Creato da bimbadepoca il 16/03/2005

Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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Libera piazza

Post n°254 pubblicato il 22 Ottobre 2009 da bimbadepoca
 

Oggi voglio raccontarvi una storia che ha avuto luogo tantissimi anni fa, precisamente in quel periodo in cui l'impero romano era agli sgoccioli e la religione cattolica era diventata religione di Stato.
Dopo circa quattrocento anni dalla morte di Gesù, i suoi epigoni avevano già dimenticato il messaggio rivoluzionario del Cristo e da perseguitati si erano trasformati in persecutori, non c'era più scampo per i pagani, la libertà di culto era un concetto morto e sepolto.
Se poi il pagano in questione era una donna, per giunta più intelligente degli uomini, le cose si complicavano. Se questa donna conosceva ed insegnava matematica e filosofia non c'era scampo, doveva morire. Uccidere lei significa distruggere la cultura e la libertà di pensiero, fu così che Ipazia di Teone fu scarnificata viva.
Niente di nuovo sotto il sole, nient'altro che la solita vittima sacrificata sull'altare degli integralismi religiosi.
Roba vecchia accaduta nel 415 d.C.
Oggi la religione cattolica è un'altra cosa


 

Già, sarebbe bello se così fosse, mi spiace deludervi ma le cose non stanno in questo modo. Ipazia fa ancora paura, perché rappresenta la donna libera, colta e intelligente.
Alejandro Amenàbar, regista spagnolo, ha girato un film su questa donna straordinaria. Un film che è già uscito in Spagna e che è stato comprato da tanti altri Stati, esclusa l'Italia. Al vaticano (lettera minuscola obbligatoria)questo film non piace, quindi ne ha vietato la distribuzione nel nostro bel paese.
E le case di distribuzione non osano mettersi contro gli ordini di una così potente dittatura.  E così nel nostro bel paese anche i Patti Lateranensi sono andati a puttane.

Siccome io continuo a credere che la libertà sia un valore fondamentale nella vita di ogni uomo, ho firmato questa petizione.

Se poi siete iscritti anche su Facebook, potete pure iscrivervi a questo gruppo.

 

 

 
 
 

Esercizi ginnici...

Post n°253 pubblicato il 14 Ottobre 2009 da bimbadepoca
 


Ieri pomeriggio, insospettita da un inusuale silenzio, sono entrata in camera di mio figlio, l'ho trovato steso sul pavimento, a pancia in giù, intento a fare le flessioni.
La sorella era sdraiata sulla sua schiena  per aumentare la difficoltà dell'esercizio, a mo' di zavorra.
- Cosa fate??? - ho chiesto, la mia era una classica domanda retorica, la cui risposta era del tutto scontata, lo vedevo benissimo da me cosa stavano facendo. Ma si sa, le mamme sono state programmate per porgere domande retoriche ai propri figli.

Ovviamente g. non mi ha degnato di nessuna risposta, impegnato com'era a conteggiare a mezza voce i suoi sforzi; Emme tutta soddisfatta del suo ruolo di assistente del fratello, ha voluto mettermi al corrente di quel nuovo gioco - G. vuole fare la rana!-
- La rana??? - ho esclamato sorpresa di quella risposta, che lo ammetto, mi ha spiazzato.

A questo punto è intervenuto il diretto interessato, rimproverando bonariamente la sorellina - Ma possibile che non capisci nulla. Non voglio fare la rana, voglio avere una tartaruga- 

Oh Signore!!! Avrei preferito che s’allenasse per saltare come una rana, non per avere una tartaruga sul torace.
No!!! No!! E ancora no!!! Non sono preparata per fare la mamma di un adolescente.

 
 
 

Rivoluzioni e particolari in una tazza di caffè

Post n°252 pubblicato il 06 Ottobre 2009 da bimbadepoca
 

- Sono proprio felice che mio figlio sia andato a vivere a Wellington!!! – esclama Anna addentando un pasticcino con nocciole.
Dai primi di settembre suo figlio, il più piccolo della nidiata, si è trasferito in Nuova Zelanda per lavoro. All’iniziale dispiacere per la grande lontananza, Anna ha sostituito una sorta di rassicurante contentezza, consapevole che il nipotino nascerà e crescerà in un paese libero e civile.
- Loro sono al sicuro!!! – aggiunge, infatti, in risposta ai nostri muti cenni di consenso.
- Se potessi anch’io fuggirei dall’ Italia. – dice Mavì cominciando a distribuire le carte per il consueto ramino del mercoledì – Mi piacerebbe tanto andare a vivere a Londra -
- Io vorrei andare a New York. Sarebbe un sogno fare shopping ogni giorno sulla Fifth Avenue – sospira Isabella.
- Non c’è dubbio, io sceglierei l’esilio dorato di Saint Tropez, in una grande villa circondata da vigneti e giardini fioriti – confessa Eugenia, aristocratica anche nei vagheggiamenti.
- Se non fosse per voi avrei già aperto una pasticceria a Vienna – ammette Laura con la voce che le trema un poco, forse è sentimentalismo, forse commozione, forse è soltanto vanteria perché la sua Sacher Torte è più buona di quella di Demel.

- E’ completamente inutile questo nostro disfattismo – sbotta Anna all’improvviso, lanciando le sue carte da gioco sul tavolo verde e sui pasticcini – Dobbiamo smetterla con tutti questi blablablà senza costrutto. Qui dobbiamo scendere in piazza a fare la rivoluzione - negli occhi un lampo delle passate battaglie e, per un attimo, è ancora la ragazzina con i capelli lunghi e scarmigliati vestita con abiti sgargianti. E’ ancora la giovane femminista di dieci anni dopo, che scorazzava i figli in una due cavalli Charleston a far la spola tra i collettivi italiani.
Di quel tempo ci sono rimasti soltanto gli stessi ideali e la nostra amicizia, nata proprio durante le occupazioni studentesche del 68.
- Ma quale rivoluzione!!! – le fa eco Laura ed il piglio con cui reagisce non ha la dolcezza abituale – Sono stufa di scontri e battaglie che non portano da nessuna parte. Non voglio fuggire dal mio paese, qui c’è la mia casa, le persone a cui voglio bene, tutto il mio banalissimo, piccolo mondo di ogni giorno –
- Appunto per questo dobbiamo fare la rivoluzione, per difendere il nostro banalissimo mondo da chi vuole trasformarlo in un circo privo di valori. Dobbiamo metterci in testa che questa è una guerra e che noi stiamo dalla parte della ragione - il tono di Anna è lo stesso di quando incitava le donne a pretendere il divorzio.
- Ma contro l’arroganza non si vince mettendosi sullo stesso livello di chi urla. Non ci sono buoni e cattivi, ci sono soltanto persone che non sanno più riconoscere il giusto perché hanno dimenticato, o semplicemente ignorano, la nostra storia. E l’ignoranza si combatte prima di tutto con la cultura. Noi che siamo persone oneste abbiamo il dovere di dare il buono esempio, continuando a vivere in maniera dignitosa, scegliendo sempre la strada meno comoda per arrivare alla meta – Laura ha ritrovato il suo tono materno, illustra con calma il suo punto di vista e noi altre ci ritroviamo spettatrici di quella che sembra una partita a due, inevitabilmente ci schieriamo, chi a favore della tesi di una e chi dell’altra.

Io resto neutrale finché Mavì non s’accorge del mio sospetto silenzio.
- Nancy ma cosa hai oggi??? – tutte si zittiscono di botto, come rendendosi conto di una stortura nel muro portante che prima non c’era.
Colta in fallo farfuglio e arrossisco e loro capiscono che nascondo qualcosa.
- Sei uscita con Francesco??? – chiede Eugenia. Io scuoto la testa istintivamente.
- Ti ha chiamato Tommasino??? – domanda Isabella speranzosa. Ma ancora dico no col capo.
Ora sono tutte in attesa del mio racconto, hanno già dimenticato rivoluzioni e trattati di pace, non sono superficiali le mie amiche, non sono indifferenti, sono soltanto esseri umani come tanti. Perché per ognuno di noi ciò che conta veramente, ciò che ci fa vivere, è l’amore o l’illusione di esso. Nessun uomo, nessuna donna in pericolo di vita ripensa con nostalgia ai soldi o ai beni materiali. Nessuno piange per il successo conquistato, bramato o perduto. L’ultimo pensiero va alle persone che amiamo, a quelle che hanno dato senso ai nostri giorni.

In realtà non mi è successo nulla di speciale, questa mattina reduce da una lunga fila alle poste, ho avvertito il bisogno di un caffè e di una sfogliatella calda. Avevo bisogno di rilassarmi, concedermi una coccola rileggendo il libro di poesie che porto sempre in borsa, godermi il tepore di questi primi giorni d’autunno. 


Così sono entrata in un bar e mi sono diretta all’unico tavolino rimasto libero, in un antico cortile ombreggiato da una betulla secolare, le foglie appena spruzzate di giallo. E quasi mi sono scontrata con un uomo che aveva la mia stessa intenzione.
Mi ha ceduto il posto per cavalleria ed io ho rifiutato per educazione.
- Se non le dà fastidio potremo condividere il tavolo – non era un approccio, non mi sembrava il tipo che va in giro ad adescare signore, come me si era guardato intorno ed aveva capito che nessuno dei vicini avrebbe abbandonato tanto presto quell’oasi di tranquillità.
Ho accettato.
Ci siamo seduti, lui ha disposto sul tavolo un’agenda come per delimitare il confine tra noi, io ho tirato fuori dalla borsa il libro di poesie; era evidente che nessuno dei due voleva rinunciare ai suoi propositi. Ma la situazione imponeva che tentassimo un minimo di conversazione, così abbiamo tirato in ballo i soliti luoghi comuni sul tempo e le stagioni. Anche se io avrei voluto rileggere poesie che conosco a memoria e lui consultare la sua agenda, che chissà se conteneva appunti di lavoro o sgorbi di bambino.

Ad un tratto lui ha sorriso e sulla guancia destra è apparsa un’affascinante ruga verticale.
- Come puoi trovare affascinante una ruga??? – m’interrompe Eugenia, che ancora non si è rassegnata a vedere l’oltraggio del tempo sul suo viso.
- Una volta ti lasciavi affascinare dallo sguardo di un uomo– mi ricorda Mavì,che custodisce la memoria storica delle mie confidenze e dei miei gusti.
- Io agli uomini continuo a guardare il culo- conclude Isabella ammiccando.
- Possibile che non riusciate a capire tutto quello che riuscivo a leggere in quella ruga??? – domando assumendo senza volerlo un’aria di superiorità, ero l’eletta al cospetto dei profani.
- Qualcuno legge i fondi del caffè – ride Laura ruotando la tazzina che tiene in mano – e la nostra Nancy legge le rughe -
Ignoro la bonaria presa in giro e continuo a raccontare. Parlo dell’incantevole sorriso di quell’uomo, dell’abitudine che doveva avere d’atteggiare le labbra in un ghigno sprezzante, quello di chi conosce il mondo e le sue miserie. La ruga mi raccontava anche della profonda malinconia di certi giorni, della rabbia per l'incerta attesa di un indefinibile domani. Quell’uomo era un idealista puro intrappolato nel secolo sbagliato.

Avrei voluto lenire il suo dolore, allungare la mano e sfiorargli il volto. A malincuore mi sono imposta di non guardare e desiderare la guancia destra di uno sconosciuto.
- Vabuò Nancy – mi liquida Mavì, che tra tutte è la più concreta – alla fine sei riuscita a farti dare un appuntamento da questo signore??? -
Scuoto la testa, non era mia intenzione andare oltre una semplice carezza.
Eugenia mi prende la mano tra le sue, il suo sorriso lascia trapelare tutto l’affetto che prova nei miei riguardi – Solo tu potevi costruire un romanzo suuna ruga-
Isabella c’interrompe, ha ricordato qualcosa d’importante – Nancy ma ieri non t’avevo regalato dei campioncini di crema??? Conoscendoti saranno ancora nella tua borsetta –

Anna si alza per correre all’ingresso, dove abbiamo riposto foulard, golfini e borse. E dopo poco ritorna nel soggiorno stringendo tra le mani flaconcini di crema antirughe.
- Ma se al signore, invece di scrivergli un’enciclopedia sulle rughe, regalavi uno di questi campioncini non era meglio per tutti??? – mi domanda Anna ridendo a squarciagola.

 
 
 

Il ritorno

Post n°251 pubblicato il 28 Settembre 2009 da bimbadepoca
 

E’ con un misto di gioia e trepidazione che ritorno a scrivere tra le pagine di questo diario.
Dove sono stata in tutti questi mesi??? No, non ero riparata all’estero per sfuggire alle brutture delle cronache quotidiane, un luogo lontano dal bel paese che fu, dove esercitare l’arte sopita della leggerezza.
Nemmeno mi ero rintanata in un cantuccio per scrivere e ritornare in pompa magna dopo aver dato alle stampe il mio attesissimo romanzo; no, ho perso parole e trame un anno fa e non le ho ancora ritrovate.
E non ero neppure morta, come qualcun altro avrà creduto (o sperato), lasciando come unica traccia del mio passaggio terreno questi quattro ghirigori di memoria.

Già immagino le vostre domande, acuite dal dolore della mia lontananza: Ma allora come mai eri sparita??? Perché questa lunga assenza???
Per spiegarvelo devo fare un passo a ritroso e raccontarvi della sindrome dell’architetto.
Possibile che non conosciate questa patologia??? Eppure miete più vittime dell’influenza suina e non esiste vaccinazione di sorta. Colpisce in prevalenza le donne, i primi sintomi sono facilmente diagnosticabili, cominciano con l’acquisto di riviste d’arredamento.
Nella fase iniziale della malattia la donna obbliga fidanzati, mariti e amici volenterosi, a spostare mobili e divani da una parete all’altra. Durante la fase acuta le ammalate cominciano a cambiare le tende, tappezzare poltrone e comprare nuovi complementi d’arredo. Nei casi più gravi le moribonde hanno la necessità di abbattere pareti, imbiancare muri, piastrellare bagni e cucine, creare verande.


Purtroppo io sono una malata cronica, ho contratto il virus quando ancora abitavo a Napoli, ma la fase acuta l’ho vissuta nella casa di Roma. In quel periodo giravo per le stanze di casa mia armata di metro, dalle riviste specializzate ritagliavo in modo compulso immagini di sofà, cappelliere e piatti doccia.
Non mi è bastato accumulare quattro traslochi in sedici anni, ogni volta ricostruire il mio nido in spazi nuovi e ambienti diversi. Macché… dopo tre anni che vivo nello stesso appartamento non vedo l’ora di buttare tutto all’aria e ristrutturare ogni pertugio.

E nell’attesa di poter disporre a mio piacimento di una squadra di muratori, elettricisti  e falegnami, ho dovuto lenire lo stato ansioso legato alla malattia con qualche potente palliativo, ed è così che nella mia vita è entrato PET Society.
Non ditemi che non lo conoscete, è un gioco che impazza su Facebook, addirittura esiste un fiorentissimo mercato internazionale legato a questo giochino.

Prima di tutto bisogna crearsi un avatar, un animaletto personalizzabile, che vivrà in una sorta di utopistica città del sole, secondo i dettami di Tommaso Campanella.
Pensate un po’, in questa città non ci sono pericoli di alcun tipo, nessun nemico nascosto dietro l’angolo, nessuna squadraccia.
Gli animaletti passano il tempo a far visite agli amici, ammirare le loro case, scambiarsi regalini, comprarsi abiti e mobili e ciondolare nel bar. Ogni mattina il sindaco consegna ad ognuno la vincita giornaliera della lotteria e, udite udite, sugli alberi che contornano i vialetti della graziosa cittadina crescono monete d’oro.
Proprio il paese della cuccagna.

Finalmente grazie al mio animaletto* ho una casa da arredare, posso fare e disfare secondo l’estro del momento; stamattina per esempio ho spostato lo studio al pianterreno e, al terzo piano, dove prima c’era lo studio ho disposto l’angolo relax. Non è da escludere che, tra qualche tempo, smonto lo studio e al suo posto metto la sala da pranzo con camino. Il tutto senza chiedere permessi edilizi.

Sissignori sono mancata da questo blog per malattia, ditelo anche a Brunetta posso produrre certificato medico per la mia sindrome dell’architetto.


Non contenta di PET Society da qualche settimana ho cominciato a giocare anche a FarmVille, non una casa da arredare ma un'intera fattoria da gestire. Simulacro del sogno bucolico di cibarsi dei prodotti sani del proprio orticello. Se vi può interessare domani dovrei fare il raccolto dei carciofi.

*Chiaramente la mia bestiolina si chiama Nancyno.

 
 
 

Versamenti bancari

Post n°250 pubblicato il 02 Marzo 2009 da bimbadepoca
 

Qualche giorno fa mi sono recata in banca per effettuare un versamento. Non è un’operazione che faccio spesso, i miei contatti bancari sono puramente automatizzati, di solito inserisco la tessera nel bancomat e prelevo a gogò.

Già m’immaginavo il supplizio dell’entrata, quella maledetta voce registrata che ogni volta m’intima di tornare indietro per depositare gli oggetti metallici nell’armadietto. Abitualmente sono costretta a lasciare la borsa, spesso ho dovuto togliere anche collane e braccialetti. Una volta d’estate, nonostante avessi già depositato tutto quello che c’era da depositare, la malefica porta continuava a negarmi l’accesso. Dovetti richiamare l’attenzione di un impiegato battendo i pugni sui vetri, fargli una piroetta per mostrargli il mio vestitino di cotone e spiegargli a gesti che l’ultima cosa che potevo depositare nell’armadietto era quello.

Con mia grande sorpresa questa volta la porta non mi ha bloccato, miracolosamente mi ha fatto passare con tutta la borsa, ho sospirato grata che finalmente avessero revisionato l’infernale meccanismo. Non c’era nessuno, così mi sono recata immediatamente ad uno degli sportelli.

- Buongiorno! Dovrei fare un versamento sul mio conto – ho spiegato all’impiegato sorridendo.
-  Qual è il suo numero di conto???-
-XYZ000000-
- Mi spiace signora, non risulta nessun conto intestato a questo numero. Gentilmente può ripetere???_
Ho fatto di più, gli ho mostrato il foglietto sul quale, prima di uscire da casa, avevo trascritto il numero per paura di dimenticarlo.
L’impiegato ha digitato nuovamente le cifre sul computer.
- No signora, non risulta nulla. A chi è intestato il conto???
- E’ cointestato a me e mio marito – e gli ho sillabato i nostri nomi con calma.
- Mi dispiace, ma i vostri nominativi non risultano-

Mi è preso il panico, ho pensato con terrore che qualche pirata informatico avesse fatto sparire il conto, nel frattempo l’impiegato mi fissava con aria sospettosa e mi è venuto il dubbio che potesse credermi una malintenzionata.
- Guardi l’impiegato che stava lì mi conosce – ed ho indicato il punto esatto col dito, non mi ero ancora resa conto di quante modifiche avessero apportato – quello che stava al servizio clienti prima che faceste i lavori di rimodernamento, nell’ufficio che stava lì – ho insistito indicando il posto dove dovevano esserci dei pannelli di vetro e acciaio per delimitare uno spazio appartato.
- Scusi ma quali lavori??? – ha chiesto l’impiegato disorientato.

Non so perché ma ho avuto la sensazione che cominciasse a considerarmi non tanto sana di mente. Mentre io ricordavo benissimo, che fino alla volta precedente, il servizio clienti era nel punto preciso che avevo indicato.
Mi è presa l’ansia, mi sembrava di stare in una di quelle trasmissioni demenziali in cui fanno scherzi atroci alla gente. Ma ho scartato quest’ipotesi, doveva esserci un’altra ragione che mi sfuggiva.
- Anche mio fratello lavora alla Banca Nazionale dei Rubacchiotti. Potete chiamare lui per avere la conferma che effettivamente ho un conto presso di voi –
Il viso dell’impiegato si è improvvisamente illuminato.
- La Banca Nazionale dei Rubacchiotti è sull’altro lato della strada, diametralmente opposto alla nostra agenzia. Questa è il Credito Provincialese–
- Ah!!! – ho esclamato senza riuscire a dire altro, ho sentito il calore del sangue affluire alle guance per la vergogna – Mi scusi – ho farfugliato, trattenendo a stento il riso.
- Non si preoccupi sono cose che capitano – mi ha detto l’impiegato con tono comprensivo, quasi paterno, sul viso un’espressione divertita molto più simpatica dell’aria annoiata che aveva prima.

Lo so adesso penserete che io sia una svampita, una con la testa perennemente fra le nuvole. Ma non è così, in realtà l’ho fatto apposta, mi piace regalare ai grigi impiegati un po’ di buonumore, diventare lo spassoso argomento di cui parlare nella pausa caffè con i colleghi.
Mi dovreste considerare una specie di benefattrice. Ecco questa è la verità… ehm!!!

 
 
 

Sono una WINX

Post n°249 pubblicato il 09 Febbraio 2009 da bimbadepoca
 

Mentre passeggiavo tranquillamente per le vie della mia città, lo sguardo si è posato volontariamente nelle vetrine di un negozio di biancheria intima, ché c’avrei un certo debole per questo genere di capi.
Sì, lo confesso, la biancheria intima mi piace da morire, esiste qualche donna a cui non piace???

Ma mentre l’altro giorno mi soffermavo sugli ultimi arrivi di stagione, ho notato con gran curiosità che il completino esposto in vetrina aveva dei tagli strategici, sulle coppe del reggiseno all’altezza dei capezzoli, e sulle mutande, inutile aggiungere l’esatta ubicazione.
Una roba simile, per carità meno raffinata, meno frou frou, l’avevo vista in un sexy shop a Parigi. Appunto un sexy shop mi sembra il luogo appropriato per un certo tipo di biancheria di cattivo gusto, non certo le vetrine del centro cittadino.

Ho guardato meglio ed ho notato che oltre a questo completino, c’erano anche delle manette di pizzo e macramè, una mascherina e una frusta a forma di cuore che sembrava la bacchetta magica delle Winx. Il tutto accompagnato da tanti cuoricini.


Ebbene sì, si trattava del necessaire per San Valentino. Non so voi, ma io, lì per lì, mi sono sentita una vecchia bigotta di campagna, avrei avuto voglia di borbottare che ai miei tempi San Valentino era un’altra cosa. Certo, senz’altro una festa leziosa, da bandire dal calendario per tutte quelle come me che, chissà perché quel giorno erano sempre single. Ma era anche vero che i fidanzatini si regalavano quei famosi cioccolatini, dei peluche coccolosi, qualcuno azzardava le prime rose o la prima cena a lume di candela. E non ci si poteva dimenticare del bigliettino, grondante di cuori e di parole d’amore copiate dalle canzonette, più ne mettevi e più andavi sul sicuro.

Sì, ai miei tempi, San Valentino era una festa romantica, uno sdolcinato supplizio che speravi passasse in fretta, però era il trionfo dei buoni sentimenti.  E non ci sto a vederlo trasformato in una festa fetish che invita all’orgia e alle trasgressioni, con i buchi sulle mutande, le manette, la mascherina e il frustino.

Ma poi, per fortuna mentre riflettevo, mi sono ricordata dei Lupercalia. Già, i Lupercalia, la festa romana in onore del Dio Fauno, durante la quale gruppi di uomini seminudi, si mascheravano da lupi e andavano in giro a frustare il sedere delle giovani donne. Era un antichissimo rito per la fertilità, cancellato dalla dittatura della nascente religione cattolica.

E allora ben vengano le mutande con le aperture strategiche, ben vengano le manette e le mascherine, molto meglio di quell’insipido San Valentino imposto dalla religione cattolica, che poi i maschi della mia generazione ti regalavano rose e cioccolatini ma alla fine, sempre quello era il premio che desideravano.

E domani, sapete che vi dico, mi comprerò la frusta a forma di cuore, quella che sembra la bacchetta magica delle Winx. E ogni volta che qualche uomo mi contraddice, la agito in aria come per fare una magia, sorriderò con il migliore dei sorrisi, e poi lo frusto senza pietà. Ma senza cattiveria giusto come augurio di fertilità. Così mi sentirò un po’ più vicina alla nostra natura primordiale.

 
 
 

L'inquietudine

Post n°248 pubblicato il 02 Febbraio 2009 da bimbadepoca
 

Sto aspettando le mie amiche, le ho invitate a casa mia per un tè, ho bisogno di capire perché, improvvisamente, sento questo bisogno disperato di qualcuno su cui fantasticare nella litania dei giorni troppo uguali.

Ieri sera degli amici mi hanno portato in un locale dove non ero mai stata, doveva essere uno di quei posti di tendenza, a giudicare dalla folla che c’era.
Ci siamo seduti in un angolo un po’ defilato per poter chiacchierare, nonostante la musica e il brusio, lentamente la voce dell’uomo che stava cantando è emersa prepotentemente dal limbo dei sopiti ricordi. E l’ho riconosciuta.
E’ strano come, a differenza dell’involucro del corpo, la voce resti sempre uguale a se stessa. La sua l’avevo sentita cantare tante altre volte, e in quel tempo cantava per me sola.

Sì, anche l’ultima sera, intorno al fuoco di un improvvisato falò in spiaggia. Eravamo tanto giovani in quella notte d’agosto, sulla pelle il colore dorato dell’estate, il barlume delle fiamme rendeva tutto irreale, come se sapessimo già che un momento così non sarebbe mai più ritornato.
Lui suonava la chitarra, proprio come ieri sera, forse era solo meno esperto, meno bravo. E cantava canzonette d’amore, tutte quelle che piacevano a me.
Ritornelli nei quali erano racchiusi le dolci menzogne di ogni storia, anche della nostra che era così poco seria e così poco storia.

Quella notte lui comprese che l’avevo tradito un’altra volta, che ero irrecuperabile e sbagliata. Incominciò a intonare una nuova canzone, senza più guardarmi, parole di disprezzo già cantate da altri. E fu la fine.
E chissà perché ieri sera, mentre l’ascoltavo cantare in quell’ambiente di fasulla allegria che mi era estraneo, egli stesso un altro che non era più quello; ripensavo all’ultima notte con il groppo alla gola per le perdute carezze di quei giorni.

Non era lui a mancarmi, appartiene al passato remoto della mia vita, mi manca troppo l’ingannevole sensazione dell’amore, la pienezza appagante che regala, quasi uno scudo contro le brutture.
In questi ultimi anni ho raccattato soltanto delusioni, uomini che non mi hanno lasciato nient’altro che un maggiore senso di solitudine emotiva. E quando Francesco Liguori è ritornato nella mia vita io ci ho creduto. Ci ho creduto, nonostante la diffidenza delle mie amiche, che per lui hanno inventato quel nomignolo che gli calza a pennello: ” Signor non mi sporcare la camicia”.

Ci ho creduto perché volevo illudermi, perché di lui conservo ancora il desiderio, perché ho sperato che tra noi ricominciasse l’amore. Quello che ti fa battere il cuore e sentire viva, quello che regala un senso ai giorni uguali.
Ci siamo rivisti ancora un’altra volta, nello stesso anonimo bar di periferia, nascosti come topi braccati, peggio di due clandestini.
- Ti prego, esci con me stasera!- l’ho implorato come non ho mai fatto con nessuno in vita mia. L’orgoglio che sbatteva contro i denti.
- Tu lo sai che lo vorrei più di ogni altra cosa al mondo, ma non posso - mi ha ripetuto la solita tiritera degli obblighi matrimoniali.
- Capisco soltanto che se tu lo volessi veramente, questa sera usciresti con me- gli ho risposto delusa, perché sono donna e illogica e non sempre riesco a capire le ragionevoli motivazioni. So soltanto che sono tre anni che mi racconta la sua infelicità di uomo sposato. Tre anni che spergiura di desiderarmi pazzamente e non trova un’ora per incontrarmi. Soltanto minuti rubati in questi incontri furtivi, in anonimi bar di periferia, misere cornici per la mia fantasiosa immaginazione.

- Un giorno noi vivremo insieme - mi ha prospettato un futuro per ripagarmi di quest’attesa infinita. Come se questa notizia avesse dovuto riempirmi di gioia, come se io volessi condividere con lui pantofole, pigiami di lana e unguenti per i reumatismi, come se cercassi la banale quotidianità. E invece cerco attimi da ricordare.
- So soltanto che la vita è ora, mentre parliamo di un domani che potrebbe non accadere mai. Perché io ti desidero qui e ora, perché oggi la mia carne ti reclama, domani potrei essere cibo per i vermi. Oggi vivo l’inquietudine di averti addosso per un’intera notte, domani potrei avere i capelli bianchi e passare le mie lunghe ore a fare centrini all’uncinetto -.

- Cerca di capire Nancy, non voglio uscire con te solo per una sera, con te mi piacerebbe fare un bel viaggio- mi ha detto per cambiare discorso, per cancellare il rimprovero dal mio sguardo e dal mio tono di voce.
E abbiamo cominciato a fantasticare sulla meta. Avrei voluto ballare con lui nel cimitero ebraico di Praga, al suono dei violini. Ma Francesco pensava al mare, una di quelle mete per finti ricchi, villaggi turistici che nascondono e insudiciano la vera anima dei luoghi.

Ho scosso la testa sconsolata, per quella nostra diversità che affiorava da particolari e cancellava in entrambi ogni rimpianto. Allora mi ha baciato con furia e non mi è piaciuto, perché quest’irruenza aggressiva non è passione, Non è quello che voglio e che mi manca.
Io voglio parole d’amore che non sono vere e nemmeno false ma relative al qui e ora. Al presente che ci sfugge troppo velocemente e non abbiamo nemmeno più vent’anni, quando il futuro era tutto da inventare.
Io vorrei qualcuno che mi proteggesse da questo mondo che non è il mio, che non mi piace, che mi fa paura.
Francesco, nascondimi nelle tue braccia da ogni male, restituiscimi la primitiva ingenuità di quando ragazzini credevamo che esistesse il bene, vaccinami nella sacralità del sesso contro la vanità dell’uomo.
Perché io e te siamo uguali quando proviamo questo stesso desiderio. Perché lo scopo dell’umanità era l’amore e tutto il resto non contava nulla.

Ma è già così difficile spiegare a me stessa cosa mi manca, che non so spiegarlo a lui e rimaniamo in silenzio come due estranei, con quello stesso senso di vuoto che ho provato ieri sera, ascoltando una voce che, una volta, cantava per me sola.

 

 
 
 

L'età del cervello

Post n°247 pubblicato il 15 Gennaio 2009 da bimbadepoca
 

Qualche anno fa, venne messo in commercio un giochino per il Nintendo DS che testava l’età del cervello. Lo pubblicizzava una Nicole Kidman fresca di chirurgo plastico, come se bastasse un ritocco qui e là per ringiovanire anche il cervello.

Questo Natale il simpatico vecchietto vestito di rosso ha portato in regalo a mia figlia, proprio il Nintendo DS, ovviamente nella versione rosa. E poi il gioco di Trilli.
Emme aveva fatto una lista lunga due pagine di tutti i giochi che avrebbe voluto in dono. Ci è rimasta malissimo quando ha trovato soltanto quello di Trilli.
I bambini hanno ancora l’innocenza ingorda di valutare le cose in base alla quantità rispetto all’oggettivo valore. E Emme ha cominciato a interrogarsi sulla sua bontà, dato che non era stata premiata da Babbo Natale.

Chiaramente nei giorni seguenti, alla domanda di rito che si fa ai bambini in queste occasioni, rispondeva senza nascondere la sua piccola delusione. Così lo zio ha deciso di scaricarle tutti i giochi che lei aveva chiesto su una scheda di memoria R4.
Tra i tanti ha aggiunto anche Brain Training, quello che testa l’età del cervello.

Sissignori l’ho fatto!!!
Ebbene, è risultato che il mio cervello ha 80 anni … non vi dico che frustrazione quando mio marito ha fatto lo stesso test ed è risultato che ha 77 anni. Tre meno di me.

Per fortuna il giochino prevede una serie di esercizi quotidiani per allenarsi e migliorare le capacità del cervello. Il signor Ryuta Kawashima è una persona gentilissima, ogni volta che l’accendo è sempre felicissimo di vedermi, mi rimprovera bonariamente se salto qualche appuntamento, si preoccupa se svolgo i test a tarda sera, mi fa delle domande che poi mi ripropone a trabocchetto dopo qualche giorno, per vedere se sono completamente rimbambita. Sì, è proprio una persona deliziosa.

Così ho cominciato ad allenarmi, alla fine di ogni esercizio invece del punteggio viene fuori un livello di velocità. Inizialmente io andavo sempre a piedi, poi un giorno ho finito un esercizio veloce come un treno e ho condiviso esultante la mia gioia con i miei figli e i figli dei miei amici.
Effe, 10 anni appena compiuti, mi ha guardato con aria commiserevole, spiegandomi che lei risolveva lo stesso esercizio veloce come un razzo. Capite … un razzo!!! Soltanto in un’altra vita potrò andare veloce come un razzo.

Mio figlio Gi, che aveva sempre snobbato Brain Training, considerandolo poco divertente, ha cominciato ad appassionarsi, probabilmente per il sottile piacere di surclassare sua madre. Figlio indegno!!!
Appena ha fatto il test è risultato avere 22 anni.
Per non parlare degli esiti degli addestramenti, lui ha risposto esattamente a 20 operazioni in 24 secondi. Io mi impappino sempre, che ve lo dico a fare, e il mio miglior tempo è stato di 45 secondi. Che sembrano pochi ma v’assicuro che in questo gioco sono tantissimi.

Però ho rifatto il test d’ingresso. Ora, dopo l’allenamento, risulto avere 48 anni. Volete mettere la soddisfazione di essere più giovane che mio marito. Se non mi vedrete spesso in questi lidi sappiate che mi sto allenando per l’ambizioso traguardo dei 18 anni.

 
 
 

La morte senza clamore

Post n°246 pubblicato il 07 Gennaio 2009 da bimbadepoca
 

Mi sono sempre chiesta come sia stato possibile che gli italiani, negli anni trenta, abbiano accettato le leggi razziali di buon grado.
Come fu possibile che, persone perfettamente integrate nella società, vennero considerate pericolose; dall'oggi al domani nemiche.
Finora non ero in grado di darmi una risposta plausibile, oggi purtroppo lo so perché lo vivo, lo stiamo vivendo tutti, quasi senza accorgercene subiamo un progressivo lavaggio del cervello.

Oggi i mezzi d'informazione fanno quello che negli anni trenta fece la propaganda fascista, manipolano la realtà a uso e consumo di chi ha la pretesa di governarci. La stampa e la televisione diffondono notizie atte a produrre nella popolazione una sensazione tangibile di paura, che porta a un crescente clima d'ostilità verso gli stranieri.

Fateci caso, quando viene commesso un crimine di qualsiasi tipo, se a commetterlo è stato uno straniero viene sempre specificata la sua nazionalità, come se fosse il motivo determinante per cui il crimine viene compiuto.
Paradossalmente possiamo affermare che gli extracomunitari sono diventati gli ebrei del duemila, il capro espiatorio su cui addossare la colpa dei malesseri della nostra società civile. I giornalisti hanno semplicemente sostituito la brutta parola "razza", tanto in voga negli anni trenta, con il termine più chic "cultura". Non è più questione di razze ma di culture differenti.

Ma se cambiano le parole il risultato non cambia, e alla resa dei conti vengono utilizzate misure diverse nel trattare notizie della stessa gravità.

Vi riporto integralmente l'articolo che Carlo Moccaldi ha scritto sul portale PiazzaVittorio.

Non amo fare fotografie ai funerali, ma oggi devo. È importante che le immagini dei bangladesi sotto la pioggia facciano riflettere, in questa Italia la vita di un immigrato vale poco, meno dell’arrivo dei saldi.
Lucky è morto ma non fa notizia. Ha ricevuto un colpo in testa una sera di dicembre mentre andava al lavoro, non si sa da chi e non si sa perché. Ai medici del Sandro Pertini ha detto: “sono stati italiani”.
Poi è morto.
In ospedale è entrato con il codice verde. Dopo nove ore è morto.
Sul volantino i suoi connazionali denunciano: “Lucky è morto due volte”. Hanno ragione, qualcuno lo ha ferito a morte e chi lo doveva curare non l’ha fatto.
Non so se si tratta di un episodio di razzismo e uno di malasanità, spero soltanto che sarà fatta chiarezza su questa vicenda.

A Santa Maria Maggiore piove e quando arriva la bara tutti si stringono per l’ultimo saluto. Scatto un’immagine dietro l’altra, la mia nikon si bagna ma non importa. Nessuno sa della morte di questo ragazzo, i giornali hanno ignorato la vicenda. Mi vergogno di questo giornalismo ma sono contento di essere qui, accanto all’imam di Tor Pignattara, insieme a qualche collega, qualche passante.
È importante esserci ed è importante che la foto di quella bara sia pubblicata e che faccia notizia. Non chiedo tanto, bastano venti righe. Un anno fa dopo l’omicidio della povera signora Reggiani i giornali dedicarono alla vicenda pagine e pagine, per intere settimane. Ci furono anche degli inviati in Romania per scoprire chi fosse Mailat, l’assassino di Tor di Quinto.

Per Lucky nemmeno una riga. Questa è manipolazione o razzismo. Fate voi.

 
 
 

Il primo post dell'anno

Post n°245 pubblicato il 04 Gennaio 2009 da bimbadepoca
 

Ci siamo quasi, all'appello manca soltanto il sei gennaio, per mettere la parola fine a questi lunghi giorni di festa.
Per me sono stati giorni sereni, conditi di abbuffate tradizionali e regali inaspettati; giornate piene d'incontri, di cioccolate calde, sorrisi e risate. Giorni di festa uguali a quelli di tanti altri, niente di più e niente di meno.

Ho rivisto un'amica dopo 25 anni, un'emozione fortissima. Eravamo poco più che bambine, ogni mattina facevamo la stessa strada per andare a scuola in un altro quartiere, io in prima superiore, lei in terza media. Eravamo goffe in quei corpi che cambiavano, forme appena abbozzate, come farfalle ancora racchiuse in una crisalide.
Ci siamo ritrovate donne, sposate e con figli, eppure eravamo noi ed eravamo uguali al nostro ricordo.

Per Capodanno, nonostante il freddo polare, ho girovagato tra deliziosi borghi toscani. Serate di lunghe tavolate con gli amici, di vin santo e tozzetti, di sfide all'ultimo sangue al lancio del panforte.

Sì, sono stata molto bene in questi giorni di festa, tremo giusto un pochino al pensiero degli sms scemi che riceverò domani sera, già sapendo che non sarò in grado di rispondere. Non ci riesco a ricambiare banalità con parole confezionate ad arte dai gestori telefonici.
Forse sarò una befana ma la scopa, purtroppo, non l'ho mai usata per volare. 

Nel primo post dell'anno dovrei stillare la lista dei miei buoni propositi, ho così tante cose da fare:

1) Portare a riparare il computer... ormai è posseduto da virus talmente potenti che vive di vita propria, indipendente dalla mia volontà.
2) Fare le analisi... che la mia magrezza comincia a preoccuparmi. 
3) Andare dal dentista... uno struffolo mi ha spezzato un dente. Maledetto!!!
4) Sistemare le foto in un album... che tenerle sparse sul ripiano della cucina non è arredamento d'avanguardia.
5) Imparare a usare la nuova digitale... mi servirebbe un Bignami del libretto d'istruzioni. Help!!!
6) Trovare più tempo per il blog...
7) Trovare il coraggio di rispondere alle circa 200 mail non ancora lette... qualcuno sa come fare per avere un giorno di 48 ore???

E poi sarebbe bello riuscire a realizzare quello che ho in mente, quello che già sapete. L'oroscopo è propizio, pare che l'acquario sia il segno favorito dell'anno, scaramanticamente incrocio le dita mentre ricomincio a scrivere e a crederci.

Vorrei un anno d'amore, riprovare emozioni che trasformerei in scrittura. Anche se m'accontenterei di un anno di pace per tutti.

Buon 2009

 
 
 

LA TRAMA DI QUESTO BLOG:

" E quello che lei mi disse
fu in idioma del mondo,
con grammatica e storia.

 

Così vero
che sembrava menzogna."
(Pedro Salinas)

 

Sa sedurre la carne la parola,
prepara il gesto,
produce destini.

(Patrizia Valduga)

 

 "Altri menino vanto delle parole che hanno scritto: il mio orgoglio sta in quelle che ho letto"
(J.L. Borges)

 

"Quello che ora diamo per scontato, un tempo fu solo immaginato"

(William Blake)

 
 
 

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