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Post n°42 pubblicato il 21 Aprile 2009 da hjsimpson116
 
Foto di hjsimpson116

Il seguente articolo è apparso sul blog dell’economista Nouriel Roubini oltre una settimana fa (il 10 aprile) e, come potete leggere, anticipava già con discreta certezza la nuova stima dell’FMI di 4 triliardi di dollari di perdite globali (che, anche solo per l’immensa quantità di soldi di cui stiamo parlando, non può certamente escludere a priori un crollo dell’economia globale)

A questo punto vorrei capire come mai questo dato è stato riportato dal Corriere.it solo oggi (21 aprile) e soprattutto come mai è stato riportato esattamente due giorni dopo che il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha fatto la seguente dichiarazione: “Finito l’incubo delle borse: nessuno pensa più a un crollo globale della finanza, la gente ha tirato un respiro di sollievo”. Mentre Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, rincarava: «Crisi, il peggio è passato, da luglio ci sarà inversione di tendenza». E puntualmente, dopo le loro dichiarazioni, gli indici borsistici europei sono crollati. Ora, visto che la stima semiapocalittica dell’FMI (che ha rivisto il dato delle perdite da 2,2 a 4 triliardi di dollari) era praticamente di pubblico dominio da 10 giorni, le possibilità sono due: o i due massimi rappresentanti dell’economia italiana sono due deficienti oppure sono dei bugiardi con un’agenda nascosta.

 

Ecco la prima parte dell’articolo di Roubini tradotta in italiano:

«Un anno fa questo autore aveva predetto che le perdite delle istituzioni finanziarie sarebbero state pari ad almeno 1 triliardo di dollari e fino a 2 triliardi di dollari. Al tempo queste stime furono considerate rozzamente esagerate da parte degli ottimisti naïve che avevano in mente cifre intorno ai 200 miliardi di dollari per le perdite legate ai mutui subprime. Ma, come abbiamo già fatto notare in questo forum, le perdite si sono rapidamente espanse oltre i mutui subprime con l’economia USA che è sprofondata in una devastante crisi economica e in una brutta recessione. È stato quindi ammesso che avremmo visto perdite crescenti su mutui subprime, near prime e prime, proprietà immobiliari e commerciali, carte di credito, prestiti auto, mutui accademici, prestiti industriali e commerciali, corporate bonds, sovereign bonds, bond di stato e bond municipali; oltre a perdite consistenti su tutti gli asset (CDO, CLO, ABS e tutto l’alfabeto dei derivati).

Quindi, nel giro di pochi mesi, l’FMI è arrivato a stimare le perdite in 945 miliardi di dollari, cifra poi rivista a 1,4 triliardi e a 2,2 triliardi per l’inizio del 2009. E alla fine del 2008 le perdite delle banche avevano già superato 1 triliardo (la nostra stima iniziale) Ma se pensate che 2,2 triliardi fosse già una cifra enorme, le nuove stime di RGE Monitor pubblicate a gennaio 2009 suggerivano che il totale delle perdite sui prestiti emessi dalle banche e il conseguente calo nel valore di mercato dei loro asset sarebbe stato, all’apice negativo, pari a 3,6 triliardi di dollari (1,6 triliardi per i prestiti e 2 triliardi per i titoli). Le banche e i broker americani sono esposti per metà di questa somma, 1,8 triliardi di dollari. Il resto appartiene ad altri istituti finanziari negli USA e all’estero. Il capitale a supporto degli assett bancari era di 1,4 tirliardi di dollari l’autunno scorso, lasciando gli USA scoperti per 400 miliardi di dollari. Quindi sono necessari altri 1,4 triliardi di dollari per riportare le banche al livello pre-crisi e risolvere la stretta creditizia ristabilendo il credito per il settore privato.

Queste cifre suggeriscono che il sistema bancario statunitense è di fatto quasi insolvente nel complesso. Ciò non significa che tutte o anche la maggior parte delle istituzioni siano insolventi ma molte di esse lo saranno – al picco negativo – con grandi carenze di capitale. Certamente il tempo potrà rimarginare molte ferite e con il costo del denaro a zero e la crescita dei margini d’interesse netti, alcune banche potranno riscostruire il proprio capitale un poco alla volta nonostante le gravi perdite dovute al riprezzamento di prestiti e securities. Ma alcune istituzioni sono così danneggiate che non riusciranno a riprendersi nonostante le condizioni favorevoli.

*Da notare che la differenza tra la stima di 3,6 miliardi di RGE e quella di 2,2 miliardi dell’FMI nonostante entrambi abbiano utilizzato lo stesso approccio analitico è dovuta al fatto che l’FMI ha guardato solo al tasso di delinquenza sui debiti mentre RGE ha esaminato la situazione prendendo in considerazione l’intero scenario dell’economia USA (decrescita, calo nel prezzo delle case, aumento della disoccupazione).

Ora però è stato riportato che l’FMI rivedrà la stima delle perdite creditizie a 4 triliardi di dollari. Di questa stima 3,1 triliardi sono le perdite originate da prestiti e asset delle istituzioni americane, mentre 0.9 triliardi sono le perdite originate da istituzioni europee e asiatiche. Visto che le stime di RGE sono relative alle perdite originate dalle istituzioni americane, il paragone va fatto sulla stima di 3,6 miliardi di RGE e quella di 3,1 miliardi dell’FMI. A questo punto le stime dell’FMI e di RGE stanno convergendo verso un dato molto simile».

 
 
 

IL MURO

Post n°41 pubblicato il 06 Aprile 2009 da hjsimpson116
Foto di hjsimpson116

Ero seduto sulla banchina del porto e guardavo le navi partire. Quanto mi sarebbe piaciuto salire su una di quelle navi e andare via, in qualche posto lontano e dimenticato da dio.

La mia vita era un casino. Non riuscivo a tenere un lavoro per più di due mesi e non me ne andava bene una. Fortunatamente mi mantenevo spacciando erba e fumo ma ero negato per il commercio, qualsiaisi tipo di commercio, e, nonstante tutti i rischi che correvo, non portavo a casa abbastanza per vivere decentemente.

Quando la mia vita diventava veramente insostenibile, quando qualcuno mi fregava in qualche affare andato male, quando mi licenziavano dall’ennesimo lavoro o quando mollavo l’ennesima fidanzata, venivo qui, al porto, a guardare le navi partire e a immaginarmi a bordo, a solcare i mari e gli oceani verso Paesi esotici, caldi e accoglienti.

Poi però sapevo che non l’avrei fatto, che non avrei mai avuto il coraggio di mollare tutto e andare liberamente verso l’ignoto. “Se niente hai mai funzionato per me qui dove conosco la gente e il modo in cui funzionano le cose – pensavo - come potrei mai credere di aver maggior fortuna in un posto dove non conosco niente e nessuno? Non era un discorso insensato eppure l’idea di andarmene via era onnipresente nella mia mente.

Poi c’era anche il discorso dei soldi. Non avevo una lira se non quello che mi serviva per sopravvivere di giorno in giorno. Non avevo mai capito come tante persone riuscissero a vivere per mesi e anni vagando da un Paese all’altro senza soldi. Un posto dove dormire tutte le notti e qualcosa da mangiare tutti i giorni sono già spese importanti, a prescindere da dove ti trovi, senza contare i costi di trasporto e spostamenti vari, svaghi e uscite serali. Cioè, che senso avrebbe avuto andare a vivere in un posto esotico se poi uno non poteva neanche godersi la vita?

Così mi limitavo a guardare le navi e a sognare. Come facevo con tante altre cose nella vita. Anche le donne, più spesso che no, mi limitavo a guardarle e a sognare di farmele. Oppure facevo finta che il mio lavoro fosse esattamente quello che avrei voluto fare o che la casa in cui vivevo in affitto fosse esattamente quella che avrei voluto. Nella mia mente la mia vita era perfetta e fintanto che riuscivo a manterenere viva quest’illusione tutto andava bene. Ma ogni tanto facevo qualche cazzata che mi costringeva a guardare in faccia la realtà, mia e del mondo intorno a me, e tutto crollava inesorabilmente al suolo, mettendo a nudo lo squallore della realtà e la mia insoddisfazione.

In quei momenti venivo qui al porto guardare le navi e a sognare. Poi dicevo a me stesso che sognare non serve a nulla e piano piano, mattone per mattone, riuscivo a ricostruire il muro intorno a me che mi permetteva di andare avanti a vivere la mia vita, chiudendomi nel mio guscio per non trovarmi esposto alle intemperie sociali e mentali.

Tutti abbiamo un muro intorno. C’è chi se lo costruisce con una famiglia, chi se lo costruisce con il lavoro e chi con gli amici e le uscite serali. C’è chi se ne costruisce uno fatto di hobby e passioni e chi se lo costruisce con la lettura, con l’intrattenimento o con lo studio. Alcuni muri sono più solidi di altri, alcuni sono più colorati e piacevoli da abitare ma sono tutti muri e i muri sono prigioni. Dentro alle nostre prigioni siamo nudi e deboli. Se mai dovessimo uscirne non avremmo la più pallida idea di come comportarci.

Per questo venivo a guardare le navi che salpavano. Prendere una di quelle navi sarebbe stato come evadere dalla prigione e salpare verso la libertà. Andare lontano prima che le guardie carcerarie della mia mente mi riacciuffassero. Imbarcato su una nave mercantile, senza nessuna possibilità di tornare indietro, non mi avrebbero mai raggiunto e sarei stato davvero libero per la prima volta nella mia vita.

Quel giorno decisi che l’avrei fatto. Avrei preso la prima nave destinata in qualche porto del Sud America e mi sarei arruolato nell’equipaggio. Senza un soldo e senza un piano. Senza una direzione precisa e senza uno scopo, senza alcun aiuto e soprattutto senza un muro intorno se non l’oceano infinito.

Andai nell’ufficio della capitaneria di porto a chiedere informazioni. Mi dissero che c’era una nave, la Mistral, che sarebbe partita nelle prossime due settimane, direzione Santiago, Cile. Mi diedero le informazioni necessarie per contattare la socità che si sarebbe occupata di gestire il cargo e l’equipaggio. Due giorni dopo ero arruolato.

Regalai le poche cose di valore che avevo ai miei vicini di casa. Un televisore, l’impianto hi-fi, i miei dvd. Il computer portatile e la macchina fotografica le misi in valigia insieme ad alcuni vestiti. Tutto il resto lo abbandonai lì, così come abbandonai l’appartamento senza preoccuparmi di riavere indietro i soldi della cauzione.

La mia vita finiva quel giorno e non ci sarebbe più stato ritorno. Ne ero certo, non ero mai stato così certo di nulla in vita mia. D’altra parte è facile essere certi dell’ignoto. L’ignoto può essere qualsiasi cosa e quando uno ha un’immaginazione fervida e convincente come la mia l’ignoto può assumere colori e forme stupende. Già mi vedevo in qualche paesino sperduto in riva al mare. Con un cannone fatto con l’erba che cresceva rigogliosa e libera tra le colline cilene. Mi immaginavo felice con gente che mi accettava senza riserve, libera come me dai vincoli e dalle catene – e dai muri - della società.

Mi imbarcai e non mi voltai mai indietro. Appena la terraferma sparì sotto la linea dell’orizzonte una sensazione incredibile mi travolse. Mi sentivo allo stesso tempo perso e felice, libero e allo sbando. Avevo fatto la cosa giusta. Forse la più irresponsabile secondo i canoni della società di oggi ma sicuramente la più giusta.

E poi la società di oggi dovrebbe essere l’ultima a parlare di responsabilità dopo quello che hanno combinato quelle che dovevano essere le istitutizioni più “responsabili” di tutte, le banche e i governi. Sono state responsabili eccome: responsabili della distruzione della vita di milioni di persone. Ma a me tutto questo, tutte queste preoccupazioni materiali non importavano più: ero libero, anche se avrei fatto lo sguattero su una nave mercantile per due mesi ero finalmente, veramente, libero.

 
 
 

SOLO

Post n°40 pubblicato il 03 Aprile 2009 da hjsimpson116
 
Foto di hjsimpson116

Jonas scostò la tenda da un lato e sbirciò fuori.

“Jo-nas Jo-nas Jo-nas”

La folla acclamava il suo nome. Sembravano impazziti.

Era pronto per stupirli. Era da tempo che non provava quel numero ma l’occasione lo richiedeva. Sicuramente sarebbero rimasti a bocca aperta. Rimanevano tutti a bocca aperta quando faceva il “triplo jonas incrociato”.

Era un numero che si era inventato lui anni addietro e da allora in tanti avevano cercato di copiarlo ma senza riuscirci. Era la sintesi di tutto ciò che aveva imparato durante i lunghi anni di apprendistato con leggende del settore. Tutto ciò che aveva mai appreso condensato in una singola esibizione di un minuto e mezzo.

Chiuse gli occhi e visualizzò mentalmente la routine. Doveva essere tutto scolpito perfettamente nella sua mente. Bastava la minima esitazione e il numero sarebbe stato un clamoroso fallimento.

“Sei pronto?”, disse una voce alle sue spalle.

Era Jenna, una delle ballerine. Aveva sempre avuto una cotta per lei. D’altra parte tutti avevano una cotta per lei perché era di gran lunga la più bella, la più aggraziata e la più, diciamo, disinibita di tutto il corpo di ballo.

In tanti, tra i membri del gruppo, raccontavano di scorribande sussuali con lei, vere e proprie maratone che duravano per intere notti. Jonas non ci aveva mai provato, era troppo timido e intimidito da quello che dicevano gli altri. Però, forse anche proprio per quello, lei era particolarmente affezionata a lui e lo incoraggiava sempre quando ne aveva bisogno.

“Sì, credo di sì. Tanto è come andare in bicicletta no?”, disse senza alzare gli occhi, “Non si scorda mai, giusto?”

“Giusto!” disse Jenna sorridendo teneramente. Gli diede un bacino sulla guancia. “Falli secchi campione”.

Mentre aspettava che il presentatore annunciasse il suo nome, Jonas si rese conto che gli tremavano un po’ le gambe. Era da tanto tempo che non gli succedeva. All’inizio della sua carriera succedeva sempre e non era affatto vero quello che dicevano gli altri, cioè che più sei nervoso prima di uscire sul palcoscenico, meno lo sei durante l’esibizione. Per Jonas era vero l’opposto: essere nervoso prima dell’esibizione voleva dire essere nervoso almeno il triplo durante lo show. Le gambe tremolanti erano quasi sempre sintomo di disfatta totale.

Ma non poteva tirarsi indietro. Non ora e non qui. Dopo anni di battaglie era riuscito a sconfiggere le sue paure e le sue ansie ed era finalmente diventato qualcuno. Nel suo campo era rispettato, quasi un idolo per le giovani generazioni.

Questo show era il più importante di tutta la sua carriera, nel posto più importante in cui si fosse mai esibito: Parigi.

“….e ora, gentili signori e signore…” Stava arrivando il suo momento. L’annunciatore stava per dire il suo nome e si sarebbe trovato lì, davanti a quasi 10.000 persone che erano venute lì per vedere lui, solo lui. Sarebbe stato solo, solo contro tutti, solo come era sempre stato.

Gli venne in mente quando era piccolo. Alle elementari e alle medie tutti lo sfottevano e lo prendevano in giro perché era goffo, scoordinato e aveva un naso gigante. E poi era povero e non aveva nessuna delle cose che i ragazzi di quell’età adorano: vestiti firmati, giocattoli, videogiochi. I videogiochi, poi, erano la sua croce. Gli piacevano ma non riuscendo mai ad allenarsi era scarsissimo e quelle poche volte che gli capitava di giocare veniva regolarmente umiliato. Al contrario di altri ragazzi poveri come lui, che magari non avevano accesso ai divertimenti materiali ma in compenso erano grossi, muscolosi, maturi e quindi ricevevano molte attenzioni almeno dalle ragazze, Jonas era piccolo e magrolino. Non andava neanche bene a scuola, non aveva alcun talento artistico e non era simpatico a nessuno degli insegnanti. Aveva imparato a vivere la sua vita in maniera apatica, come se fosse lo spettatore di un film tragicomico, oppure solo tragico.

Nel tempo aveva imparato a ridere di se stesso e ad apprezzare che gli altri ridessero di lui. Alla fine non importava se la gente rideva di te o con te: l’importante era che ridessero perché quando uno ride non può essere cattivo: non ti può menare e non ti può sfottere ulteriormente. Una risata non si compra e chiunque apprezza qualcuno che lo sa far ridere. Così questa sua capacità di far ridere era diventata un lavoro, anche piuttosto remunerativo e ora, dopo più di 20 anni di onorata carriera, era all’apice: un’esibizione al Cirque du Soleil a Parigi, che eccezionalmente aveva richiesto la sua presenza per onorare la sua lunga e nobile carriera.

“… ecco a voi l’unico, l’inimitabile, l’irraggiungibile Jonaaaaaas Tooooooooobis”

Jonas fece per uscire sul palcoscenico ma le gambe non risposero. Passarono attimi di un silenzio angosciante. Non era normale. Doveva essere là fuori ma non c’era. Era bloccato dietro la tenda che copriva l’accesso alla platea. Per fortuna Jenna era ancora lì. Prese la rincorsa e lo spinse più forte che poteva.

Jonas fece un balzo in avanti. Le gambe ripresero a muoversi ma non abbastanza velocemente e si ritrovò a inciampare su se stesso per dieci metri prima di finire tristemente a terra, cadendo sulla faccia. Tutto il pubblico esplose in una fragorosa e gigantesca risata. La caduta era così realistica che la risata venne spontanea. Anche tra gli spettatori più seriosi, quelli vestiti di tutto punto in abito scuro o addirittura in smoking, si levarono risate istintive e quasi violente, di quelle che facevano tremare tutto lo stomaco.

Jonas si rialzò lentamente. Il suo sguardo triste e affranto, e il rivolo di sangue che gli scendeva dalla fronte sul naso, reso ancora più visibile dal fondo bianco che aveva sulla faccia, rendeva la scena ancora più tragica e allo stesso tempo ridicola.

Con fare stizzito si spolverò l’abito e, senza salutare, come se fosse stato offeso dalle risate del pubblico, andò verso il centro del palco. Fece un cenno al pubblico come per riconoscere la presenza degli spettatori senza conferire loro alcuna importanza. In realtà dentro si sentiva un leone.

Il triplo jonas incrociato era un salto da 15 metri in una bacinella del diametro di un metro con dentro circa 50 cm d’acqua. Non era così difficile come sembrava, l’acqua era in grado di attutire l’impatto molto più di quanto la gente credesse. Nel tragitto dal trampolino alla bacinella Jonas incrociava gambe e braccia e faceva tre capriole. L’aspetto più divertente del numero non era il salto stesso  ma tutte le disavventure che gli capitavano prima di arrivare a saltare. Si rompevano i gradini della scala a pioli, si metteva a piovergli addosso da un buco nel tendone, gli elefanti irrompevano sul palco, una cavallo urinava nella bacinella, qualche altro clown provava a rubargli la scena, qualcuno dal pubblico gli si gettava addosso pregandolo di non lanciarsi. Ogni volta era qualcosa di diverso e completamente inaspettato. Era la sorpresa che faceva impazzire il pubblico. Ma perché la sorpresa fosse reale non poteva essere mai essere pianificata. Come la caduta al momento della sua entrata in scena. Anche Jonas stesso non sapeva mai cosa gli sarebbe successo ed era questo il suo genio, ciò che lo rendeva unico e lo aveva reso famoso. Se il numero fosse stato in qualche modo pianificato il pubblico se ne sarebbe reso immediatamente conto e lui sarebbe stato un clown come un altro. Ma la sua capacità di attirare la sfortuna era inimitabile e assolutamente imprevedibile. Ogni volta succedeva qualcosa, anche più di una cosa, ma nessuno poteva sapere cosa.

Jonas si avviò su per la scaletta a pioli. Niente. Tutto liscio come l’olio. Saliva i pioli, uno ad uno, aggrappandosi bene per non scivolare nel caso che uno cedesse. Il pubblico percepiva il suo terrore e rideva nervosamente. Non successe altro. Nessuna invasione di campo, nessun animale impazzito. Arrivò in cima e salì sul trampolino. Fece due saltelli per testarne la resistenza. Il pubblico trattenne il fiato. Nulla. Tutto ok. Jonas si avviò verso il bordo del trampolino. Mosse le braccia su e giù in preparazione al salto. Non successe nulla. “Chissà - pensò Jonas - stai a vedere che l’esibizione più importante di tutta la mia vita è proprio quella in cui per la prima volta non succede un bel nulla”.

Chiuse gli occhi, incrociò le braccia e saltò.

Una capriola. Nulla.

Due capriole. Nulla

Tre capriole. Nulla

E ora il gran finale. Jonas raccolse gambe ebraccia in posizione fetale per entrare nella bacinella e… thump.

Non splash ma thump.

E il pubblico, per la prima volta, non rise di Jonas.

 
 
 

LA GUERRA DEI CAPITALISTI AL CAPITALISMO

Post n°39 pubblicato il 27 Marzo 2009 da hjsimpson116
 
Foto di hjsimpson116

La cosa più sorprendente - e preoccupante - dell'attuale crisi economica (a parte il fatto che pochi ricchi si sono giocati tutta la ricchezza di tutta la gente del mondo per decenni a venire) è che a criticare l'ingordigia e l'avidità dei capitalisti non sono i comunisti, i socialisti, gli idealisti o i mistici ma i capitalisti stessi.
I capitalisti "teorici" (gli economisti), oggi sono i critici più severi della gestione politica ed economica dei sistemi finanziari e proprio per questo anche i capitalisti pratici, quella mandria di idioti (soprattutto americani) che ha creduto che bruciare capitali per profitti facili basati sul debito (in quello che, di fatto, è stato un mastodontico schema piramidale, a spese della gente comune, come il dollaro americano ha sempre lasciato intendere) fosse una strategia vincente e infallibile, anche nel lungo periodo, è ora obbligata ad ascoltarli.
Nouriel Roubini e Loretta Napoleoni sono ovunque ultimamente: su Newsweek, ABC, CNBC, CNN, eccetera. Criticano senza mezzi termini la politica economica americana (e, per estensione, occidentale) e individuano soluzioni che per loro stessa ammissione (Roubini meno di Napoleoni) sono utopistiche. La soluzione proposta da Roubini è tanto drastica (per gli americani) quanto irrealizzabile: nazionalizzare le banche. Serenamente lui spiega a un'audience sempre più disperata che l'unico modo per salvarsi è sperare che le banche si lascino comperare dallo stato, che lo stato umilmente e onestamente le ripulisca (comunque a spese dei contribuenti) e che poi altrettanto onestamente le rivenda a nuovi proprietari. La cosa più buffa è che lui gli da una via per uscire dalla crisi ben sapendo che ciò non potrà mai accadere e sottintendendo, quindi, che non c'è una via d'uscita.
Loretta Napoleoni va oltre, spiegando che l'unico modo per ristabilire un'economia sana è fare in modo che tutto il mondo adotti regolamentazioni economico-finanziarie oneste, serie e moralmente legittime. Non può esistere un'economia sana in un mercato globale che ammette la tratta degli schiavi, la schiavitù minorile e sessuale, il narcotraffico, i genocidi e le sanguinose guerre per le risorse. Come può un mercato globale che tollera queste ingiustizie pensare di regolamentare in maniera giusta e onesta il settore finanziario? Naturalmente se la regolamentazione avvenisse solo in America questa sarebbe penalizzata nella competizione globale con gli altri mercati. Tutto questo è giusto e sacrosanto. Ma come può Loretta Napoleoni pensare che i governi globali possano tutt'a un tratto agire d'amore e d'accordo e porre un freno a tutte le ingiustizie del mondo? Non può e sicuramente non lo pensa. Si limita a spiegare la soluzione ipotetica implicando, anche lei, che non esiste una vera soluzione.
Non esiste una soluzione perchè, se lo pseudocomunismo russo è stato condannato dalla corruzione a poco più di 70 anni dalla sua nascita, il capitalismo americano sarà condannato dalla corruzione dilagante ad altrettanto tempo dalla sua rinascita (dopo la crisi del 1929). Così come il comunismo funzionerebbe in un mondo perfetto lo stesso vale per il capitalismo. Ma il mondo non è perfetto e il denaro, così come il potere, logora inesorabilmente. Chi capisce di economia sapeva che il capitalismo è condannato a crollare, per mille tesi matematiche ma anche per un concetto molto semplice: se il profitto rapido (l'instant gratification) è la ragione che muove tutto, non ci sono motivi per fare le cose per bene, i maniera onesta e moralmente giusta in ottica futura.Non ci sono motivi per porre le basi per il futuro perché il futuro non da gratificazione instantanea. Quindi si divorano le fondamenta della società, la ricchezza creata con decenni di lavoro delle masse, per spartire e bruciare tutto in pochi anni.

 
 
 

I PONZI SIETE VOI

Post n°38 pubblicato il 27 Marzo 2009 da hjsimpson116
 
Foto di hjsimpson116

 

ALTRO CHE FONZIE, PONZI FA RIMA CON STRONZI

Gli americani hanno vissuto in una Ponzi-economia inventata (un gigantesco schema piramidale) per un decennio o forse più. Bernie Madoff è lo specchio di un’economia Americana “made-off” (inventata, appunto) e dei suoi agenti sovraesposti: un castello di carte di acrobazie finanziarie da parte di famiglie, società d’investimento e corporation che ora è crollato.

Quando l'individuo ottiene un mutuo con un deposito di zero dollariper comperare una casa e quindi non ha alcun capitale nel valore della proria casa, la sua leva è virtualmente infinita e sta quindi entrando nel gioco Ponzi (lo schema piramidale).

E la banca che gli ha dato, senza alcuna garanzia, un prestito NINJA(No Income, No Job and Assets) bugiardo, di cui per anni puoi ripagare solo l’interesse, con ammortizzazione negativa e un tasso iniziale accattivante, stava anch’essa giocando con il sistema Ponzi (piramidale).

E le società d’investimento che hanno messo insieme più di un triliardo di dollari di LBO (Leveraged Buyouts: l’acquisizione di una società da parte di un’altra società usando quasi esclusivamente denaro preso in prestito) negli ultimi anni con un rapporto debito/guadagni superiore a 10 erano anch’esse società Ponzi che giocavano con lo schema Ponzi.

E un governo che stipula triliardi di dollari di nuovi debiti per pagare per questa grave recessione e socializza le perdite private rischia di diventare un governo Ponzi se – nel medio periodo – non si riporta su una linea fiscale disciplinata e basata sulla sostenibilità del debito.

E un Paese che – per oltre 25 anni – ha speso più di quanto guadagnava e ha attuato una serie infinita di deficit contabili ed è così diventato il più grande debitore estero del Mondo (con un debito estero netto che potrebbe superare i 3 triliardi di dollari entro la fine di quest’anno) è anch’esso un Paese Ponzi che potrebbe a un certo punto diventare insolvente se non riesce – in tempo e per tempo – a stringere la cinghia e diminuire i deficit nel budget fino a trasformarli in surplus.

Quando, costantemente, anno dopo anno, consumi più di quello che guadagni (una famiglia con risparmi al passivo, un governo con un deficit del buget, un società o istituto finanziario con continue perdite, un Paese con un deficit contabile) stai giocando al Ponzi game: in termini economici non stai soddisfacendo i requisiti intertemporali del tuo budget a lungo termine, contraendo prestiti per pagare gli interessi dei debiti precedenti, e stai quindi seguendo una dinamica di debito insostenibile (con il debito che cresce più rapidamente dell’interesse) che alla fine porta all’insolvenza.

Secondo la teoria economica, gli agenti Ponzi sono coloro (famiglie, aziende, banche) che hanno bisongo di contrarre prestiti per ripagare sia il prestito iniziale sia gli interessi del proprio debito: hanno bisongo di incrementare costantemente il valore di ciò in cui hanno investito per continuare a finanziare i loro obblighi verso i creditori.

Secondo questo standard, i nuclei famigliari statunitensi il cui debito è passato dal 65% delle entrate quindici anni fa al 100% delle entrate nel 2000 e al 135% delle entrate oggi stavano giocando al Ponzi game.

Un’economia dove il rapporto debito/PIL (di famiglie, società finanziarie e corporation) è oggi pari al 350% è una Ponzi-economiamade-off (inventata). E ora che il valore delle case è sceso del 20% e cadrà di un’’altro 20% prima di raggiungere il livello minimo, ora che il valore delle azioni è crollato del 50% (e potrebbe scendere ancora), usare le case come bancomat e contrarre prestiti contro il valore della casa per finanziare il consumo Ponzi non è più attuabile. La festa è finita per le famiglie, le banche e le corporation sovraesposte.

Lo scoppio della bolla immobiliare e della bolla azionaria e della bolla degli hedge fund e della bolla del credito ha dimostrato che la ricchezza che ha supportato l’enorme esposizione economica e le spese insostenibili degli agenti dell’economia era una ricchezza falsa creata dalle bolle. Ora che queste bolle sono scoppiate è chiaro che l’imperatore era nudo e che gli americani sono l’imperatore nudo. La crescita delle bolle nascondeva il fatto che la maggior parte degli americani e delle loro banche stavano nuotando nudi: lo scoppio delle bolle è la bassa marea che ha mostrato a tutti chi era nudo.

Madoff ora passerà il resto dei suoi giorni in galera. Le famiglie americane, le società finanziarie e le società non finanziarie passeranno la prossima generazione nella prigione del debito, con l’obbligo di ridurre al minimo spese e consumi per ripagare le perdite inflitte da più di un decennio di investimenti scriteriati, consumi esagerati e rischi sconsiderati.

 

 
 
 
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