Il primo segnale avrei dovuto notarlo già durante la nostra prima vacanza insieme.Ci eravamo presentati all'appuntamento per la partenza, unici del gruppo, sprovvisti entrambi di macchina fotografica.Volli vedere in questo particolare un ulteriore punto d'intesa tra noi, pensavo che come me, anche lui, trovasse ridicoli i turisti con le macchine fotografiche appese al collo e che preferisse vivere invece che fotografare. Io fin da bambina sfuggivo l'obiettivo e cercavo d'imprimere nella mente e nel cuore quante più immagini potessi.Qualche mese dopo, però, cambiai idea al riguardo, quella storia sulla quale non avrei mai scommesso nemmeno mezza lira, si era trasformata inspiegabilmente in qualcosa d'importantissimo. Improvvisamente provai l'esigenza d'immortalare su carta la felicità che stavo vivendo. E fu così che per il suo compleanno decisi di regalargli una macchina fotografica che era un gioiellino della tecnologia.Il secondo segnale avrei dovuto notarlo proprio nel momento in cui lui scartò quel pacchetto regalo, la sua faccia sbalordita che no, non era gioia o stupore, ma vera e propria delusione, come se volesse dirmi "Ma sei scema!!! Ma che regalo mi fai?"Per giustificarmi gli dissi che quello era un oggetto simbolico che ci sarebbe servito per fissare per sempre il nostro presente ed il nostro futuro.Sembrò accettare questa spiegazione romantica, anche se molto gentilmente chiese a me d'occuparmi del "gioiellino".E fu così che da quel giorno mi ritrovai a fare come i giapponesi in vacanza. Quando poi nacquero i nostri bambini diventarono loro il soggetto preferito delle mie foto.Ho riempito decine di album con le loro immagini, di cui vado giustamente orgogliosa perché sono riuscita a cogliere le espressioni più belle della loro crescita.Ma ad un certo punto ho preteso che anch'io facessi parte dei quadretti familiari che forografavo ed ho pregato lui di vincere la sua naturale avversione per la macchina fotografica.Ho cercato d'insegnarli semplicisticamente che basta inquadrare il soggetto dentro l'obiettivo e scattare. Una cosa facile, elementare, un gioco da ragazzi.Ma si vede che non sono stata una brava insegnante, negli anni ho strappato a pezzetti centinaia di foto che mi ritraevano. Foto in cui ero orrendamente decapitata. Foto dove compariva a scelta un cielo di un azzurro abbagliante, oppure, una vegetazione di un verde lucente ed in un angolo, come per caso, spuntava fuori la mia testolina spaurita. Foto in cui particolari anatomici del mio corpo venivano oscurati dall'apparizione divina delle sue dita.
Il fotografo
Il primo segnale avrei dovuto notarlo già durante la nostra prima vacanza insieme.Ci eravamo presentati all'appuntamento per la partenza, unici del gruppo, sprovvisti entrambi di macchina fotografica.Volli vedere in questo particolare un ulteriore punto d'intesa tra noi, pensavo che come me, anche lui, trovasse ridicoli i turisti con le macchine fotografiche appese al collo e che preferisse vivere invece che fotografare. Io fin da bambina sfuggivo l'obiettivo e cercavo d'imprimere nella mente e nel cuore quante più immagini potessi.Qualche mese dopo, però, cambiai idea al riguardo, quella storia sulla quale non avrei mai scommesso nemmeno mezza lira, si era trasformata inspiegabilmente in qualcosa d'importantissimo. Improvvisamente provai l'esigenza d'immortalare su carta la felicità che stavo vivendo. E fu così che per il suo compleanno decisi di regalargli una macchina fotografica che era un gioiellino della tecnologia.Il secondo segnale avrei dovuto notarlo proprio nel momento in cui lui scartò quel pacchetto regalo, la sua faccia sbalordita che no, non era gioia o stupore, ma vera e propria delusione, come se volesse dirmi "Ma sei scema!!! Ma che regalo mi fai?"Per giustificarmi gli dissi che quello era un oggetto simbolico che ci sarebbe servito per fissare per sempre il nostro presente ed il nostro futuro.Sembrò accettare questa spiegazione romantica, anche se molto gentilmente chiese a me d'occuparmi del "gioiellino".E fu così che da quel giorno mi ritrovai a fare come i giapponesi in vacanza. Quando poi nacquero i nostri bambini diventarono loro il soggetto preferito delle mie foto.Ho riempito decine di album con le loro immagini, di cui vado giustamente orgogliosa perché sono riuscita a cogliere le espressioni più belle della loro crescita.Ma ad un certo punto ho preteso che anch'io facessi parte dei quadretti familiari che forografavo ed ho pregato lui di vincere la sua naturale avversione per la macchina fotografica.Ho cercato d'insegnarli semplicisticamente che basta inquadrare il soggetto dentro l'obiettivo e scattare. Una cosa facile, elementare, un gioco da ragazzi.Ma si vede che non sono stata una brava insegnante, negli anni ho strappato a pezzetti centinaia di foto che mi ritraevano. Foto in cui ero orrendamente decapitata. Foto dove compariva a scelta un cielo di un azzurro abbagliante, oppure, una vegetazione di un verde lucente ed in un angolo, come per caso, spuntava fuori la mia testolina spaurita. Foto in cui particolari anatomici del mio corpo venivano oscurati dall'apparizione divina delle sue dita.