma grazie al portale della radio americana NPR, e ai numerosi siti di downloading, è possibile già da giorni ascoltare e valutare il lavoro di uno dei giovani musicisti nero-americani più interessanti e personali.

La foto di copertina ed il nome dell'album già aprono un ventaglio di indicazioni all'ascoltatore: il titolo è il nome completo del trombettista all'interno della tradizione della comunità Black Indian of New Orleans che da più di tre secoli custodisce e preserva le tradizioni dei nativi americani e degli africani.

La foto ritrae Christian con l'abito tradizionale del Mardi Gras. Anche la famiglia ha una notevole importanza, e se il nonno era un grande capo della comunità Black Indian, lo zio è il sassofonista Donal Harrison, che insieme a Terence Blanchard costitui' la sezione fiati di una delle ultime straordinarie formazioni dei Jazz Messangers di Art Blackey.

Anche i titoli dei brani aprono prospettive utili alla comprensione del musicista; se alcuni sono ritratti della madre (Cara) o del fratello gemello (Kiel), altri sono un personale manifesto politico e di impegno civile (Fatima Aisha Rokero 400, Miss McDowell Crime, Danzinger). 

La voce strumentale di Scott è assolutamente formata e già immediatamente riconoscibile grazie a quella che lui chiama Whisper Technique, caratterizzata dal respiro e dalla vibrazione assolutamente percepibili.

La musica si discosta nettamente da quello che si potrebbe immaginare come il back-ground di New Orleans con tutte le molteplici influenze e radici che la città riassume. Mentre il suono purissimo della tromba si libra nell'aria, dietro e sotto di essa si muove un gruppo omogeneo e compatto, che prende ispirazione dalla psichedelia e dal rock molto più che dalla tradizione jazzistica.

Il contrasto funziona, i brani più riusciti sono un misto di ritmiche e colori ipnotici sovrastati dal soffio caldo e vibrante della tromba. Perfetto esempio è New New Orleans (King Adjuah Stomp) dove la batteria e la chitarra hanno una funzione di pari importanza rispetto al solista, richiamando atmosfere e situazioni che fanno pensare immediatamente ai Radiohead.

Se un appunto va fatto a quest'opera intrigante è sicuramente sulla durata e sulla quantità dei brani, ben ventitre. Una scelta più stringata ed asciutta avrebbe prodotto un singolo album di livello altissimo, ma anche cosi' l'ascolto non può che essere attento ed ammirato . 

Ascoltate l'album sul link che riporto, ne vale la pena.

V A L U T A Z I O N E :   *  *  *  *

Link:  

http://www.npr.org/2012/07/22/157100540/first-listen-christian-scott-christian-atunde-adjuah

 

 
 
 

ANTONIO TABUCCHI: OMAGGIO A SONNY ROLLINS

Post n°2336 pubblicato il 24 Luglio 2012 da pierrde
 

L

Lo Hot-Dog era un locale minuscolo, con un bancone e pochi tavoli. Non era molto affollato, per fortuna. Quella sera non avevo voglia di folla. Ma forse in quella nebbiosa sera di domenica i lisbonesi non erano in vena di sentire il jazz. Sulla porta c’era un manifesto con scritto: Il sassofono di Tecs. E poi, sotto: Omaggio a Sonny Rollins. 

Inizia cosi' il breve racconto inedito di Antonio Tabucchi pubblicato ieri sulle pagine culturali de La Repubblica.

Protagonista è Tecs, una sassofonista innamorata di Sonny Rollins ed il brano Everything Happens To Me, una ballads che invece io propongo nella versione di Massimo Urbani.

Per chi si fosse perso il testo sul quotidiano ecco un link per poterlo leggere:

http://www.dirittiglobali.it/index.php?view=article&catid=35:libri&id=34985:antonio-tabucchi&format=pdf&ml=2&mlt=yoo_explorer&tmpl=component

 

 
 
 

SLEEPER

Post n°2335 pubblicato il 23 Luglio 2012 da pierrde

Ha dormito per oltre trent'anni, negando alle nostre orecchie un'intesa sonora incredibile e unica. Ma forse e' stato meglio cosi'. Perche' adesso, tirato fuori dalla cantina dopo un lungo invecchiamento, "Sleeper", l'ultimo doppio album live di Ecm con Keith Jarrett e Jan Garbarek ci ricorda cosa e' un quartetto, come funziona la sintonia tra gli strumentisti, e da dove arriva l'energia di un concerto dal vivo.

Proprio mentre in In Italia il pianista torna con una nuova tournee'. Registrato il 16 aprile del 1979 a Tokyo, "Sleeper" appartiene alla ristretta discografia di quel gruppo che passo' alla storia della musica con il nome di "Belonging", dl primo album, oppure con quello di "Quartetto europeo" di Keith Jarrett.

Accanto a Jarrett e Garbarek si muovevano Palle Danielsson al basso e Jon Christensen alla batteria e percussioni. Prima di "Sleeper" e dopo "Belonging" ci sono stati "My Song" (1977), "Nude Ants" (1979), e "Personal Mountains" (registrato nel 1979, ma pubblicato dieci anni dopo).

Nel doppio cd pubblicato oggi sono finite composizioni come "Personal Mountains", "Innocence", "So Tender", "Oasis", "Chant of the Soil", "Prism" and "New Dance", scritte appositamente perche' potesero essere suonate da un ensemble che Ian Carr, biografo di Jarrett, defini' di "straordinaria influenza" per la musica contemporanea e a venire. "Io stesso", ha avuto modo di dire Jarrett al tempo, "nel ruolo di cosiddetta guida, vorrei spesso mescolarmi agli altri musicisti e questa situazione lo permette perche' nessuno vuole prevalere sugli altri".

Energia, improvvisazioni e scambi eccezionali, passaggi lirici di selvaggia bellezza. Perfetta ma misteriosa l'intesa tra Garbarek e Jarrett, Danielsson e Christensen forniscono una base ritmica deliziosa e vivace. "Fu per me", racconto' Garbarek qualche anno fa, "un periodo cruciale, nel quale lavorai, giovane e con poca esperienza, a stretto contatto con qualcuno musicalmente molto avanti come Keith. Sentivo che stavo traendone gran profitto. Il suo tocco, il ritmo sempre presente, le sorprendenti svolte melodiche, l'abilita' di suonare il piano in un modo unico, semplice e complesso al tempo stesso. Quello che resta nella mia memoria e' il modo di suonare all'unisono, un senso di appartenenza".

Belonging, appunto. Il Quartetto cesso' di esistere dopo il tour in Giappone. "Quando", e' ancora Carr a parlare, "era al culmine della creativita'".

Keith Jarrett e' in tour in Italia con il trio insieme a Gary Peacock e Jack DeJohnette. Il 23 luglio sara' a Genova, il 25 a Torino, il 27 a Bari e il 29 all'Auditorium di Roma.

FONTE:(AGI) 

Sto ascoltando mentre scrivo il doppio album in oggetto. Le similitudini con Personal Mountains sono ovviamente molte, le registrazioni sono distanziate di pochi mesi ed il repertorio è più o meno lo stesso, ma l'energia ed il fuoco che pervadono questo Sleepers sono veramente degne di grande interesse. 

C'è un Jarrett giovane straripante per ispirazione e concentrazione, e la musica pur con alcune caratteristiche tipiche di quel tempo, è ancora fresca e spumeggiante a distanza di oltre trent'anni.

Certamente sembra una proposta più "giovane" rispetto ai forse troppi album con lo Standards Trio dove ogni tanto ci si adagia su una inevitabile routine pur se di alto livello. In Sleepers invece non c'è un attimo di pausa: la sorgente della creatività era in piena. Le melodie, bellissime, lasciano spazio ad assoli torrenziali e potenti. Ascoltate i ventotto minuti di Oasis (ben 10 minuti in più rispetto alla versione su Personal Mountains): onirici, lirici, magici, con Jarrett al flauto e alle percussioni, una musica antica e moderna, sismica e mistica allo stesso tempo.

Credo che per molti giorni il mio lettore sarà occupato....

 

 

 
 
 

NON C'E' (E)SPERANZA

Post n°2334 pubblicato il 23 Luglio 2012 da pierrde

Franco Fayenz, uno dei decani della critica italiana, traccia le sue personali conclusioni della edizione appena conclusasi di Umbria Jazz sul quotidiano della Confindustria, Il Sole 24 Ore.

Ne esce un ritratto che divide, secondo i gusti e le opinioni del giornalista, il buono dal meno buono tra ciò che ha ascoltato.

Del primo campo fanno parte il quartetto di Shorter, Renato Sellani con Massimo Moriconi e la Lydian Sound Orchestra, su quest'ultima aggiungendo un particolare che mi permette di correggere la mia recensione: i brani letti da Franco Costantini non erano di Benni bensi' di Geoff Dyer e di Laurent De Wilde.

Sempre tra i concerti riusciti Fayenz cita l'orchestra diretta da Ryan Truesdell con l'apporto di Bosso e Fresu, concerto che aveva suscitato anche la mia totale ammirazione.

A sorpresa e forse un pò ingenerosamente il critico mette Pat Metheny tra i concerti discutibili, con mio stupore (ma non c'ero) anche il gruppo di Dave Douglas e Joe Lovano. Senza nessuna meraviglia (anche se ancora non ero a Perugia) tra i reprobi finisce Hancock, Esperanza Spalding (dal commento di Fayenz rubo la battuta del titolo) e, in parte, anche Sting.

L'articolo completo cliccando : 

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-07-20/umbria-jazz-2012-finale-210212.shtml?uuid=AbrfA8AG

 
 
 

CLUSONE JAZZ: TOCCATA E FUGA

Post n°2333 pubblicato il 22 Luglio 2012 da pierrde

Da diversi anni a questa parte la mia partecipazione al festival di Clusone è costituita da una rapida toccata e fuga, e anche questa volta non ho fatto eccezione.

Peccato, il programma nonostante le sforbiciate dettate dalla crisi economica presentava nomi e proposte all'altezza della solida fama conquistata nel tempo dal festival bergamasco.

Eccomi quindi a Clusone nella giornata per me più comoda, il sabato, e con un cartellone che inizia nel tardo pomeriggio con una solo performace di Boris Savoldelli.

Ironico e auto-ironico il cantante ha dato vita ad un set brioso, agile e intelligente, permeato di riferimenti e citazioni. Il suo repertorio spazia dai classici (I Mean You di Monk, Tomorrow Never Knows dei Beatles, Foxy Lady di Hendrix), alle ballads della tradizione americana e anche a composizioni originali. 

L'uso delle elettroniche (prevalentemente un delay) permette al cantante di creare una vera orchestra sulla quale cantare o improvvisare usando lo scat. Il modello è palesemente Bobby McFerrin, ma Boris si caratterizza per l'indispensabile utilizzo delle elettroniche, spostando il confronto sul piano della ispirazione iniziale e differenziandosi alquanto nei risultati.

La serata inizia con un duo inedito, Umberto Petrin al pianoforte e Pheeroan Aklaff alla batteria. Il terreno prescelto è l'amato booklet di Thelonious Monk che viene però riletto in una chiave decisamente contemporanea, spesso astratta, con un sapiente smontaggio e una conseguente ricostruzione delle melodie originali.

Quattro brani compreso il bis, con la iniziale Epistrophy riconoscibile per brandelli di melodia solo dopo diversi minuti di libera improvvisazione. Segue una estenuata ed estatica versione di Round Midnight, una sapida e gioiosa San Francisco Holiday ed una meditativa e pensosa Misterioso eseguita come bis.

Concerto breve, solo tre quarti d'ora, ma che da solo valeva il viaggio a Clusone.

La serata è chiusa dal settetto di Simone Guiducci che riascolto dopo diverso tempo dall'uscita dell'ultimo cd. Trovo una formazione leggermente ritoccata ma ampiamente collaudata rispetto all'album. Musica spumeggiante con solisti caldi ed in ottima forma che danno vita ad un set lungo il giusto, carico di ritmo ed emozione, divertente e swingante.

Andandomene da Clusone auspico fin dalla prossima edizione di poter partecipare almeno alle serate conclusive senza più i condizionamenti della distanza e del lavoro che incombe. Chissa'....

 
 
 

IL JAZZ DI OGGI NON MI PIACE

Post n°2332 pubblicato il 22 Luglio 2012 da pierrde

«Voglio dire una cosa che forse qualcuno potrebbe equivocare: non mi piace il jazz com'è oggi. Non mi piace la cosa in cui il jazz è stato trasformato. È una roba accademica, pensata per tenere in esercizio i critici, molto diverso dalle cose che suonavo io negli anni Settanta, dalla musica di Don Cherry». Trilok Gurtu

Intervista di Francesco Prisco - Il Sole 24 Ore - leggi su 

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-07-20/trilok-gurtu-torna-italia-201918.shtml?uuid=AbeW64AG

 
 
 

NUOVE PROPOSTE CRESCONO

Post n°2331 pubblicato il 20 Luglio 2012 da pierrde

Dall'alto (?) dei miei sette anni da blogger mi sento oramai un "anziano" nel settore, tanto da poter ricordare la comparsa (e spesso la scomparsa) di numerosi blog dedicati alla musica jazz.

Naturalmente sto parlando di blog italiani e i nomi che più frequento li potete trovare nel box a fianco sotto la dicitura di Talkin' Jazz. Negli ultimi tempi però fortunatamente l'offerta si sta ampliando, e colgo pertanto l'occasione di segnalare nuovi spazi che magari tanto nuovi non sono ma che, almeno qui su Mondo Jazz, compaiono per la prima volta.

Sperando di non fare torto a nessuno prima ribadisco i miei preferiti, quelli cioè che praticamente visito quotidianamente: Percorsi Musicali, che apprezzo grandemente per lo sguardo a 360 gradi sulla musica tutta, Mi Piace il Jazz per le notizie e le segnalazioni e Jazzfromitaly per l'amore incondizionato verso il jazz italiano.

Spesso consulto poi il blog di Massimo Nunzi, scrittore e musicista, La Fanfara Frenetica prevalentemente orientato verso la scena nazionale e i suoi protagonisti; Hibou, Anemone & Bear, invece è più vicino all'area di rock-jazz Canterbury e alla free scene, ma è sempre prodigo di link e informazioni preziose.

Free Fall è più un lavoro collettivo che un blog, recentemente ha anche chiamato a raccolta nuove leve di scrittori per il jazz, ma si occupa con puntualità di recensioni e notizie ed ha un taglio spigliato e immediato. 

Scrivere di Jazz è il blog di Giuseppe Mavilla ed il formato prescelto è quello delle recensioni di album, agili e pertinenti.

Impressioni Jazz ed altro è lo spazio di Ebo Del Bianco, giornalista e scrittore indipendente, dotato di un approccio insolito e molto personale alla materia musicale.

La Musica che Sento è un blog propedeutico e pedagogico, indicato sopratutto ai neofiti, ma comunque lettura piacevole per chiunque.

Tuttojazz è opera di Loopdimare, ben conosciuto a chi frequenta il mio blog per la puntuale partecipazione alle discussioni.Sul suo spazio predominano i video integrali di concerti di protagonisti della musica afro-americana.

Termino questa breve escursione nella blogosfera con la segnalazione di due presenze femminili, voci cosi' rare che immediatamente si conquistano lo spazio in questo post:

E Tenebris In Lucem non è propriamente un richiamo alla musica jazz ma Francesca Paolucci ha uno sguardo privilegiato verso la musica afro-americana che occupa una buona parte del suo blog.

Nemmeno I'm Not a Groupie sembrerebbe dal nome occuparsi di quello che invece Elena Giorgi ama follemente: il jazz. E anche se attualmente in prima pagina compare un colorato avviso, "chiuso per vita", la sua autrice poi ricompare puntualmente con le notizie della scena milanese.

 

 

http://www.linkiesta.it/blogs/fanfara-frenetica

http://www.hibou-anemone-bear.com/

http://www.freefalljazz.tk/

http://scriveredijazz.blogspot.it/

http://ebodelbianco.blog.tiscali.it/?doing_wp_cron

http://lamusicachesento.blogspot.it/

http://loopdimare.blogspot.it/

http://francescapaolucci.blogspot.it/?zx=f68a111c41319e35

http://www.imnotagroupie.org/

 
 
 

SPENDING REVIEW A UMBRIA JAZZ

Post n°2330 pubblicato il 18 Luglio 2012 da pierrde

Chiudo le mie note da Perugia parlando dei concerti ai quali ho assistito al Teatro Morlacchi, nell'ordine Lydian Sound Orchestra, Ambrose Akinmusire e Melody Gardot.

L'orchestra diretta da Riccardo Brazzale ha presentato un set intero dedicato alle musiche di Monk, repertorio nel quale si è praticamente specializzata, con l'apporto di un attore che tra un brano e l'altro recitava passi della vita di Monk, testo credo preso da Viaggio nel Silenzio di Stefano Benni.

Un ottimo set contrassegnato da un approccio estetico contemporaneo, con personali riletture di alcuni dei brani più famosi fatte sopratutto valorizzando la componente fiatistica dell'orchestra e lasciando al pianoforte una funzione più legata alla sezione ritmica. Peccato quei larghi vuoti in teatro, il gruppo meritava molto di più.

Il quintetto di Akinmusire mi è sembrato più caldo e tonico rispetto al festival di Bergamo dove lo ascoltavo per la prima volta dal vivo. Le qualità strumentali non si scoprono ora, e anche i patners del trombettista sono musicisti di ottimo livello. Se a Bergamo non mi aveva impressionato molto qui la musica del quintetto mi è parsa più calibrata e convincente.

Siamo dalle parti di un post hard-bop che Akinmusire innerva con lunghi assoli lirici e composizioni originali, mutuando uno stile che sicuramente deve molto a Clifford Brown e naturalmente a Miles ma che pare già aver imboccato una strada autonoma e personale.

La stanchezza però mi ha impedito di arrivare alla fine del set e mi riservo la possibilità futura di riascoltare il trombettista in condizioni più adatte ad una giusta valutazione.

Dal concerto di Melody Gardot mi aspettavo esattamente quello che poi ho trovato: una musica pop raffinata, ben eseguita, sofisticata quanto la voce particolare della cantante, attorniata da un pugno di buoni muscisti. Niente di più e niente di meno. Musica di intrattenimento che il gusto di ciascuno stabilisce quanto gradevole. Sicuramente per me una proposta troppo leggera (me ne sono andato dopo tre quarti d'ora, prima di cominciare a sbadigliare), di quelle che si ascoltano se, appunto, inserite in un cartellone variegato ma che difficilmente mi possono attrarre come concerto singolo.

La mia piccola vacanza a Perugia è durata solo 3 giorni durante i quali ho ascoltato 7 concerti, ma quello che più mi porto nel ricordo è l'atmosfera di festa di una città splendida. Leggo i resoconti economici sui giornali riguardanti le valutazioni sul numero minore di concerti e sugli spettatori in calo, sul mancato sostegno del Ministero della Cultura e su tutto il corollario in cifre di una rassegna che incamera comunque più di un milione di euro.

Da appassionato e non da ragioniere mi parrebbe che ulteriori margini di risparmio ce ne siano, eccome. I concerti gratuiti ad esempio, che sicuramente sono un biglietto da visita importante, sono però troppi, di livello non sempre elevato (sarò buono...) e, da quello che ho potuto vedere, seguiti da una piccola parte della massa di giovani che vagolano nelle piazze perugine. Tanto vale fare un pò di spending review..... 

 

 

 
 
 

FARE MUSICA

Post n°2329 pubblicato il 18 Luglio 2012 da pierrde
 

 

Fare musica è come fare l'amore: i gesti sono sempre gli stessi ma ogni volta è diverso.

(Arthur Rubinstein)

 
 
 

WAYNE SHORTER E PIERSILVIO (MARLEY)

Post n°2328 pubblicato il 16 Luglio 2012 da pierrde

Continuo il mio racconto dei pochi ma bei giorni passati a Perugia saltando un pò di palo in frasca, riservandomi di tornare con calma anche sui concerti visti e di cui ancora non ho parlato.

Sulla carta l'avvenimento che più mi intrigava era l'esibizione del quartetto di Wayne Shorter, ascoltato un paio di volte negli ultimi anni con sensazioni differenti dovute proprio al particolare tipo di proposta e al suo sviluppo.

Abituato a vedere il grande nome di turno esibirsi accompagnato da un gruppo al suo servizio e sciorinare sostanzialmente una musica individualistica e virtuosistica più che di insieme, il quartetto di Shorter spiazza facilmente chi accorre richiamato solo dalla gloria passata proponendo invece una densa e aggrovigliata matassa sonora spesso senza intervallo alcuno in cui il suono del tenore non sempre è in primo piano ed il ruolo di spina dorsale è invece affidato alla tastiera di Danilo Perez.

Costui mi sorprende sempre più ad ogni ascolto; dotato di una possente mano sinistra sa essere contemporaneamente lirico e ritmico e segnare da protagonista gli invisibili passaggi di raccordo tra le diverse atmosfere. 

John Patitucci è il pendolo che determina e scandisce tempi e situazioni, mentre Jorge Rossy a mio modo di vedere si integra bene nel gruppo ma non possiede l'elasticità e la leggerezza del drumming di Brian Blade. 

Quando Shorter imbraccia il soprano la sperimentazione cede il passo a momenti più convenzionali anche se estatici e godibili. Al tenore invece le impressioni sono complesse e per me ancora da decifrare completamente. Usando un soffiato più sussurrato che scandito sembrerebbe più che un solista un accompagnatore che mette al servizio del collettivo la propria individualità, ed in effetti la musica è magmatica, pregna, non astratta ma nemmeno di immediata leggibilità, non concentrata su un solo strumento bensi' sul dialogo degli strumenti.  

Nonostante queste mie perplessità si è trattato sicuramente del concerto più impegnativo di quelli da me ascoltati.

In prima serata è protagonista la famiglia Marley, da Rita a Stephen. Purtroppo assenti Piersilvio (Marley) e Renzo detto il Trota (Marley) decido che la migliore compagnia possibile è costituita da un piatto di cinghiale cucinato come si deve. Snobbo senza rimpianti la notte reggae preservandomi da quella che a mio modo di vedere è una scelta poco comprensibile per chi a Perugia viene per ascoltare se non esclusivamente jazz perlomeno musica con qualcosa di fresco e di nuovo da raccontare.

Di questo passo, pretendendo di far accorrere ogni anno sempre più pubblico in nome di un presunto "grande evento"  suggerisco agli organizzatori di prendere in considerazione Emanuele Filiberto e Pupo ma non trascurerei nemmeno Bobo Maroni e i barbari sognanti. 

Sicuramente trattasi di musica di merda, ma vuoi mettere i titoli su Libero e sulla Padania ? 

 

 
 
 
 

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