Il Pasquino

Morire al bar


Il giorno dopo, ed il giorno dopo ancora, il terrore non ha abbandonato le strade di Parigi. Ora tutto fa paura, un pacco abbandonato, un petardo, un viso sconosciuto, la metro, l’autobus, il cinema, il teatro, il bar. Dicono i “grandi soloni” delle varie intelligenze nostrane che i terroristi non hanno colpito luoghi simbolo, quelli ben controllati, almeno così si dice, dalle forze dell’ordine, ma la nostra quotidianità, quei posti dove andiamo a divertirci, a passare quelle poche ore di svago che ci permettono il lavoro, gli impegni, le difficoltà economiche. Al bar per fare due chiacchiere, bere una birra, passare qualche ora di svago…ora anche questo ci fa paura. Quel normale che si trasforma in atto di resistenza al terrore, che cambia il rapporto con il quotidiano e con l’altro, che strappa le corde del nostro vivere, che rende lo svago uno sforzo dovuto, voluto, quasi costretto…non più libero. E’ di questa libertà che vogliono privarci, di quella stessa libertà che i caccia e le bombe hanno tolto alle popolazioni palestinesi, siriane, irachene, afghane, a quei popoli che vivono con terrore anche il sedersi insieme a tavola, anche fare una passeggiata in strada, anche affacciarsi ad un balcone…quei popoli che nella loro normalità ormai annoverano anche la morte dei propri figli, dei propri genitori, dei propri cari. Si inneggia alla morte per sconfiggere la morte, si uccide per far terminare il massacro, si spara e si bombarda per far tacere le armi, come se la pace possa essere figlia di altri delitti e di altro orrore. La morte, o il “sacrificio”, come alcuni chiamano l’omicidio, necessari al trionfo della vita, un mondo migliore che dovrebbe affondare le sue radici nel sangue e nelle lacrime, in quella violenza sempre più spietata ed incontrollata, che non risparmia più nessuno, né bambini né vecchi, né ospedali né chiese, né teatri né bar. La guerra giornaliera e la normalità di ogni morte per il trionfo dell’ umanità, come se guerra e morte avessero un qualcosa di “umano”.