Il Pasquino

Vendredi


Un venerdì, di quei tanti venerdì di questo mondo in guerra, che segna, in maniera drammatica, la fine di quell’illusione, del mondo occidentale, di non pagare, con vite umane innocenti, il prezzo di quei crimini contro l’umanità di cui, in questi anni di aggressioni a popoli inermi, si è macchiato. Ora è guerra, quella guerra che i “signori della finanza”, di quell’economia assassina e ladra, volevano ed auspicavano. Ma non certo quella “convenzionale”, che conosciamo grazie ai nostri mezzi di disinformazione di massa che ci mostrano le immagini, senz’anima, di edifici rasi al suolo, dall’alto dei nostri potenti mezzi di morte, che, con precisione chirurgica, uccidono senza pietà donne e bambini, cattivi e buoni, accomunati solo dal fatto di vivere assieme dove si muore di fame e di mancanza di speranze e di sogni. Sono come noi, e sono tra di noi, e soffrono come noi, e piangono come noi…e come noi non ne possono più di vedere i loro fratelli, che non si chiamano Assunta o Esposito, che non vivono nella terra dei fuochi o nelle zone avvelenate del nostro pianeta dai ricchi produttori di veleni, ma che muoiono come noi per mano di chi parla di democrazia e di libertà…e fa piovere il fuoco del suo disprezzo per la vita sui villaggi, sulle case, sulle teste di quegli innocenti che del cielo e della terra ormai hanno paura. La fame, le lacrime, quei corpi straziati non hanno gli occhi ed il viso del nostro nemico, di chi ci ruba terra e futuro, di chi ci avvelena ed uccide i nostri figli,  chiedono quello che chiediamo noi, un futuro, una vita, un sorriso, una speranza. Terrorismo è la morte di un bambino, come quella di un giornalista, che sia a Gaza o che sia a Parigi, che abbia una matita od un semplice pallone fatto di stracci, che sia “colto ed erudito” o povero ed analfabeta. Da quel terrore, da quelle lacrime nascono i mostri di una guerra che ora si presenta nelle case riscaldate ed accoglienti di quella parte del mondo che pensa di poter continuare a vivere nonostante la morte regni, indisturbata, dove crescere è un’utopia anche per le piante. Dovremmo fare i conti con noi stessi, con quell’anima uccisa da fame e lacrime, da bombe e kalashnikov,  con quell’ipocrisia, tutta occidentale, di una libertà dispensatrice di morte, di una democrazia capace di torturare, di affamare, di ghettizzare. Je suis Charlie, je suis Gaza, je suis Baghdad, je suis Africa…io sono quel mondo che voglio…e se non faccio nulla per cambiarlo, per impedire che le lacrime affoghino il nostro libero pensare, odiare non servirà a renderlo migliore.