Ho raccontato a mia figlia che da piccola avevo una Skipper, la sorellina minore di Barbie, alla quale bastava roteare il braccio per farle crescere i seni. E poi la Barbie ballerina, articolo determinativo singolare, aveva una coroncina in testa e le scarpette da danza, inutile aggiungere che era la mia preferita. Ricordo ancora il giorno in cui mia madre ed io entrammo in un negozio di giocattoli per comprarla, in quegli anni i giochi erano di esclusiva competenza della befana. Babbo Natale era ancora un'usanza nordica, lontana. Ai compleanni bastava una torta fatta in casa ed era festa se, invece, del solito ciambellone la mamma farciva il dolce con la Nutella. Agli onomastici ti dicevano auguri e ti bastava, e quando portavi a casa una pagella con tutti dieci, nessuno ti diceva niente.Sì, dimenticavo, mia nonna ogni mattina ci portava "la bella cosa", ma si trattava di un dolcetto o di un pacchetto di figurine.Avere un giocattolo era un evento del tutto eccezionale, infatti, la mia bella Barbie ballerina mi fu regalata per ripagarmi di un pomeriggio all'ospedale. Era l'inverno del 1975, avevo appena compiuto otto anni, mentre tornavo a casa ebbi la splendida idea di salire gli scalini saltandoli. Un balzo a piedi uniti, un gradino dopo l'altro, dopo le prime rampe di scale il gioco era già diventato troppo facile.Decisi di rendere il gioco più impegnativo, con un balzo avrei saltato due scalini insieme ma presto diventò facile anche salire in questo modo, dovevo aumentare ulteriormente la difficoltà. Tre scalini per volta.Devo premettere che non avevo le mani libere, questo particolare è molto importante, in quegli anni era normale che una bambina tanto piccola fosse impiegata a fare delle semplici commissioni. Ogni pomeriggio avevo il compito d'uscire a comprare qualcosa, perché mia madre era sempre troppo impegnata con i miei numerosi fratelli, tutti più piccoli di me.Non ricordo cosa comprai quel giorno, ricordo solo che saltando tre gradini, fu proprio a causa di quelle buste che persi l'equilibrio. E non ebbi la prontezza di lasciarle per attutire la rovinosa caduta con le mani.Caddi con la faccia a terra, la lingua mi si mozzò tra i denti e i due incisivi superiori si spezzarono, non senti nessun dolore, mi rialzai come se nulla fosse successo. Poi notai il sangue sullo scalino di marmo bianco, lo notai prima ancora di sentirne in bocca il sapore caldo. Toccai il labbro e mi ritrovai le mani insanguinate. A quel punto urlai chiamando la mamma.In quegli anni era consuetudine accorrere alle urla di un bambino, gli usci delle porte si spalancarono e ne uscirono donne scarmigliate che vedendomi si portarono le mani al volto invocando i santi.Mia madre arrivò ed era pallida e muta, solo oggi che sono madre a mia volta posso immaginare il suo stato d'animo.Alcune donne ci seguirono in casa, davano consigli, mi fecero sciacquare la bocca nella speranza vana d'arrestare tutto quel sangue. Fu subito chiaro che c'era bisogno di un dottore, mi tamponarono la bocca con degli asciugamani, mia madre e una vicina mi accompagnarono a piedi in ospedale.Al pronto soccorso non esistevano ancora codici rossi, gialli, verdi o arcobaleno, per cui fui immediatamente visitata e subito preparata per essere ricucita.Ricordo che arrivò un infermiere con un divaricatore e quest'oggetto mi sembrò un terribile strumento di tortura, ne fui spaventata a morte e cominciai a piangere disperata. Per fortuna un dottore spiegò che non era possibile usare il divaricatore perché avevo un dente rotto e l'altro penzoloni.Ricordo ancora il mio ingenuo sollievo quando l'oggetto fu portato via, poi ho solo immagini sfocate di tante persone che mi tenevano ferma, perché in quegli anni non esisteva anestesia per i tessuti molli.Mia madre restò terribilmente scossa dal dolore che avevo provato, oggi so che fu come se l'avesse sentito sulla sua pelle, decise quindi di risarcirmi accompagnandomi in un negozio di giocattoli e regalarmi la Barbie più bella.
Barbie ballerina
Ho raccontato a mia figlia che da piccola avevo una Skipper, la sorellina minore di Barbie, alla quale bastava roteare il braccio per farle crescere i seni. E poi la Barbie ballerina, articolo determinativo singolare, aveva una coroncina in testa e le scarpette da danza, inutile aggiungere che era la mia preferita. Ricordo ancora il giorno in cui mia madre ed io entrammo in un negozio di giocattoli per comprarla, in quegli anni i giochi erano di esclusiva competenza della befana. Babbo Natale era ancora un'usanza nordica, lontana. Ai compleanni bastava una torta fatta in casa ed era festa se, invece, del solito ciambellone la mamma farciva il dolce con la Nutella. Agli onomastici ti dicevano auguri e ti bastava, e quando portavi a casa una pagella con tutti dieci, nessuno ti diceva niente.Sì, dimenticavo, mia nonna ogni mattina ci portava "la bella cosa", ma si trattava di un dolcetto o di un pacchetto di figurine.Avere un giocattolo era un evento del tutto eccezionale, infatti, la mia bella Barbie ballerina mi fu regalata per ripagarmi di un pomeriggio all'ospedale. Era l'inverno del 1975, avevo appena compiuto otto anni, mentre tornavo a casa ebbi la splendida idea di salire gli scalini saltandoli. Un balzo a piedi uniti, un gradino dopo l'altro, dopo le prime rampe di scale il gioco era già diventato troppo facile.Decisi di rendere il gioco più impegnativo, con un balzo avrei saltato due scalini insieme ma presto diventò facile anche salire in questo modo, dovevo aumentare ulteriormente la difficoltà. Tre scalini per volta.Devo premettere che non avevo le mani libere, questo particolare è molto importante, in quegli anni era normale che una bambina tanto piccola fosse impiegata a fare delle semplici commissioni. Ogni pomeriggio avevo il compito d'uscire a comprare qualcosa, perché mia madre era sempre troppo impegnata con i miei numerosi fratelli, tutti più piccoli di me.Non ricordo cosa comprai quel giorno, ricordo solo che saltando tre gradini, fu proprio a causa di quelle buste che persi l'equilibrio. E non ebbi la prontezza di lasciarle per attutire la rovinosa caduta con le mani.Caddi con la faccia a terra, la lingua mi si mozzò tra i denti e i due incisivi superiori si spezzarono, non senti nessun dolore, mi rialzai come se nulla fosse successo. Poi notai il sangue sullo scalino di marmo bianco, lo notai prima ancora di sentirne in bocca il sapore caldo. Toccai il labbro e mi ritrovai le mani insanguinate. A quel punto urlai chiamando la mamma.In quegli anni era consuetudine accorrere alle urla di un bambino, gli usci delle porte si spalancarono e ne uscirono donne scarmigliate che vedendomi si portarono le mani al volto invocando i santi.Mia madre arrivò ed era pallida e muta, solo oggi che sono madre a mia volta posso immaginare il suo stato d'animo.Alcune donne ci seguirono in casa, davano consigli, mi fecero sciacquare la bocca nella speranza vana d'arrestare tutto quel sangue. Fu subito chiaro che c'era bisogno di un dottore, mi tamponarono la bocca con degli asciugamani, mia madre e una vicina mi accompagnarono a piedi in ospedale.Al pronto soccorso non esistevano ancora codici rossi, gialli, verdi o arcobaleno, per cui fui immediatamente visitata e subito preparata per essere ricucita.Ricordo che arrivò un infermiere con un divaricatore e quest'oggetto mi sembrò un terribile strumento di tortura, ne fui spaventata a morte e cominciai a piangere disperata. Per fortuna un dottore spiegò che non era possibile usare il divaricatore perché avevo un dente rotto e l'altro penzoloni.Ricordo ancora il mio ingenuo sollievo quando l'oggetto fu portato via, poi ho solo immagini sfocate di tante persone che mi tenevano ferma, perché in quegli anni non esisteva anestesia per i tessuti molli.Mia madre restò terribilmente scossa dal dolore che avevo provato, oggi so che fu come se l'avesse sentito sulla sua pelle, decise quindi di risarcirmi accompagnandomi in un negozio di giocattoli e regalarmi la Barbie più bella.