Creato da pierrde il 17/12/2005

Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

violoncello, voce, Hank Roberts

pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig

trombone, Filippo Vignato

vibrafono, Pasquale Mirra

batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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I PODCAST DELLA RAI

Dall'immenso archivio di Radiotre č possibile scaricare i podcast di alcune trasmissioni particolarmente interessanti per gli appassionati di musica nero-americana. On line le puntate del Dottor Djembč di David Riondino e Stefano Bollani. Da poco č possibile anche scaricare le puntate di Battiti, la trasmissione notturna dedicata al jazz , alle musiche nere e a quelle colte. Il tutto cliccando  qui
 

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Messaggi di Giugno 2018

GEZMATAZ al traguardo della quindicesima edizione

Post n°4009 pubblicato il 13 Giugno 2018 da sandbar
 

 

 

Quindicesima edizione per il festival genovese Gezmataz, saldamente nelle mani del direttore artistico e chitarrista Marco Tindiglia, che per l’edizione 2018 ha allestito un programma con ben tre anteprime nazionali.

Si inizia il 19 luglio dalla proposta di maggior interesse, il progetto cinematografico “When you wish upon a star” di Bill Frisell con Petra Haden, figlia del grande contrabbassista Charlie, per  proseguire il giorno successivo  con il nuovo fenomeno della vocalità jazz, la francese Camille Bertault, giunta alla fama per avere vocalizzato Giant Steps di John Coltrane, ed arrivare quindi, sabato 21. alle sperimentazioni elettro-vocali della cantante portoghese Maria Joao.

Domenica 22 consueto concerto gratuito con il gruppo di docenti che accompagna gli studenti del workshop parallelo al festival, composto quest’anno da Marco Tindiglia, Furio Di Castri, Diana Torto e Rodolfo Cervetto.

A corredo del festival, il workshop “Fotografare il jazz” a cura di Andrea Palmucci e Donato Aquaro.

 

Tutti i concerti si tengono presso Piazza delle feste al Porto Antico di Genova con inizio alle ore 21.30.

Biglietti singoli 18€, abbonamento alle tre serate 40€.

Ecco il programma completo:

Giovedì 19 Luglio

Bill Frisell - When you wish upon a star

Bill Frisell – electric and acoustic guitar
Petra Haden – voice
Eyvind Kang – viola
Thomas Morgan – bass
Rudy Royston – drums,

Venerdì 20 Luglio

Camille Bertault - Pas de geant

Camille Bertault - voce
Fady Farah - piano
Christophe Minck - contrabbasso
Pierre Demange
– batteria

Sabato 21 Luglio

Maria Joao – Ogre

 Maria Joao – Voce
João Nuno Farinha – Fender Rhodes/Synthesizers
André Nascimento – laptop/electronica

 Domenica 22 Luglio

Marco Tindiglia, Furio Di Castri, Diana Torto e Rodolfo Cervetto con Gezmataz Ensemble – Sound Landing

 

 
 
 

THE LOST ALBUM: IL ROMANZO CONTINUA….

 

Ancora una volta l'amico Dell'Ava mi offre il destro di intervenire di rimessa su di un suo post.

Quello sulla clamorosa notizia della ricomparsa di un vero e proprio 'disco perduto' di Coltrane si chiude con un interrogativo: come è potuta avvenire questa eclisssi che rasenta il cinquantennio di durata?

È una storia che merita di esser raccontata, e che rientra a pieno titolo nel grande romanzo del jazz: è  questione solo di collocarla nel giusto capitolo (come si vedrà poi).

L'album è  stato registrato  dal quartetto 'per antonomasia' di Trane: McCoy Tyner, Jimmy Garrison, Elvin Jones. È il 1963, l'anno di registrazioni celebri, come quella in cui Trane si  misura da par suo con un Duke Ellington che a tratti  sembra stregato dalla distesa affabulazione coltraniana. È l'anno del  fascinoso ed incantatorio "Ballads", in cui ancora una volta Trane risponde in musica alle voci acide che gli imputavano di non sapersi misurare con il 'Great American Songbook', decisivo terreno di prova di ogni aspirante  leader carismatico della Black Music: eccoli lì, i "songs" affrontati senza un filo di sentimentalismo, con un'asciutta misura che fa però intravvedere un'energia prepotente, ma lucidamente disciplinata che gli imprime la vibrazione dei preludi (si capisce che è  uno dei miei dischi preferiti?). È un momento in cui Trane ed i suoi sembrano guardarsi alle spalle con l'intensità e la concentrazione di chi sta per partire per lidi lontani e forse ignoti: mancano solo due anni all'epocale "A Love Supreme", una pietra miliare della musica del XX secolo che, caso più unico che raro, fu accolta subito come tale da critica e soprattutto dal pubblico.

Il 7 marzo di quest'anno che è una veglia d'armi il quartetto entra nello studio di Rudy Van Gelder ad Englewood Cliffs (un posto che se fosse in Francia sarebbe già monumento nazionale). I registratori partono e captano ben due "Untitled Originals" che ci arrivano con esoterici titoli provvisorii, degni di un Anthony Braxton. Vengono incisi altri standards mai registrati ufficialmente da Trane. Il leader impugna solo il sax soprano in due brani, dettaglio significativo. La seduta si conclude, Coltrane esce dallo studio con una copia personale del nastro, che poi rimarrà in possesso della sua prima moglie (la mitica Naima, celebre suo malgrado) anche dopo la separazione ed il divorzio che seguiranno a breve.  Il nastro master ovviamente resta in mano alla Impulse, una delle etichette più coerentemente e lucidamente innovative della storia del jazz, cui ha impresso il proprio marchio per quasi tutti i roventi anni '60. Cosa succede a questa registrazione che vede il quartetto alle prese con materiale del tutto inedito (dettaglio rilevantissimo all'epoca, anche sotto un mero profilo commerciale) ed in un periodo di forma e maturità smagliante? Viene riposta su un bello scaffale, erano tempi in cui urgevano altri exploit memorabili, da quelli orchestrali di Gil Evans, a quelli radicali di Archie Shepp e di Albert Ayler: c'è tempo. Badate che in questo momento Impulse ("The New Wave in Jazz" era il loro motto) è ancora la creatura esclusiva di uno dei più grandi organizzatori e promotori di musica come Bob Thiele. Gli anni passano, gli archivi si coprono di polvere. Siamo presumibilmente nei primi anni '70, quando Impulse non è più un libero vascello corsaro, ma una divisione di un grande gruppo multimediale (se non sbaglio la ABC). Concediamo al grande Thiele di esser già partito per altri lidi (la piccola, ma fascinosa Flying Dutchman..... Gato Barbieri, l'ultimo Oliver Nelson, l'happening di Ornette Coleman ed i suoi "Friends and Neighbours"....). Qualcuno passa in rivista l'archivio Impulse: viene sottomano l'inedito di Trane del 1963 ...... che viene distrutto per alleggerire il bilancio da una forma di tassazione sugli stocks di magazzino.

"Dopo essere stato nel bel mezzo del mondo musicale per un po', avevo visto quello che era successo ad altri grandi musicisti come Bird. Una delle cose basilari che avevo capito era che il successo in questo ambiente dipende sempre da quanti dischi vendi, da quanti soldi fai fare a chi lo controlla. Potevi essere un grande musicista, un artista innovativo e importante, ma non gliene fregava niente a nessuno se non facevi fare i soldi ai bianchi che gestivano il tutto" 

"Miles. L'autobiografia di Miles Davis" - Miles Davis con Quincy Troupe

Miles. Aspro, scostante, aggressivo al punto di avvicinarsi al 'razzismo alla rovescia' del Malcom X del periodo più intransigentemente secessionista (quando la sua visione si allargò ad una visione più ampia e meditata, in cui gli oppressi ed i perdenti d'America erano di tutti i colori, ovviamente trovò sulla sua strada il consueto, puntualissimo 'fanatico isolato' armato di pistola.... ). Ma come si fa a dargli torto davanti ad una storia del genere? Come si fa ad accusarlo di 'opportunismo commerciale' per essersi saputo difendere con spregiudicata determinazione da un simile 'music business'?. Miles 'l'arrogante', Miles 'l'impolitico' (che ridere.... Scusate..), sempre più grande ogni giorno che passa, per lo stile e per la lucidità.

Nel nostro tempo 'creativo', dove nessun ripostiglio, per quanto polveroso, si salva dai suoi archeologi, per fortuna ecco riemergere la scatola con la bobina personale di Trane, ancora grezza, con tutte le voci di studio (meglio, una testimonianza in più). Se avessi potuto scrivere io l'epilogo di questo romanzo di 'nastri perduti', mi sarebbe piaciuto veder riemergere "The Lost Album" nel catalogo Resonance, con volumetto di 100 pagine e quasi altrettante foto al seguito, solito e certosino restauro sonoro etc. Invece l'album perduto riapproda sugli stessi lidi dove ha rischiato l'oblio perenne . Oddio, l'Impulse di oggi ha forse solo il nome in comune con quella dello 'sfoltimento di magazzino' degli anni '70, ma, da buon candidato 'a morire democristiano' mi viene da pensare che anche qui ha dettato legge il "business is business".....

A questo punto, auguriamoci solo che la 'nuova' Impulse risarcisca l'oblio quarantennale con un'edizione curata al massimo livello ed in ogni dettaglio: qualcosa che possa competere in elettricità e tensione con il magico "Some Other Time" del Bill Evans Trio emerso nella Foresta Nera. Due album che vorrei ideali 'revenant' gemelli.  Che lo spettro gentile di Trane continui ad accompagnarci in questi anni bui.

Franco Riccardi, aka Milton56

Post Scriptum: quelli che ne capiscono mi dicono che da qualche tempo è in vigore anche in Italia una simile tassazione sugli stock di magazzino...... tanti auguri ai 'giacimenti culturali' di cui tanto si ciarla.... 

 

 

 
 
 

GANDHI E FORMIGONI

Post n°4006 pubblicato il 11 Giugno 2018 da pierrde

Vincenzo Staiano: "Roccella è la porta da cui entrerà il jazz in Italia"

http://www.larivieraonline.com/vincenzo-staiano-%E2%80%9Croccella-%C3%A8-la-porta-da-cui-entrer%C3%A0-il-jazz-italia%E2%80%9D

L'anno scorso il Festival è stato teatro di due produzioni originali dedicate a Rino Gaetano, vera e propria mascotte della XXXVII edizione. Anche quest'anno vi farete guidare dalla stella di un grande della musica?
La scelta dell'anno scorso ci ha consentito di ricevere grande attenzione grazie alla popolarità di questo artista calabrese. Quest'anno la stella che ci guiderà si chiama Frank Zappa e l'abbiamo trovata tra i grandi italiani che hanno avuto un successo oltreoceano. Il tema scelto quest'anno "Italians", ci permetterà di riscoprire anche in questo caso non un jazzista a tutto tondo, ma un esponente della musica pop e rock degli anni '70 che, in qualche modo, somiglia a Gaetano.  

Curioso, per celebrare "la porta del jazz in Italia" si chiama per iniziare la...Premiata Forneria Marconi ! Non solo, ma per celebrare musicisti italiani o comunque di origine italiana in un festival jazz non si celebrano i Joe Pass (Passalacqua), Carl Fontana, Pete e Conte Candoli, Jimmy Giuffre, Tony Scott (Sciacca), Bucky Pizzarelli, Hank D'Amico, Chuck Mangione, Joe Lovano, Chick Corea, Scott La Faro, Johnny Guarnieri, Frank Rosolino, George Masso, Sonny Russo, Joe Morello, Buddy De Franco, Louie Bellson (Balassoni), Charlie Mariano...  ma addiritura Rino Gaetano, paragonato a Frank Zappa. Come confrontare Gandhi a Formigoni....

E poi, lasciatemelo ridire, continuo a leggere di festival jazz, italiani ed europei, dedicati a David Bowie. Non mi capacito. Negli ultimi anni sono scomparsi personaggi che hanno scritto la storia del jazz, cito solo ad esempio Ornette Coleman e Paul Bley. Cosa prende ai direttori artistici ? Se volete fare un festival pop fate pure, ma almeno abbiate il pudore di togliere quella parolina, piccola e cosi inutile per voi, che campeggia vicino a festival...   

 
 
 

LORRAINE

Post n°4005 pubblicato il 10 Giugno 2018 da pierrde

Lorraine Gordon, who took over the Village Vanguard, New York's oldest and most venerated jazz nightclub, in 1989 and remained its no-nonsense proprietor for the rest of her life, died on Saturday. She was 95.

The cause was complications from a stroke, said Jed Eisenman, the longtime manager of the club.

Continua a leggere qui: https://www.nytimes.com/2018/06/09/arts/music/lorraine-gordon-dies.html 

 

 

Lorraine era alta e snella, con i capelli corvini e gli occhi scuri, ed era meno riservata del marito. Parlava velocemente e con convinzione; aveva un purissimo accento del New Jersey. Gli ospiti furono condotti in camera da letto di Thelonious.

«La camera di Monk era appena oltre la cucina», ha ricordato Lorraine (ora Gordon). «Pareva in qualche modo uscita da un quadro di Van Gogh; voglio dire, ascetica: un letto (una branda, a dire il vero) contro il muro, una finestra, un piano verticale. Nient'altro».Monk si era anche circondato di fotografie, come quella di Billie Holiday sul soffitto, attaccata con lo scotch accanto a una lampadina rossa, una foto di Sarah Vaughan sul muro a cui era accostata la branda, e una foto pubblicitaria di Dizzy sopra il piano, con dedica: «A Monk, mia prima ispirazione. Non perderla. Il tuo caro amico, Dizzy Gillespie».

Come scrisse in seguito Lorraine: «Ci sedemmo tutti sulla brandina di Monk, con le gambe allungate, come bambini [...]. La porta fu chiusa. E Monk cominciò a suonare, dandoci la schiena». Monk eseguì per i suoi ospiti un set in piena regola, che comprendeva «'Round Midnight», «What Now», diversi brani senza titolo e la ballad oggi nota come «Ruby, My Dear». Lorraine si «innamorò». Non furono tanto le armonie dissonanti; fu il suo impegno nel suonare stride. Monk, ha ricordato, «non mi sembrò così rivoluzionario. Per questo mi piacque tanto. A quei tempi, molti degli avanguardisti non riuscivo ad ascoltarli. Ero cresciuta a forza di Sidney Bechet e Duke Ellington. Ma fu Monk a farmi fare il passaggio, perché sentivo il suo magnifico stride derivato da James P. Johnson, e il blues, e la sua grande mano sinistra».

dal libro Thelonious Monk, la scoperta del genio di Robin D.G. Kelly 

 

 

 

 
 
 

AMBRIA, NON UMBRIA...

Post n°4004 pubblicato il 09 Giugno 2018 da pierrde

Nella scorsa estate in Italia si sono svolti circa 400 festival jazz , molto diversi per dimensioni, finalità, budget e partecipazione. Impossibile occuparsi di una simile mole di avvenimenti, nemmeno i magazine dedicati riescono a farlo, non rimane che parlare di quelli più importanti e di quelli ai quali è possibile partecipare.

E' il caso del festival, l'unico peraltro, della mia provincia. Si tratta di Ambria Jazz che quest'anno giunge alla sua decima edizione. Come ogni anno il cartellone allestito è un piccolo miracolo di capacità propositiva unita ad un budget di dimensioni del tutto contenute.

Basti pensare che, negli stessi giorni e a pochi chilometri di distanza, si svolge il Festival da Jazz di St.Moritz, una manifestazione dal budget impressionante che relega fior di musicisti in un piccolo club da un centinaio di posti. Prezzi inevitabilmente da usura, tanto che continuo a chiedermi a chi diavolo è rivolta questa proposta. Nonostante la massiccia presenza dei nuovi ricchi russi in Engadina, mi risulta che costoro sono più avvezzi ad Al Bano e Romina che alla musica afro-americana. Da qualsiasi parte lo si guardi, un clamoroso caso di spreco di denaro, tant'è che non è difficile immaginare che una media serata al Club Dracula (nomen omen !) costa come l'intera programmazione di Ambria Jazz.

Tornando in Valtellina, quest'anno i concerti proposti sono addiritura venti, tutti gratuiti e tutti in diverse località, alcune di bellezza paesaggistica e/o naturalistica che da sole varrebbero la visita. Il via sarà il 5 di luglio con i Duke's Flowers di Riccardo Fioravanri a Castione, nell'Auditorium Leone Trabucchi.

Molti i nomi di rilievo, da Giovanni Sollima (che suonerà in un vigneto un programma da Bach ai Nirvana) a Gavino Murgia, vero protagonista del festival con cinque diversi concerti, per concludere il 5 di agosto con un trio che vede Murgia dialogare con Mino Cinelu e Nguyen Lee.

I programmi dei due festival qui:

http://www.ambriajazzfestival.it/programma-2018/

https://www.festivaldajazz.ch/

 
 
 

L'ALBUM PERDUTO

Post n°4003 pubblicato il 09 Giugno 2018 da pierrde

On March 6, 1963, John Coltrane and his Classic Quartet- McCoy Tyner, Jimmy Garrison, and Elvin Jones- recorded an entire studio album at the legendary Van Gelder Studios. This music, which features unheard originals, will finally be released 55 years later. This is, in short, the holy grail of jazz. Both Directions at Once: The Lost Album will be released onJune 29 on Impulse! Records

In attesa, febbrile, dell'ascolto integrale consoliamoci con il brano ascoltabile su Spotify. Rimane il mistero di chi, come e perchè l'opera di un gigante della musica sia scomparsa per oltre mezzo secolo.

https://open.spotify.com/album/6Z3OVSo1WbWQUJTr6TY0m4 

 
 
 

SPOTIFY: PICCOLA GUIDA CRITICA - PRIMA PARTE

Post n°4002 pubblicato il 08 Giugno 2018 da pierrde
 

 

In altra sede, e nel post 'programmatico' pubblicato alla riattivazione di questo blog, ho ricordato le varie riserve che nutriamo in molti sul mondo dello streaming (parlo ovviamente di quello legale) e dei suoi impatti su una musica così particolare e così organizzativamente fragile come quella afroamericana, con tutti i suoi rami e derivazioni.

Ma abbiamo anche premesso che qui non siamo tecnofobi, ma anzi curiosi ed aperti rispetto alle opportunità positive presentate dalle nuove tecnologie. Vista anzi la nostra posizione cauta e critica, non ci si può limitare a snocciolare dubbi ed avvertimenti, ma diventa un obbligo dare suggerimenti appunto per un uso critico e consapevole delle nuove risorse.

Per farla breve e semplificando al massimo sotto il profilo pratico, streaming legale e Spotify sono ormai praticamente sinonimi: la società svedese non ha solo mantenuto il vantaggio iniziale dovuto al fatto di avere di fatto aperto questo campo all'utilizzo di massa, ma bisogna riconoscere che nel tempo sta oggettivamente allungando le distanze rispetto ai vari concorrenti. Lasciamo un momento da parte gli interrogativi su un futuro su cui continuano a gravare le incognite di vistosi deficit di bilancio corrente, e con un po' più di fatica anche quelle sul sistema di remunerazione degli artisti e dei fornitori di contenuti (senz'altro da rendere più trasparente e da rivedere per i generi musicali a vocazione non commerciale), e poniamoci dal punto di un comune appassionato di jazz che voglia capire cosa il colosso svedese gli possa offrire.

E qui il vostro critico e guardingo Milton deve anticipare che la Discoteca di Babele (come la chiamo da tempo familiarmente ed ironicamente) ha da offrire a noi jazzdipendenti molto, moltissimo, direi quasi troppo, ad un prezzo decisamente contenuto. Va anche detto che questo giudizio tiene presente soprattutto l'aspetto quantitativo e va necessariamente accompagnato ad alcune avvertenze pratiche. Cominciamo a metterle in fila, con le sole pretese di aiutare sia coloro che non hanno alcun rapporto con il pianeta Spotify, ed anche coloro che ci si aggirano un po' spaesati e talvolta frustrati.

Abbonamento Premium o Free?  Tenuto conto delle esigenze di ascolto critico e ragionato proprie dei jazzfan, direi che l'alternativa non si pone nemmeno: l'unica scelta ragionevole è quella dell'abbonamento Premium. Il costo mensile attuale è di €.9,90/mese: traducendolo in economia jazzofila, poco più di un cd usato o di una ristampa economica, un numero  di rivista specializzata, una frazione del biglietto per un concerto live di non grande risonanza, una consumazione obbligatoria in un jazz club non esoso. Esistono anche tariffe agevolate di varia configurazione, e talvolta anche offerte personalizzate ad utenti intensivi. 

In cambio di questo avete l'accesso illimitato ad una discoteca che sta superando i 30 milioni di pezzi, potrete ascoltare qualunque brano od album che voi sceglierete senza subire disturbanti interruzioni pubblicitarie, scaricarlo sui vostri dispositivi per l'ascolto off-line e soprattutto senza che un robot si permetta di rifilarvi una playlist da lui creata intorno  al musicista da voi selezionato, frullando a suo piacimento album che spesso contengono suites accuratamente costruite. Va inoltre considerato il ventaglio delle opzioni di fruizione, di cui si parlerà nel paragrafo 'Tecnologia'. Sotto il profilo del rapporto quantità/prezzo decisamente ci siamo, speriamo che continui così (?!?);

La sezione "Jazz" della Grande Discoteca.  Anche a costo di passare per un'attempata groupie di Spotify, devo dire che anche a questa voce il bilancio è largamente positivo se non entusiastico. Frugo tra gli scaffali di negozi di dischi da quando avevo 15 anni, l'ho fatto in Italia ed all'estero, quindi ho un'idea abbastanza precisa di quello che il mercato ha offerto in passato ed offre tuttora (escluso il circuito collezionistico, su cui ho opinioni molto critiche): in poche parole non sono di facile contentatura. Bene, ciò premesso, devo dire che Spotify continua a sorprendermi per la capillarità del suo catalogo ed il continuo flusso di acquisizioni che spesso appaiono guidate da mano esperta e con un occhio attento al recupero di materiale di grande rilievo storico/artistico, anche se privo di immediato appeal commerciale. Un esempio: recentemente gli svedesi hanno acquisito dall'artista tutte le registrazioni Arista di Anthony Braxton, dischi da molto tempo non disponibili e di cui è vano attendere una seria e curata ristampa in CD. La Grande Discoteca sarà anche animata da smanie totalitarie di dominio planetario sul mondo della musica, ma questa è oggettivamente un'operazione di rilievo culturale (checchè se ne pensi di Braxton, siamo di fronte a lavori che hanno già un posto nella storia del jazz e che tra l'altro ascoltati oggi appaiono decisamente molto più approcciabili da una vasta platea di quanto non apparvero all'epoca).

 Sinora ho fatto riferimento al 'repertorio storico', sul quale ormai gli Svedesi si stanno surrogando all'inerzia delle case discografiche, che da molti anni hanno rinunziato a mantenere costantemente in catalogo curate ristampe economiche di titoli capitali nella storia della nostra musica (nei remoti anni '70 non era affatto così, ma allora non aveva ancora trionfato la religione del Marketing): in altre parole, se un neofita vuole cimentarsi con l'ascolto dell'Ellington degli anni '40 oppure del Charlie Parker citatissimo in ogni dove, ma ormai di fatto irreperibile nei cataloghi discografici correnti, Spotify è la soluzione d'elezione, svolgendo anche qui un'oggettiva funzione di supplenza culturale. 

Ed il 'nuovo', la produzione corrente? Qui il discorso si fa più complesso: bisogna fare i conti con la caotica situazione dei canali di distribuzione della nostra musica, dovuta a scelte molto differenziate ed eterogenee sia delle case discografiche (grandi e piccole), che degli stessi musicisti. Quanto alle etichette, diciamo che ce ne sono alcune che escludono tout court il ricorso al canale Spotify: si tratta spesso di piccole labels indipendenti con produzione di qualità, che non senza ragione si sentono penalizzate e schiacciate dall'attuale sistema di remunerazione offerto dal colosso svedese, forte di una posizione di assoluto predominio. Va detto che però quest'area di 'obiezione di coscienza' si sta restringendo sempre più (confronta il clamoroso caso di ripensamento di ECM, che ha conferito tutto il suo catalogo sino a data piuttosto recente, mettendo tra l'altro rimedio ad una sua politica piuttosto discutibile in materia di ristampe). Altre etichette ed artisti, invece, usano Spotify come 'vetrina' delle nuove produzioni caricandovi brani 'trailer' di album di uscita imminente (vedi il recente post su JD Allen... ). Da parte di altri (grandi e piccoli, è il caso di osservare) si parte direttamente con la diffusione via streaming del nuovo album parallelamente od addirittura in anticipo rispetto alla distribuzione del disco fisico. Quindi anche qui buone opportunità

Dopo aver sfogliato i petali della 'rosa' Spotify, rinviamo ad una prossima puntata l'esame delle sue 'spine', che non sono poche, né trascurabili. Nell'occasione, ci soffermeremo anche sul capitolo "Tecnologie", che integrerà sensibilmente quanto detto sinora, fornendo ulteriori elementi essenziali per la valutazione del servizio. Quindi: stay tuned!

Franco Riccardi, aka Milton56

 

 

 

 
 
 

ANCORA “BUSINESS”. UN POST SCRIPTUM

Post n°4000 pubblicato il 07 Giugno 2018 da juliensorel2018
 

Non riesco a trattenermi dall’involontario assist fornitomi dal collega Dell’Ava per aggiungere un paio di considerazioni che ritengo essenziali ed urgenti. 

La cosa peggiore di queste siituazioni è il modo in cui si abusa dell' "etichetta" di una musica altrimenti ghettizzata e prossimamente discriminata per vendere tutt'altra 'merce', che tra l'altro si piazzerebbe benissimo da sola per quello che è. 

Prescindiamo dalla circostanza che talvolta queste manifestazioni attingono anche a risorse pubbliche (e questa è parentesi non da poco), e soffermiamoci sul fatto che di questo passo un pubblico generico e scarsamente informato finirà per identificare questo misterioso 'jazz' con le musiche che vengono abusivamente contrabbandate per tali: oltre al danno della marginalizzazione, il jazz autentico deve subire anche la beffa dell'usurpazione della propria identità. Basterebbe ridenominare queste manifestazioni "Vattelapesca in musica", "Roccacannuccia vibrations" e tutto andrebbe a posto.

A questo punto, a mio avviso la piccola e sparuta comunità jazzistica dovrebbe cominciare a reagire lasciando fuori dai propri ranghi questi promoters che si rendono responsabili di un'autentica "sottrazione di identità culturale”: ormai è questione di mera sopravvivenza.

Quanto poi agli artisti di successo che oggettivamente beneficiano di queste prassi, sarebbe molto interessante vederli alle prese con una loro interpretazione di materiali della musica della cui etichetta di fatto beneficiano.... ;-) .

Infine, un appello alla Critica Titolata. Fermo restando che il jazz è un oggetto sfuggente ed in perpetua evoluzione, cerchiamo però di far capire che alcune sue precise caratteristiche ce le ha, e non è lecito ridurlo ad un blob informe ed onnivoro,  degno di un B-Movie di fantascienza degli anni '50.

Buonanotte….

Franco Riccardi, aka Milton56

 

 
 
 

Maledetta quell'immersione

Post n°3999 pubblicato il 07 Giugno 2018 da pierrde
 

Poche volte la scomparsa di un artista mi ha colpito come nel caso di quella di Esbjörn Svensson, avvenuta giusto dieci anni fa, il 14 giugno 2008. Sarà stato per la giovane età (44 anni), per le circostanze del tutto inattese (la perdita di sensi durante un'immersione al largo delle coste svedesi, una vana corsa in elicottero presso il più vicino ospedale), oppure perché sentivo la sua musica così vicina, una sintesi di tante componenti, la classica, il jazz, il rock, ricca di risonanze emotive.

Avevo mancato la loro prime date italiane ad inizio del millennio, per recuperare con il concerto genovese del Gezmataz nel 2007, splendida vetrina del loro status di gruppo al vertice della creatività artistica e della popolarità mondiale, sancita dalla copertina di Down Beat, prima volta per una band europea. Sta di fatto che dal quel 14 giugno tutto è finito. C'è stata una coda di pubblicazioni postume, i cd "Leucocyte" e "301" che indicavano le nuove direzioni intraprese dalla musica del trio, con l'uso più marcato dell'elettronica.

Affluenti del grande fiume E.S.T. hanno continuato il loro corso, con la musica composta ed eseguita come titolare dal batterista Magnus Öström e dal bassista Dan Berglund con i Tonbrucket. Abbiamo ascoltato la celebrazione di EST Symphony, rilettura per orchestra ed ensemble jazz di parte del loro repertorio, ad opera di Hans Ek, che ha diretto la Royal Stockholm Philharmonic Orchestra, con la partecipazione di Öström e Berglund. Ed ora, sempre da parte della ACT, c'è questo doppio cd "Live in London", registrato al Barbican Centre nel maggio 2005, a completare un ideale trittico avviato con il "Live 1995" e proseguito con il "Live in Hamburg" del 2007.

Occasione per rinnovare il dolore ed il rimpianto per la perdita di Svensson, ed insieme motivo di gioia per tutti coloro che sono sintonizzati sulle onde sonore del trio, colto in un momento particolarmente felice della propria parabola, all'indomani delal pubblicazione dell'album "Viaticum" qui interpretato per buona parte, e nel corso di un acclamato tour.  In una forma estesa, dieci brani fra i sette ed i diciassette minuti, troviamo tutti gli elementi dell'arte del trio.

Il pianoforte del leader, lirico ("In the tail of her eye", la preghiera di "Belief, Beleft, Below" ), classico ("Viaticum"), barocco ("When God invented the coffee break") jazz in tutte le parti improvvisate, in un susseguirsi di climi sonori ed emotivi che esalta, commuove ed appassiona. Il geniale contrabbasso di Berglund, amplificato nella classica trasfigurazione elettronica, ma anche capace di assumere il ruolo di co-leader, come di esemplari voli solisti (ascoltatelo nell'iniziale "Tide of trepidation" o nel tour de force di "Spunky Sprawl").

Ed il ritmo di Öström, in grado di evolvere da battito primordiale ad invenzione percussiva raffinatissima. Tutti elementi che dal vivo sono amplificati dalla capacità di interazione ed inventiva istantanea, trasmettendo l'impressione di un'arte collettiva colta nel suo pieno sviluppo . C'è un momento nel disco, quando il tema elementare di "Behind the Yashmak", si accosta alla drammatica linea del contrabbasso, in grado di commuovere fino alle lacrime, come è successo a me. Ed il pensiero, inevitabilmente, torna a quella maledetta immersione che ci ha privato di Esbjorn. 

 Andrea Baroni

 

 

 
 
 

Business

Post n°3998 pubblicato il 07 Giugno 2018 da pierrde

Torna 'Bari in Jazz' con Noa e Mannoia

ANSA.it(ANSA) - BARI, 6 GIU - Noa, Fiorella Mannoia e Rosalia de Souza sono alcune delle protagoniste della 14/a edizione del festival metropolitano 'Bari ... 

"Gli affari sono affari, il jazz è arte, e raramente le due cose si incontrano."

Leonard Feather

P.S. Non ho niente di personale contro Bari in Jazz e ovviamente tantomeno con le cantanti in questione, ma ne ho le tasche piene di presunti festival jazz in cui c'è di tutto, a parte naturalmente la materia prima. Per qualcuno questo significa essere "puristi", per me e per molti appassionati come me è solo questione di chiarezza. Cari direttori artistici, volete il business o volete la qualità ? Astenersi perditempo....

 

 
 
 

Maledetta quell'immersione

Post n°3997 pubblicato il 06 Giugno 2018 da sandbar
 

 

Poche volte la scomparsa di un artista mi ha colpito come nel caso di quella di Esbjörn Svensson, avvenuta giusto dieci anni fa, il 14 giugno 2008. Sarà stato per la giovane età (44 anni), per le circostanze del tutto inattese (la perdita di sensi durante un’immersione al largo delle coste svedesi, una vana corsa in elicottero presso il più vicino ospedale), oppure perché sentivo la sua musica così vicina, una sintesi di tante componenti, la classica, il jazz, il rock, ricca di risonanze emotive. Avevo mancato la loro prime date italiane ad inizio del millennio, per recuperare con il concerto genovese del Gezmataz nel 2007, splendida vetrina del loro status di gruppo al vertice della creatività artistica e della popolarità mondiale, sancita dalla copertina di Down Beat, prima volta per una band europea. Sta di fatto che dal quel 14 giugno tutto è finito. C’è stata una coda di pubblicazioni postume, i cd “Leucocyte” e “301” che indicavano le nuove direzioni intraprese dalla musica del trio, con l’uso più marcato dell’elettronica. Affluenti del grande fiume E.S.T. hanno continuato il loro corso, con la musica composta ed eseguita come titolare dal batterista Magnus Öström e dal bassista Dan Berglund con i Tonbrucket. Abbiamo ascoltato la celebrazione di EST Symphony, rilettura per orchestra ed ensemble jazz di parte del loro repertorio, ad opera di Hans Ek, che ha diretto la Royal Stockholm Philharmonic Orchestra, con la partecipazione di Öström e Berglund. Ed ora, sempre da parte della ACT, c’è questo doppio cd “Live in London”, registrato al Barbican Centre nel maggio 2005, a completare un ideale trittico avviato con il “Live 1995” e proseguito con il “Live in Hamburg” del 2007. Occasione per rinnovare il dolore ed il rimpianto per la perdita di Svensson, ed insieme motivo di gioia per tutti coloro che sono sintonizzati sulle onde sonore del trio, colto in un momento particolarmente felice della propria parabola, all’indomani delal pubblicazione dell’album “Viaticum” qui interpretato per buona parte, e nel corso di un acclamato tour. In una forma estesa, dieci brani fra i sette ed i diciassette minuti, troviamo tutti gli elementi dell’arte del trio. Il pianoforte del leader, lirico (“In the tail of her eye”, la preghiera di “Belief, Beleft, Below” ), classico (“Viaticum”), barocco (“When God invented the coffee break”) jazz in tutte le parti improvvisate, in un susseguirsi di climi sonori ed emotivi che esalta, commuove ed appassiona. Il geniale contrabbasso di Berglund, amplificato nella classica trasfigurazione elettronica, ma anche capace di assumere il ruolo di co-leader, come di esemplari voli solisti (ascoltatelo nell’iniziale “Tide of trepidation” o nel tour de force di “Spunky Sprawl”). Ed il ritmo di Öström, in grado di evolvere da battito primordiale ad invenzione percussiva raffinatissima. Tutti elementi che dal vivo sono amplificati dalla capacità di interazione ed inventiva istantanea, trasmettendo l’impressione di un’arte collettiva colta nel suo pieno sviluppo . C’è un momento nel disco, quando il tema elementare di “Behind the Yashmak”, si accosta alla drammatica linea del contrabbasso, in grado di commuovere fino alle lacrime, come è successo a me. Ed il pensiero, inevitabilmente, torna a quella maledetta immersione che ci ha privato di Esbjorn. 

 

 
 
 

Non succede solo a Bolzano...

Post n°3996 pubblicato il 05 Giugno 2018 da pierrde

«A Bolzano la musica jazz sta malissimo, come tutta la musica seria. La maggior parte della gente che va ai concerti, ad esempio a quelli classici, perchè bisogna esserci, farsi vedere, anche se non si distingue Ligeti da Mozart. Questa è una piccola città provinciale, dove non si fa distinzione tra la musica seria e la musica di Jovanotti. Secondo me qui la gente non ha ancora capito cos'è la musica: non è un unico contenitore con tutto dentro. La musica che porto io è arte. E' questa la differenza». 

Intervista a Vittorio Albani su http://www.altoadige.it/cultura-e-spettacoli/bolzano-ancora-troppo-provinciale-1.1633292 

 

 
 
 

Jamie Saft Quartet - Blue Dream

Post n°3995 pubblicato il 04 Giugno 2018 da sandbar
 

 

Il nuovo cd di Jamie Saft, inciso in quartetto con il sassofonista Bill Mc Henry, il contrabbassista Brad Jones e Nasheet Waits alla batteria, è un piccolo giro di giostra nella storia del jazz condotto con la maestria di chi sa ed ama mescolare stili, epoche ed attitudini nel segno di una dirompente vitalità espressiva. Reduce dal successo del live per pianoforte solo inciso a Genova lo scorso anno, il musicista newyorkese ha intrapreso la nuova avventura in autorevole compagnia (Mc Henry ha suonato con Ethan Iverson, e conduce un suo quartetto con Ben Monder, Reid Anderson e Gerald Cleaver , Brad Jones vanta collaborazioni con Muhal Richard Abrams, Elvin Jones, Ornette Coleman, Misha Mengelberg e Han Bennink,e Nasheet Waits non ha bisogno di presentazioni, è un batterista al centro della scena musicale contemporanea), scegliendo un repertorio ad ampio raggio, con nove originali e tre standards, che riflettono una porzione della propria ampia visione musicale. Così troviamo in scaletta alcune tipiche composizioni di Saft fortemente connotate dal suo stile bluesy - l'iniziale "Vessels", di grande ed oscuro fascino, "Words and deeds" che ingaggia piano e sax in un esaltante duello di linguaggi e suono - , echi hard bop sparsi fra una title track che contiene una grande prova di Brad Jones, una "Equanimity" introdotta da Waits e con un attacco collettivo del tema da manuale, un tour de force free form affidato al sax di Mc Henry ("Sword's water") e quelle larghe campiture del piano del leader che evocano orizzonti di sterminata prateria americana ( "Infinite compassion" , "Walls", "Mysterious arrangements"). Il tutto interpretato con paritario equilibrio dei ruoli e prestazioni dei singoli sempre funzionali al fluire collettivo delle emozioni evocate dal programma. Che viene completato da una song di Matt Dennis e Tom Adair cantata da Frank Sinatra, "Violets for your furs", da un classico come "Sweet Lorraine" nella versione trasmessa a Saft dalla sua insegnante Geri Allen, e dalla conclusiva "There's a lull in my life", torch ballad scritta nel 1937 da Mack Gordon and Harry Revel per il film "Wake Up and Live" ed interpretata, fra gli altri, da Ella Fitzgerald e Chet Baker. La melodia del pezzo soffiata dal sax vellutato di Mc Henry vale da sola il biglietto per questo giro di giostra.

 

 

 

 
 
 

J.D. ALLEN, “LOVE STONE” IN ARRIVO

Post n°3994 pubblicato il 04 Giugno 2018 da pierrde
 

 

Dopo la musica teorizzata, quella contestata, quella minacciata ed infine quella trasmessa, un po' di musica suonata  (finalmente, direte voi).

Spotify  (di cui a brevissimo ci occuperemo) mi ha fatto un regalo: mi ha recapitato a domicilio via mail il link a questo nuovo lavoro di J.D. Allen: preciso subito che si  tratta di un brano singolo, una sorta di trailer del disco a venire. 

https://open.spotify.com/album/4DDYHsgKbvzGMNEJN2H3MT?si=J4E69-_nTeeGPNUaNVx3mg

Dopo la recente, brillante uscita in duo di James Brandon Lewis  (http://www.traccedijazz.it/index.php/recensioni/3367-james-brandon-lewis-chad-taylor-duo-radiant-imprints), mi aveva un po' sorpreso il silenzio del dioscuro Allen. E invece no, le 'vite parallele' di questi due grandi talenti della musica afroamericana di oggi continuano a svilupparsi dialetticamente.

Dico 'dialetticamente' perché da questo brano 'teaser' emerge un J D Allen rilassato  e quasi sornione, alle prese con materiale della più classica tradizione jazzistica: insomma, questo brano mi sembra più  gravitare nel mondo espressivo di 'Americana', che in quello dello splendido 'Radio Flyer', più incline ad un confronto con un'inquieta modernità. Ancor più distante l'ultimo Brandon Lewis, più duro e spigoloso (ma che spigoli, però!). In comune con l'ultimo disco, la presenza di Liberty Ellman, chitarrista che finalmente sta avendo la dovuta visibilità dopo una lenta maturazione nella scuderia PI Recordings, etichetta raffinata e di gran classe, che però involontariamente penalizza i suoi artisti con la rigorosa scelta di tenersi lontano dal mondo dello streaming. 

Sul disco in uscita, purtroppo non sono disponibili molte informazioni, a parte il titolo - "Love Stone" - , il fatto che comprenderà quasi esclusivamente ballads (molto interessante, una prova di maturità, JD evidentemente si sente sicuro del conseguimento  di un compiuto stile personale) e che uscirà a meta giugno da Savant (ottima etichetta, cui Allen continua a rimanere saggiamente fedele). La band è sempre quella di "Radio Flyer", oltre a JD Allen e Liberty Ellman, completano il quartetto i veterani Gregg August al basso e Rudy Royston alla batteria: ensemble che ha già dato ottima prova su altro terreno, speriamo che si consolidi. Attendiamo con impazienza

Franco Riccardi, aka Milton56

 

 

 

 
 
 

Ci sono dei pazzi meravigliosi !

Post n°3992 pubblicato il 03 Giugno 2018 da pierrde

 

Nasce una nuova etichetta discografica: We Insist Records, fondata da Maria Borghi. Il primo giugno, le prime due produzioni: St()ma di Cristiano Calcagnile e Us Pipeline Giancarlo Nino Locatelli.

 

Con il progetto We Insist Records, Borghi realizza un sogno nel cassetto che coltivava da oltre dieci anni, nato grazie all'incontro artistico con Nino Locatelli, Cristiano Calcagnile, Gian Maria Aprile e molti altri artisti nel corso degli anni.

 

Un progetto che, come facilmente intuibile dal nome, si richiama al titolo dello storico album del 1960 di Max Roach: We Insist! Max Roach's Freedom Now Suite. Il messaggio della "We Insist Records" è anche quello di resistere, appunto, ai tempi di crisi discografica, di andare controcorrente, puntando sempre e comunque sulla qualità e sulla musica.

Una scelta non casuale per un'etichetta che intende farsi megafono di progetti fortemente improntati alla sperimentazione, alla ricerca e all'improvvisazione. Così come non è un caso che i primi due dischi che saranno pubblicati il 25 maggio dall'etichetta siano due produzioni che rispecchiano in toto il suo spirito e i suoi obiettivi.

 

St()ma, primo progetto in solo del batterista Cristiano Calcagnile e Us del gruppo Pipeline di Giancarlo Nino Locatelli. L'uscita degli altri due album (sono previste per ora quattro pubblicazioni all'anno) è prevista in autunno.

Entrambe queste due prime uscite segnano in modo molto netto la scelta editoriale della We Insist Records, che sceglie i propri artisti in base alla loro capacità di sviscerare un'idea musicale, darle forma e profondità.

Due album che, in modo diverso, si fanno portatori di un'idea di jazz che fa dell'improvvisazione e della volontà di sfuggire alle classificazioni la propria cifra stilistica, il proprio tratto distintivo.

 

Un ulteriore e non secondario dettaglio del progetto We Insist è, infine, l'estrema cura nel packaging"Ci appassiona la ricerca - spiega Maria Borghi - e da qui nasce il desiderio di conferire un carattere preciso e identificabile ad ogni album che decidiamo di pubblicare. Tutto ciò che ci stimola diventa un ottimo spunto per progettare e confezionare le nostre pubblicazioni con estrema cura, seguendo un'idea estetica a 360 gradi".

 

La scelta di pubblicare (anche) in vinile adottata dall'etichetta, non risponde dunque solo a una passione sempre più diffusa per l'oggetto in sé, che sta conoscendo una nuova giovinezza. Questa è, soprattutto, una scelta che rispecchia il desiderio di rivolgersi a un pubblico in grado di prendersi il tempo necessario da dedicare all'ascolto di un album, capace di apprezzare un oggetto prezioso, fatto con cura e che rispecchia una coerenza e un'identità precise: quelle di un'etichetta che non ha paura di osare con progetti ambiziosi.

 

Sitoweinsistrecords.com

Bandacampweinsist.bandcamp.com

 

 

 
 
 
 

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