Il diario di Nancy

I luoghi della memoria


Spesso la memoria ritorna nei luoghi del passato, come un vecchio attore che s'attarda a lasciare le scene.Mi capita, qualche volta, di ripensare ai luoghi dove ho vissuto. E rivedo il sole di Napoli, quel cielo di un azzurro abbagliante. Rivedo la casa arroccata sui tetti da dove non si vedeva il mare, sentivo il rumore soffocato delle voci nel vicolo, udivo il fischio delle navi in partenza e sognavo di partire.E rivedo le stanze della casa paterna, inondate di luce, il pavimento a riquadri bianchi e neri come una scacchiera.
E ripenso alla casa di Roma, la mia prima casa, quella più amata. Mi rivedo seduta sul marciapiedi a piangere a singhiozzi, la prima volta che l'avevo vista e l'avevo odiata. La delusione di una periferia romana senza storia.In quella casa ci ho vissuto per sei anni, col tempo imparai ad amarla e mi è rimasto nel sangue il panorama, il cupolone sullo sfondo che al tramonto si tingeva di rosso come fosse rame.
Amavo quelle piccole stanze, i minimi spazi da giapponesini. E ricordo l'ultimo giorno, quando riconsegnate le chiavi, chiesi il permesso di rimanere ancora un poco e mi ritrovai sola nelle stanze vuote, a sentire l'eco della mia voce che rimbalzava sulle pareti spoglie. Giravo in tondo su me stessa come una bambina, per mandare indietro la voglia di piangere e di restare. Quella stessa sera avevo un aereo per Parigi, cominciavo una nuova vita. Un'altra vita.Ma avevo dimenticato della serratura difettosa che non s'apriva dall'interno senza chiavi. L'ultimo giorno rimasta intrappolata nella mia casa, che si rifiutava di lasciarmi andare e farmi uscire.L'ultimo giorno dissi addio alla mia casa penzoloni dal balcone del quinto piano, con il vicino che mi aiutava a scavalcare.Anche nella casa di Parigi, la prima volta, mi sedetti sul pavimento nudo e piansi. Confortata dalla portinaia e dall'amministratrice dello stabile, che inutilmente parlavano in una lingua che non conoscevo. Non mi piaceva niente. Niente. E mi stringevo al seno la mia bimba di soli venti giorni.Un anno dopo quella casa già l'amavo, mi piaceva il giardino condominiale, gli alberi che toccavano i vetri delle mie finestre al secondo piano.Quante volte ho guardato l'alternarsi delle stagioni attraverso i vetri, la neve che ricopriva completamente il giardino, i primi timidi germogli in primavera, l'esplosione dell'estate, i lussureggianti colori dell'autunno.
Poi un giorno sono ripartita un 'altra volta e mi sono ritrovata nella piccola cittadina dove adesso vivo.Arrivammo di notte, senza guardarci intorno e la mattina dopo mi ritrovai avvolta dall'aria frizzante della primavera inoltrata, in quel momento compresi di essere arrivata a casa.Sentii dentro di me, che quello era il luogo che mi era stato destinato, quello dove avrei radicato la mia famiglia e la mia vita.
E non mi manca il golfo di Napoli, né il cupolone d'oro di Roma, né i giardini di Parigi, eppure a volte mi ritrovo a pensarci.E poi succede che ti siedi davanti al pc, per aiutare il tuo compagno a cercarsi un monolocale proprio a Parigi e ti ritrovi davanti le foto del tuo vecchio appartamento, di nuovo pronto da affittare.E rivedi la casa in cui hai vissuto per quattro anni, rivedi le finestre ed il giardino, e sorridi notando gli alberi più alti, come se fossero qualcosa di tuo. E ti chiedi cosa sarà rimasto tra quelle mura di te, del tuo entusiasmo di quegli anni, della nostalgia che t'assaliva in certi giorni.E poi succede che sei invitata a pranzo da vecchi amici, quelli che abitano ancora nel tuo palazzo di Roma.E rivedi il vialetto che hai percorso tante di quelle volte, lo stesso dove tuo figlio andava sul triciclo. E rivedi l'androne ed il tuo nome che manca dalle cassette della posta. E rivedi quelle stesse persone che facevano parte della tua quotidianità solo sette anni prima e li ritrovi invecchiati ed un poco più tristi. E ti viene un groppo alla gola che non sai spiegare.E poi qualcuno ti propone di rivedere il tuo vecchio appartamento e ci ritorni ma non vedi nulla, perché gli occhi si sono riempiti di lacrime, senti solo che manca il tuo odore ed il tuo calore.Poi noti che manca la carta da parati con gli orsetti, quella che avevi messo da sola impiastricciandoti di colla, manca pure la decorazione a foglie d'edera nel soggiorno. Ed allora non riesci a rispondere nemmeno alle domande cortesi di chi, tanto gentilmente, ti ha fatto entrare in quelle che ora è la sua casa.In ognuno di questi luoghi c'è una parte di me, un pezzetto di strada, dei momenti vissuti che ho già perduto.E lo so che viaggiare allarga i confini della mente e del cuore, ma a volte mi chiedo se non sarebbe più giusto l'ideale dell'ostrica, come mia nonna che è vissuta nella stessa casa tutta la vita. Una casa che diventa un guscio ed una fortezza.E mi rendo conto di non avere più la voglia di andare dei vent'anni, quando fuori al terrazzo della casa paterna respiravo il vento e mi sentivo in gabbia.Oggi ho voglia di dare ai miei figli la stabilità di un luogo che sia casa. Sono io che mi sento spaesata a non riconoscere tra la gente i visi delle persone con le quali sono cresciuta.Sono io che ancora torno a pensare ai luoghi che ho amato.