Tribù Napoli
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Post n°2416 pubblicato il 31 Gennaio 2015 da stanzaNapolieNapoli
Queste sono le notizie che vorrei fossero pubblicate più spesso e che danno il giusto valore alle eccellenze della mia città. La sartoria napoletana conquista il Financial Times. Il principale giornale economico-finanziario del Regno Unito, uno dei più antichi e autorevoli a livello internazionale, dedica un articolo ai sarti partenopei che dettano i canoni dell'eleganza maschile nel mondo. L'autrice, Rachel Sanderson, parte dalla sartoria Kiton. "In un laboratorio vicino al golfo - racconta - l'amministratore delegato della sartoria, Antonio De Matteis, spiega in abito scuro che un vestito cucito a mano è come stampato sul corpo. Dura più a lungo e migliora con il tempo". I dettagli rivelano la precisione della fattura: De Matteis illustra il mestiere "rivoltando tra le mani una giacca grigia di cashemere imbastita e mostrando una doppia linea di punti".
Kiton, Attolini e Rubinacci oggi hanno clienti a New York, Londra, Mosca e Hong Kong. Sono aziende in espansione all'estero. I ricavi del gruppo Kiton, ad esempio, "l'anno scorso sono aumentati del 6 per cento a 110 milioni, grazie a 43 negozi sparsi in Europa, Stati Uniti, Medio Oriente e in Asia". Il quartier generale di Kiton si trova ad Arzano "dove 350 sarti lavorano in un vasto laboratorio con alle pareti bandiere del Napoli e immagini sacre". Tra il vapore dei ferri da stiro "si confezionano 85 giacche al giorno, 20mila all'anno" racconta la Sanderson. Maria Giovanna Paone, vice-presidente e figlia del fondatore, dice che "i capricci della vita quotidiana e la difficoltà di fare affari a Napoli offrono un vantaggio: insegnano ad affrontare qualunque problema, qualità che sta diventando parte del carattere dei partenopei". Nel laboratorio, "130 sarti, per lo più uomini, in camice bianco tagliano e cuciono stoffa". Massimiliano Attolini spiega che "cinquant'anni fa c'erano un migliaio di sarti a Napoli. Ora vanno in giro per il mondo". Perché "essere un imprenditore a Napoli - aggiunge la giornalista - significa mantenere un basso profilo". Servono circa 30 ore per confezionare un abito di Attolini, che costa intorno ai 4mila euro ma può arrivare a 50 mila euro se di vigogna. "Il più costoso non è necessariamente il più elegante" precisa però il sarto. La Sanderson sbircia i nomi dei clienti lasciati sugli abiti confezionati: tra i bigliettini, il politico russo Dmitry Medvedev e l'imprenditore milionario Frank Fertitta. "Durante l'estate - spiega la giornalista - Massimiliano Attolini e suo fratello incontrano i dirigenti statunitensi sul proprio yacht al largo di Capri o in Sardegna. L'azienda confeziona undicimila abiti all'anno. Le vendite sono aumentate del 12 per cento nel 2013, anche se c'è stato un calo della spesa in Russia". "Il mondo sta riscoprendo i capi fatti a mano - spiega Maurizio Marinella, nipote di Eugenio - La globalizzazione non ha mai raggiunto Napoli, dove artigianato e confezione su misura sono ancora vivi". Dietro l'angolo, "oltre 20 lavoratori confezionano cravatte Marinella in due edifici - racconta la giornalista - Un tempo i clienti erano cineasti e politici italiani. Ora sono americani, russi e inglesi. Ci sono negozi di Marinella a Londra, Lugano, Milano, Tokyo e Hong Kong. I ricavi dell'anno scorso ammontano a 17 milioni".
Proprio al re delle cravatte la Sanderson chiede se Napoli si salverà con la bellezza. "Napoli è una città distrutta - risponde l'imprenditore - Lo sono anche la mia forza, la mia emozione". Marinella "apre il negozio alle 6.30 - dice la giornalista - offre sfogliatelle e caffe ai clienti per coccolarli, per mostrare la Napoli che funziona, che si alza presto per andare al lavoro, che si concentra sul bene" |
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