Mr Nice Guy

Le famiglie del mulino bianco


Ieri mattina stavo cercando un collega in Toscana, ma visto che non lo trovavo, ho lasciato detto di richiamarmi. Dopo una mezzoretta squilla il telefono, e le prime parole che sento al ricevitore sono “Eh, beato te!”. Né ciao, né pronto, né qualsiasi altra cosa una persona normale dice quando sente qualcuno al telefono, magari di prima mattina.  Dopo aver chiesto qualche spiegazione, ed essermi sentito rispondere “beato te!” un paio di volte, ho capito a cosa si riferiva. Moglie e figli.Sono una persona di compagnia, per cui stringo spesso amicizia con i colleghi delle fabbriche che seguo in giro per l’Italia. Tante volte mi invitano a pranzo o a cena, ci si fa una bella mangiata, si ride e si scherza, e ogni tanto mi presentano addirittura le loro famiglie. A casa di questo collega, c’ero stato anche con la mia ultima ex fidanzata, l’anno scorso. Non una gran cena, sarò sincero, per qualche motivo io e sua moglie non ci siamo presi bene, e l’atmosfera non è stata delle più cordiali. E detto da me, è un evento.Lui chimico, lei chimica, lavorano tutti e due, hanno un figlio di 4 anni e una figlia di 1 e mezzo. Da quanto mi ha detto, in toni scherzosi e allegri, la figlia non l’ha fatto dormire tutta la notte, il figlio l’ha fatto incazzare per tutta la domenica, e poi ha dovuto subire le ire della moglie. E non è la prima volta che lo vedo con l’aria di quello che sta pensando “ma chi me l’ha fatto fare”, anche se poi ci ride. Eppure, a guardarli da fuori, sono la perfetta famigliola del mulino bianco.Fidanzati dal primo anno di università, sposati, casa di proprietà, due figli sani e nessun problema all’orizzonte, se non quello di avere due figli da accudire, una casa da mandare avanti e due lavori impegnativi. Perché è inutile che ci giriamo intorno, non lavorano alle poste, quindi il tempo che gli resta per vivere tolto il lavoro, è decisamente poco. Però con queste premesse, con un patrimonio culturale condiviso, senza problemi finanziari e senza lo spettro di finire sotto un ponte, te li aspetteresti come l’immagine della felicità. E invece no.Ogni tanto penso che non mi so scegliere le amicizie, quando mi accorgo che persino le coppie sposate che hanno tutte le carte in regola per funzionare, alla fine barcollano su un pericoloso strapiombo.  Però ho sempre pensato di avere occhio per le persone, e con gli anni sono arrivato a fidarmi quasi ciecamente del mio istinto. Probabilmente mi sono sbagliato più volte, ma di solito quando una persona mi piace, vuol dire che è una persona buona, e quando non mi piace, c’è qualcosa che non va. Non so cosa, ma mi fido delle mie intuizioni.La prima volta che ho visto questo mio collega, nel giro di un paio d’ore mi ero già fatto un’idea abbastanza precisa. Un po’ tirchio, un gran paraculo, senza dubbio una persona di cui non fidarmi mai completamente, ma tutto sommato una brava persona, allegro e di gusti semplici. Un buon padre di famiglia, se qualcuno se lo stesse domandando, e in ogni caso una persona che è bello avere come amico.La moglie, una donnina carina, esile e dallo sguardo sfuggente, già alla prima occhiata non mi era piaciuta. La conversazione non partiva, e nonostante l’appoggio della mia ex, che era in grado di far parlare persino una pietra, tanto non sono riuscito ad instaurare uno scambio che fosse una qualche sorta di comunicazione. E dico la verità, non credo di averci nemmeno provato seriamente. Io che attacco bottone persino col benzinaio e con la cassiera al supermercato, non riuscivo ad aprirmi nei suoi confronti. Non mi convinceva.Ritornando in albergo, quella sera, la mia ex mi ha detto di averla vista allattare il figlio di tre anni.  Io non so cosa significhi, ma oltre a non sembrarmi una cosa particolarmente normale, di sicuro non ha migliorato l’idea che mi ero fatto all’inizio. Quando ho sentito il collega dirmi “beato te!”, anche solo per scherzare, non ho potuto fare a meno di ripensarci. E mi è tornata in mente la famiglia del mulino bianco, quella che c’era prima che la sostituissero con Banderas.Nonostante i miei 3 matrimoni schivati, appartengo a quella schiera di fessacchiotti che quando pensano alla felicità, inevitabilmente si immaginano la casetta con la staccionata bianca, la station wagon nel vialetto, l’altalena in giardino, un paio di figli che giocano col cane, e l’immancabile gatto che guarda dalla finestra. Una visione stereotipata di felicità vecchio stile, ma senza la quale non credo che potrei affrontare un’altra relazione. Io faccio sempre il tifo per le famiglie del mulino bianco.Quando mi sembra che non funzionino, mi viene una gran tristezza.