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Mondo Jazz

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Messaggi del 08/06/2018

SPOTIFY: PICCOLA GUIDA CRITICA - PRIMA PARTE

Post n°4002 pubblicato il 08 Giugno 2018 da pierrde
 

 

In altra sede, e nel post 'programmatico' pubblicato alla riattivazione di questo blog, ho ricordato le varie riserve che nutriamo in molti sul mondo dello streaming (parlo ovviamente di quello legale) e dei suoi impatti su una musica così particolare e così organizzativamente fragile come quella afroamericana, con tutti i suoi rami e derivazioni.

Ma abbiamo anche premesso che qui non siamo tecnofobi, ma anzi curiosi ed aperti rispetto alle opportunità positive presentate dalle nuove tecnologie. Vista anzi la nostra posizione cauta e critica, non ci si può limitare a snocciolare dubbi ed avvertimenti, ma diventa un obbligo dare suggerimenti appunto per un uso critico e consapevole delle nuove risorse.

Per farla breve e semplificando al massimo sotto il profilo pratico, streaming legale e Spotify sono ormai praticamente sinonimi: la società svedese non ha solo mantenuto il vantaggio iniziale dovuto al fatto di avere di fatto aperto questo campo all'utilizzo di massa, ma bisogna riconoscere che nel tempo sta oggettivamente allungando le distanze rispetto ai vari concorrenti. Lasciamo un momento da parte gli interrogativi su un futuro su cui continuano a gravare le incognite di vistosi deficit di bilancio corrente, e con un po' più di fatica anche quelle sul sistema di remunerazione degli artisti e dei fornitori di contenuti (senz'altro da rendere più trasparente e da rivedere per i generi musicali a vocazione non commerciale), e poniamoci dal punto di un comune appassionato di jazz che voglia capire cosa il colosso svedese gli possa offrire.

E qui il vostro critico e guardingo Milton deve anticipare che la Discoteca di Babele (come la chiamo da tempo familiarmente ed ironicamente) ha da offrire a noi jazzdipendenti molto, moltissimo, direi quasi troppo, ad un prezzo decisamente contenuto. Va anche detto che questo giudizio tiene presente soprattutto l'aspetto quantitativo e va necessariamente accompagnato ad alcune avvertenze pratiche. Cominciamo a metterle in fila, con le sole pretese di aiutare sia coloro che non hanno alcun rapporto con il pianeta Spotify, ed anche coloro che ci si aggirano un po' spaesati e talvolta frustrati.

Abbonamento Premium o Free?  Tenuto conto delle esigenze di ascolto critico e ragionato proprie dei jazzfan, direi che l'alternativa non si pone nemmeno: l'unica scelta ragionevole è quella dell'abbonamento Premium. Il costo mensile attuale è di €.9,90/mese: traducendolo in economia jazzofila, poco più di un cd usato o di una ristampa economica, un numero  di rivista specializzata, una frazione del biglietto per un concerto live di non grande risonanza, una consumazione obbligatoria in un jazz club non esoso. Esistono anche tariffe agevolate di varia configurazione, e talvolta anche offerte personalizzate ad utenti intensivi. 

In cambio di questo avete l'accesso illimitato ad una discoteca che sta superando i 30 milioni di pezzi, potrete ascoltare qualunque brano od album che voi sceglierete senza subire disturbanti interruzioni pubblicitarie, scaricarlo sui vostri dispositivi per l'ascolto off-line e soprattutto senza che un robot si permetta di rifilarvi una playlist da lui creata intorno  al musicista da voi selezionato, frullando a suo piacimento album che spesso contengono suites accuratamente costruite. Va inoltre considerato il ventaglio delle opzioni di fruizione, di cui si parlerà nel paragrafo 'Tecnologia'. Sotto il profilo del rapporto quantità/prezzo decisamente ci siamo, speriamo che continui così (?!?);

La sezione "Jazz" della Grande Discoteca.  Anche a costo di passare per un'attempata groupie di Spotify, devo dire che anche a questa voce il bilancio è largamente positivo se non entusiastico. Frugo tra gli scaffali di negozi di dischi da quando avevo 15 anni, l'ho fatto in Italia ed all'estero, quindi ho un'idea abbastanza precisa di quello che il mercato ha offerto in passato ed offre tuttora (escluso il circuito collezionistico, su cui ho opinioni molto critiche): in poche parole non sono di facile contentatura. Bene, ciò premesso, devo dire che Spotify continua a sorprendermi per la capillarità del suo catalogo ed il continuo flusso di acquisizioni che spesso appaiono guidate da mano esperta e con un occhio attento al recupero di materiale di grande rilievo storico/artistico, anche se privo di immediato appeal commerciale. Un esempio: recentemente gli svedesi hanno acquisito dall'artista tutte le registrazioni Arista di Anthony Braxton, dischi da molto tempo non disponibili e di cui è vano attendere una seria e curata ristampa in CD. La Grande Discoteca sarà anche animata da smanie totalitarie di dominio planetario sul mondo della musica, ma questa è oggettivamente un'operazione di rilievo culturale (checchè se ne pensi di Braxton, siamo di fronte a lavori che hanno già un posto nella storia del jazz e che tra l'altro ascoltati oggi appaiono decisamente molto più approcciabili da una vasta platea di quanto non apparvero all'epoca).

 Sinora ho fatto riferimento al 'repertorio storico', sul quale ormai gli Svedesi si stanno surrogando all'inerzia delle case discografiche, che da molti anni hanno rinunziato a mantenere costantemente in catalogo curate ristampe economiche di titoli capitali nella storia della nostra musica (nei remoti anni '70 non era affatto così, ma allora non aveva ancora trionfato la religione del Marketing): in altre parole, se un neofita vuole cimentarsi con l'ascolto dell'Ellington degli anni '40 oppure del Charlie Parker citatissimo in ogni dove, ma ormai di fatto irreperibile nei cataloghi discografici correnti, Spotify è la soluzione d'elezione, svolgendo anche qui un'oggettiva funzione di supplenza culturale. 

Ed il 'nuovo', la produzione corrente? Qui il discorso si fa più complesso: bisogna fare i conti con la caotica situazione dei canali di distribuzione della nostra musica, dovuta a scelte molto differenziate ed eterogenee sia delle case discografiche (grandi e piccole), che degli stessi musicisti. Quanto alle etichette, diciamo che ce ne sono alcune che escludono tout court il ricorso al canale Spotify: si tratta spesso di piccole labels indipendenti con produzione di qualità, che non senza ragione si sentono penalizzate e schiacciate dall'attuale sistema di remunerazione offerto dal colosso svedese, forte di una posizione di assoluto predominio. Va detto che però quest'area di 'obiezione di coscienza' si sta restringendo sempre più (confronta il clamoroso caso di ripensamento di ECM, che ha conferito tutto il suo catalogo sino a data piuttosto recente, mettendo tra l'altro rimedio ad una sua politica piuttosto discutibile in materia di ristampe). Altre etichette ed artisti, invece, usano Spotify come 'vetrina' delle nuove produzioni caricandovi brani 'trailer' di album di uscita imminente (vedi il recente post su JD Allen... ). Da parte di altri (grandi e piccoli, è il caso di osservare) si parte direttamente con la diffusione via streaming del nuovo album parallelamente od addirittura in anticipo rispetto alla distribuzione del disco fisico. Quindi anche qui buone opportunità

Dopo aver sfogliato i petali della 'rosa' Spotify, rinviamo ad una prossima puntata l'esame delle sue 'spine', che non sono poche, né trascurabili. Nell'occasione, ci soffermeremo anche sul capitolo "Tecnologie", che integrerà sensibilmente quanto detto sinora, fornendo ulteriori elementi essenziali per la valutazione del servizio. Quindi: stay tuned!

Franco Riccardi, aka Milton56

 

 

 

 
 
 
 

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