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Storia di un Grande poeta e scrittore...

Post n°9 pubblicato il 25 Marzo 2009 da LeonorAndrea

Gabriele D'Annunzio...

Gabriele D'Annunzio o d'Annunzio come soleva firmarsi è stato uno scrittore, militare e politico italiano, simbolo del decadentismo ed eroe di guerra. Occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. Sia in letteratura che in politica lasciò il segno ed ebbe un influsso (più o meno diretto) sugli eventi che gli sarebbero succeduti.

Biografia 


Gabriele D'annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863, figlio di Francesco Paolo Rapagnetta e di Luisa de Benedictis. Fu adottato da una zia materna, prendendo il cognome dallo zio. Terzo di cinque fratelli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Della madre erediterà la fine sensibilità, del padre il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, cosa che portò la famiglia da una condizione agiata ad una difficile situazione economica. Non tardò a manifestare una personalità priva di complessi e inibizioni, portata al confronto competitivo con la realtà. Una testimonianza ne è la lettera che, ancora sedicenne (1879), scrive a Giosuè Carducci, il poeta più stimato nell'Italia umbertina, mentre frequenta il liceo al prestigioso istituto Cicognini di Prato. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana Il Fanfulla della Domenica, il successo del libro venne aumentato dallo stesso D'Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio molto discusso. Dopo aver concluso gli studi liceali presso il Liceo Classico G.B.Vico di Chieti, giunse a Roma nel 1881, con una notorietà che andava crescendo.

I dieci anni trascorsi nella capitale (1881-1891) furono decisivi per la formazione dello stile comunicativo di D'Annunzio, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano della città si formò quello che possiamo definire il nucleo centrale della sua visione del mondo. L'accoglienza nella città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese (Scarfoglio, Michetti, Tosti, Masciantonio, Barbella, ecc.) che fece parlare in seguito di una "Roma bizantina".

La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante - ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee -, una novità "barbarica" eccitante e trasgressiva; D'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione "centro-periferia" "natura-cultura" offriva alle attese di lettori desiderosi di novità.

D'Annunzio si era dovuto adattare al lavoro giornalistico soprattutto per esigenze economiche, ma attratto alla frequentazione della Roma "bene" dal suo gusto per l'esibizione della bellezza e del lusso, nel 1883 sposò, con un matrimonio "di riparazione", nella cappella di Palazzo Altemps a Roma, Maria Hardouin duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli (Mario, Gabriellino e Veniero). Tuttavia, le esperienze per lui decisive furono quelle trasfigurate negli eleganti e ricercati resoconti giornalistici. In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente a fuoco i propri riferimenti culturali, nei quali si immedesimò fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive.

Il primo grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere nel 1889. Venne presto a crearsi un vero e proprio "pubblico dannunziano", condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, un vero e proprio star system ante litteram, che lo scrittore costruì attorno alla propria immagine. Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa.

Tra il 1891 e il 1893 D'Annunzio visse a Napoli, dove compose il suo secondo romanzo, L'innocente, seguito dal Il trionfo della morte e dalle liriche del Poema paradisiaco. Sempre di questo periodo è il suo primo approccio agli scritti di Nietzsche che vennero in buona parte fraintesi, sebbene ebbero l'effetto di liberare la produzione letteraria di D'Annunzio da certi residui moralistici ed etici. Tra il 1893 e il 1897 D'Annunzio intraprese un'esistenza più movimentata che lo condusse dapprima nella sua terra d'origine e poi ad un lungo viaggio in Grecia.

Nel 1897 volle provare l'esperienza politica, vivendo anch'essa, come tutto il resto, in un modo bizzarro e clamoroso: eletto deputato della destra, passò quasi subito nelle file della sinistra, giustificandosi con la celebre affermazione «vado verso la vita».

Sempre nel 1897 iniziò una relazione con la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe inizio la stagione centrale della sua vita. Per vivere accanto alla sua nuova compagna, D'Annunzio si trasferì a Settignano, nei dintorni di Firenze, dove affittò la villa "La Capponcina", trasformandola in un monumento del gusto estetico decadente. È in questo periodo che si situa gran parte della drammaturgia dannunziana che è piuttosto innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese o del teatro dominanti in Italia e che non di rado ha come punto di riferimento la figura attoriale della Duse.


L'idillio con la Duse si incrinò nel 1904, dopo la pubblicazione de Il fuoco. Nel 1910Francia: già da tempo aveva accumulato una serie di debiti e l'unico modo per evitare i creditori era oramai diventato la fuga dall'Italia. L'arredamento della villa fu messo all'asta e D'Annunzio per cinque anni non rientrò in Italia. D'Annunzio fuggì in

A Parigi era un personaggio noto, era stato tradotto da Georges Hérelle e il dibattito tra decadenti e naturalisti aveva a suo tempo suscitato un grosso interesse già con Huysmans. Ciò gli permise di mantenere inalterato il suo dissipato stile di vita fatto di debiti e frequentazioni mondane. Pur lontano dall'Italia collaborò al dibattito politico prebellico, pubblicando versi in celebrazione della guerra di Libia o editoriali per diversi giornali nazionali (in particolare per il Corriere) che a loro volta gli concedevano altri prestiti.

Nel 1910 Corradini aveva organizzato il progetto dell'Associazione Nazionalista Italiana, al quale D'Annunzio aderì inneggiando a una nazione dominata dalla volontà di potenza e opponendosi all' «Italietta meschina e pacifista».

Dopo il periodo parigino si ritirò ad Arcachon, sulla costa Atlantica, dove si dedicò all'attività letteraria in collaborazione con musicisti di successo (Mascagni, Débussy,...), compose libretti d'opera, soggetti per film (Cabiria).

Nel 1915 ritornò in Italia, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli; condusse da subito una intensa propaganda interventista. Il discorso celebrativo che D'Annunzio pronunciò a Quarto (4 maggio 1915) suscitò entusiastiche manifestazioni interventiste. Con l'entrata in Guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915 (il cosiddetto "maggio radioso"), D'Annunzio si arruolò volontario e partecipò ad alcune azioni dimostrative navali ed aeree. Per un periodo risiedette in quel di Cervignano del Friuli perché così poteva essere vicino al Comando della III Armata, comandante della quale era Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d' Aosta, suo amico ed estimatore.

Nel gennaio del 1916, costretto a un atterraggio d'emergenza subì una lesione all'altezza della tempia e dell'arcata sopraccigliare, urtando contro la mitragliatrice del suo aereo. Non curò la ferita per un mese e ciò portò alla perdita di un occhio. Visse così un periodo di convalescenza, durante il quale fu assistito dalla figlia Renata. Tuttavia, ben presto tornò in guerra. Contro i consigli dei medici, continuò a partecipare ad azioni belliche aeree e di terra. In quel periodo compose Notturno1921 e contiene una serie di ricordi e di osservazioni. Al volgere della guerra, D'Annunzio si fa portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della "vittoria mutilata" e chiedendo, in sintonia con una serie di voci della società e della politica italiana, il rinnovamento della classe dirigente in Italia. La stessa onda di malcontento, trovò ben presto un sostenitore in Benito Mussolini, che di qui al 1924 avrebbe portato all'ascesa del fascismo in Italia. utilizzando delle sottili strisce di carta che gli permettevano di scrivere nella più completa oscurità, necessaria per la convalescenza dalla ferita che l'aveva temporaneamente accecato. L'opera venne pubblicata nel

Nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano paramilitare, guidando una spedizione di "legionari", partiti da Ronchi di Monfalcone (ribattezzata, nel 1925, Ronchi dei Legionari in ricordo della storica impresa), all'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico.

L'11 e 12 settembre 1919, la crisi di Fiume. La città, occupata dalle truppe alleate, aveva chiesto d'essere annessa all'Italia. D'Annunzio con una colonna di volontari occupò Fiume e vi instaurò il comando del "Quarnaro liberato".

Il 12 novembre 1920 viene stipulato il trattato di Rapallo: Fiume diventa città libera, Zara passa all'Italia. Ma D'Annunzio non accettò l'accordo e il governo italiano, il 26 dicembre 1920, fece sgomberare i legionari con la forza.

Disilluso dall'esperienza da attivista, si ritirò in un'esistenza solitaria nella sua villa di Gardone Riviera, divenuto poi il Vittoriale degli Italiani. Qui lavorò e visse fino alla morte curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale. L'ascendente regime fascista lo celebrò come uno dei massimi e più fecondi letterati d'Italia. Tuttavia i rapporti tra D'Annunzio e Mussolini furono sempre tiepidi e arrivarono persino a momenti di aperto scontro. Uno dei culmini dell'antipatia fra i due si ebbe con la marcia su Roma, che D'Annunzio non sostenne e dalla quale si distanziò. Morì nella sua villa il 1º marzo 1938 per un'emorragia cerebrale. Il regime fascista fece celebrare in suo onore i funerali di stato.

 
 
 

Poesia...

Post n°8 pubblicato il 20 Marzo 2009 da LeonorAndrea


Alcyone

L'Onda
Nella cala tranquilla
scintilla,
intesto di scaglia
come l'antica
lorica
del catafratto,
il Mare.
Sembra trascolorare.
S'argenta? S'oscura?
A un tratto
come colpo dismaglia
l'arme, la forza
del vento l'intacca.
Non dura.
Nasce l'onda fiacca,
sùbito s'ammorza.
Il vento rinforza.
Altra onda nasce,
si perde,
come agnello che pasce
pel verde:
un fiocco di spuma
che balza!
Ma il vento riviene,
rincalza, ridonda.
Altra onda s'alza,
nel suo nascimento
più lene
che ventre virginale!
Palpita, sale,
si gonfia, s'incurva,
s'alluma, propende.
Il dorso ampio splende
come cristallo;
la cima leggiera
s'arruffa
come criniera
nivea di cavallo.
Il vento la scavezza.
L'onda si spezza,
precipita nel cavo
del solco sonora;
spumeggia, biancheggia,
s'infiora, odora,
travolge la cuora,
trae l'alga e l'ulva;
s'allunga,
rotola, galoppa;
intoppa
in altra cui 'l vento
diè tempra diversa;
l'avversa,
l'assalta, la sormonta,
vi si mesce, s'accresce.
Di spruzzi, di sprazzi,
di fiocchi, d'iridi
ferve nella risacca;
par che di crisopazzi
scintilli
e di berilli
viridi a sacca.
O sua favella!
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda,
tutte accoglie e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde,
libera e bella,
numerosa e folle,
possente e molle,
creatura viva
che gode
del suo mistero
fugace.
E per la riva l'ode
la sua sorella scalza
dal passo leggero
e dalle gambe lisce,
Aretusa rapace
che rapisce la frutta
ond'ha colmo suo grembo.
Sùbito le balza
il cor, le raggia
il viso d'oro.
Lascia ella il lembo,
s'inclina
al richiamo canoro;
e la selvaggia
rapina,
l'acerbo suo tesoro
oblìa nella melode.
E anch'ella si gode
come l'onda, l'asciutta
fura, quasi che tutta
la freschezza marina
a nembo
entro le giunga!

Musa, cantai la lode
della mia Strofe Lunga.

 
 
 

Ascolta, ascolta...

Post n°7 pubblicato il 27 Febbraio 2009 da LeonorAndrea

Gabriele D'Annunzio
Alcyone

LA PIOGGIA NEL PINETO

Alcyone                                                                                                                                              Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

 
 
 

G. D'Annunzio 1889

Post n°6 pubblicato il 27 Febbraio 2009 da LeonorAndrea

L'anima sua, camaleontica, mutabile, fluida, virtuale si trasformava, si difformava, prendeva tutte le forme. Egli passava dall'uno all'altro amore con incredibile leggerezza; vagheggiava nel tempo medesimo diversi amori; tesseva, senza scrupolo, una gran trama d'inganni, di finzioni, di menzogne, d'insidie, per raccogliere il maggior numero di prede. L'abitudine della falsità gli ottundeva la conscienza. Per la continua mancanza della riflessione, egli diveniva a poco a poco impenetrabile a sè stesso, rimaneva fuori del suo mistero.

 
 
 

Gabriele D'annunzio 1889

Post n°2 pubblicato il 26 Febbraio 2009 da LeonorAndrea

......La fuga del tempo gli era un supplizio insopportabile. Non tanto egli rimpiangeva i giorni felici quanto si doleva de' giorni che ora passavano inutilmente per la felicità. Quelli almeno gli avevan lasciato un ricordo: questi gli lasciavano un rammarico profondo, quasi un rimorso... La sua vita si consumava in sè stessa, portando in sè; la fiamma inestinguibile d'un sol desiderio, l'incurabile disgusto d'ogni altro godimento. Talvolta lo assalivano impeti di cupidigia quasi rabbiosi, disperati ardori verso il piacere; ed era come una ribellion violenta del cuore non saziato, come un sussulto della speranza che non si rassegnava a morire......

 
 
 

Gabriele D'annunzio 1889

Post n°1 pubblicato il 26 Febbraio 2009 da LeonorAndrea

......Una felicità piena, obliosa, libera, sempre novella, tenne ambedue, dopo d'allora. La passione li avvolse, e li fece incuranti di tutto ciò; che per ambedue non fosse un godimento immediato. Ambedue, mirabilmente formati nello spirito e nel corpo all'esercizio di tutti i più alti e più rari diletti, ricercavano senza tregua il Sommo, l'Insuperabile, l'Inarrivabile; e giungevano così oltre, che talvolta una oscura inquietudine li prendeva pur nel colmo dell'oblio, quasi una voce d'ammonimento salisse dal fondo dell'essere loro ad avvertirli d'un ignoto castigo, d'un termine prossimo. Dalla stanchezza medesima il desiderio risorgeva più sottile, più temerario, più imprudente; come più s'inebriavano, la chimera del loro cuore ingigantiva, s'agitava, generava nuovi sogni; parevano non trovar riposo che nello sforzo, come la fiamma non trova la vita che nella combustione. Talvolta, una fonte di piacere inopinata aprivasi dentro di loro, come balza d'un tratto una polla viva sotto le calcagna d'un uomo che vada alla ventura per l'intrico d'un bosco; ed essi vi bevevano senza misura, finché non l'avevano esausta. Talvolta, l'anima, sotto l'influsso dei desiderii, per un singolar fenomeno d'allucinazione, produceva l'imagine ingannevole d'una esistenza più larga, più libera, più forte, « oltrapiacente »; ed essi vi s'immergevano, vi godevano, vi respiravano come in una loro atmosfera natale. Le finezze e le delicatezze del sentimento e dell'imaginazione succedevano agli eccessi della sensualità......

 
 
 

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