Il diario di Nancy

Romanzo incompiuto


Ciò che state per leggere è uno stralcio di quello, che nelle intenzioni di un'adolescente egocentrica dotata del talento della penna, avrebbe dovuto essere il best seller del millennio. Nella mia testa questo po' po' di capolavoro è stato completamente portato a termine, da anni. Nella realtà ho scribacchiato soltanto una trentina di fogli protocolli, rimasti a marcire in fondo ad un cassetto fino a stasera.Grazie all'invenzione geniale dei blog posso finalmente dare alla luce il frutto delle mie ambizioni mancate. Tronfia del mio momento da "scrittrice", ma in fondo consapevole di ricevere dei meritati fischi e pernacchie.-------------------------------------------------------------------------------------------------
P. camminava per strada, estranea a quel rumoroso vortice multicolore che le si muoveva al fianco. Era fuori dal branco, da quando aveva compiuto quel gesto irrimediabile.Eppure avrebbe voluto con tutta se stessa fare parte di quella folla vociante. Avrebbe voluto riconoscervi un volto amico, salutare qualcuno, intrattenersi a chiacchierare di futilità, magari raccontare di sé, della sua vita. Come facevano gli altri, con quelle regole non scritte che ai suoi occhi apparivano come una sorta di danza, a tratti sfrenata ed a tratti lentissima.Ma non ne era mai stata capace, balbettava, arrossiva e si sentiva sempre sbagliata, maledettamente inadeguata.Aveva sempre vissuto con la certezza che gli altri fossero migliori di lei, più intelligenti, più simpatici, più belli, più capaci in ogni cosa. Si era convinta che perfino i suoi genitori le preferissero gli altri due fratelli, i quali avevano il dono di un carattere estroverso e brillante.P. non aveva il coraggio di affermare le sue idee, non riusciva a confidare a nessuno i suoi strani pensieri, non era capace di alzare il tono di voce per farsi ascoltare, trovava disdicevole prendere posizione in una discussione. Viveva di mezze educatissime misure. Un'ombra già perdente in un mondo all'arrembaggio. Eppure continuava a sentirsi parte della folla che le passava al fianco, senza sfiorarla. Era figlia e madre, sorella ed amante di tutta quella gente, che oggi la respingeva violentemente con la faccia schifata, con cinica e spietata indifferenza.Ormai P. era fuori dal branco della gente civile, la massa che le correva accanto tutta uguale, stessi abiti, stesse manie, stesso modo di fare. Un uguale globalizzato che non ammetteva più la diversità come un altro modo di essere.La prima volta P. non aveva ancora diciott'anni, gli era sembrata un'estrema trasgressione per sentirsi migliore come gli altri. "Se disubbidisco ad un divieto sociale vuol dire che non sono sottoposta al gioco come tutti, che sono più in gamba, che sono più forte" così pensava mentre un amico le iniettava la prima dose nelle vene.Quando nella sua famiglia l'avevano scoperto era successo il finimondo, una tragedia fatta di pianti e suppliche e minacce. P. non avrebbe voluto dare a nessuno di loro quell'immenso dolore, era rimasta ferma a fissare il vuoto, mentre qualcosa le si rompeva dentro al petto scarno. Da quel preciso momento trascorreva le sue giornate buttata sul letto, fumando una sigarette dietro l'altra, lo stereo ad alto volume per coprire la sua vergogna. Usciva di casa solo per procurarsi le dosi, così per giorni che diventaranno mesi e poi anni.Finché decise di liberare la sua famiglia dal peso inutile della sua vita. E come immaginava nessuno la cercò. Da allora per tutti divenne una drogata come tanti, da cui tenersi alla larga. Chi la comprava la sera non si chiedeva certo, se dietro la sua innaturale magrezza ed i lividi sulle braccia, si nascondesse ancora una ragazza bisognosa d'amore.Ma una notte era comparsa quella donna, apparsa all'improvviso tra il fumo acre dei copertoni bruciati, ed aveva cominciato a guardarla con quella tenera commiserazione materna.Anche la sera prima era comparsa, P. aveva sentito dire che i tossici vedono quello che i "normali" non riescono più a percepire, la droga renderebbe i sensi più acuti per captare gli orrori del mondo. Non aveva mai dato fede a quella cazzata, sicuramente inventata da qualche filosofo per vendere giornali, ma da quando era comparsa quella donna, P. aveva paura che potesse essere vero, glielo si leggeva negli occhi sempre più annacquati dal buio dell'eroina.Come se le sue paure si materializzassero, all'improvviso se la trovò davanti, finalmente un volto noto tra la folla. La donna le sorrise dolcemente e la prese sottobraccio sorreggendola, P. la lasciò fare, aveva sempre creduto d'avere a che fare con uno spettro, ma adesso il suo contatto reale le dava uno strano senso di protezione.Si lasciò condurre per le eleganti vie del centro, senza avere la forza ed il coraggio di chiederle chi fosse e cosa volesse.Entrarono in un negozio e per P. fu come rivivere una sensazione dimenticata, quando ancora sceglieva vestiti da indossare.La donna le parlò affettuosamente - L'avrai notato che sbaglio sempre vestito. Mi daresti una mano a cercare qualcosa di più adatto? -Solo allora P. sembrò notare la sua mise quasi teatrale. Forse chissà proprio i suoi abiti esageratamente fuori  moda le avevano dato l'impressione che lei fosse un fantasma. E per la prima volta sorrise delle sue fobie.- Non saprei come aiutarti - rispose - Anch'io sbaglio sempre a vestirmi - Ed indicò i suoi jeans sdruciti, il maglione logoro di due misure più grandi e gli stivali rossi da puttana.E per la prima volta si ritrovarono a ridere insieme, stabilendo un legame...(continua???)