Tribù Napoli
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Post n°1898 pubblicato il 18 Aprile 2014 da romidgl
ROMA - Macondo era un villaggio di venti case “di argilla e di canna selvatica”, costruito sulla riva di un fiume. Un luogo dell’anima, un luogo immaginario, il luogo di Gabriel Garcia Marquez. Il grande scrittore colombiano in quel villaggio ha ambientato quello che resterà uno dei romanzi più belli di sempre. Per molti, “il” romanzo. Perché “Cent’anni di solitudine” non è solo l’epopea della famiglia Buendia, ma quella di un popolo, di un continente intero che Gabo avrebbe voluto convertito al socialismo. Marquez non è morto nella sua terra. Una settimana fa il ricovero nella clinica “Salvador Zubiran” di Città del Messico. Le sue condizioni erano apparse subito gravi, nonostante il silenzio chiesto dalla famiglia. I medici avevano diagnosticato una polmonite che, complice l’età, 87 anni, si è aggravata e non ha lasciato scampo al premio Nobel per la Letteratura 1982. Nato ad Aracataca nel 1928, Marquez ha mescolato nella sua opera la dimensione reale e quella fantastica, dando impulso allo stile della narrativa latino-americana definito «realismo magico», di cui “Cien años de soledad” (1967) rappresenta il manifesto. Il romanzo, tradotto in venticinque lingue, ha venduto cinquanta milioni di copie ed è stato votato come seconda opera più importante mai scritta in lingua spagnola. Prima di diventare l’autore simbolo di una generazione, Gabo è stato un giornalista attento e duro, capace di raccontare le rivoluzioni di Cuba e Portogallo, come di tratteggiare figure chiave come quelle del Che e di Fidel di cui è stato amico sino all’ultimo. Come accade spesso all’autore di un capolavoro, il resto della produzione di Marquez viene ingiustamente sottovalutato. Eppure opere come “Nessuno scrive al colonnello”, la “Mala Ora”, lo struggente “Amore ai tempi del colera”, varrebbero da sole un posto nella storia. Sarà che Macondo ha travolto tutto e tutti con la sua forza, così come il colonnello Aureliano Buendia che nel suo laboratorio fonde e rifonde i suoi pesciolini d’oro, una volta sfumati i sogni di rivoluzione. È in quel villaggio di venti case che nasce la più grande favola moderna. |
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