Posiblemente ahora

Il mito del viaggio


Li vedi smontare i macchinari pezzo per pezzo con una velocità indice delle migliaia di volte che l’hanno fatto, di nuovo in viaggio. Le altissime ruote luminose, si riducono in poche ore in degli scheletri che il giorno dopo vengono portati via e lasciano il posto alla polvere della terra. I trenini scompaiono nel nulla, come se non ci fossero mai stati, e sembra che nascano dal nulla. All’improvviso appaiono ai margini delle città e ci si accorge che si è cresciuti e i trenini e le ruote non sono più gli stessi; i bruchi dallo sguardo beffardo ridono di noi, che ancora sentiamo nello stomaco il pugno della loro corsa veloce e spericolata. Domani se ne andranno, i camper si porteranno in un altro posto ma sempre in quei margini che alla fine sembrano tutti uguali. Il popolo delle giostre si ferma per poco tempo, il tempo necessario per sentire il desiderio di partire di nuovo e ripetere il rito del divertimento in un altro luogo, ancora una volta. I maglioni a collo alto sotto le giacche a vento fuori moda, mi ricordano le domeniche dell’infanzia passate tra quei giochi e quella gente misteriosa, che immaginavo dormisse nei bruchi giganti di metallo o nei più alti seggiolini delle ruote. Il freddo sulle mani e sulle guance sembravano non sentirlo, la loro giacca a vento sembrava coprirli a sufficienza. Il sapore della malinconia si impasta nella bocca, sa di zucchero filato e croccante di nocciole. Le giostre si mettono in viaggio, sulle strade non si vedono mai ma all’improvviso appaiono in una città e illuminano di lampadine colorate i posti più tristi e abbandonati dove l’erba si è scordata di crescere. Il loro viaggio continua e non si ferma, da un campo sterrato all’altro. Ti restituiscono il tempo che avevano imprigionato tra gli ingranaggi, il tempo dell’infanzia di cui erano protagoniste e dominatrici, il tempo in cui si passava l’inverno sui loro seggiolini sfidando il freddo mescolato alla paura di cadere da quelle protezioni. Ancora una volta è inverno, le mie giostre sono legate a questa stagione e al gelo che entra nelle ossa. Mi ricordo il fumo del vapore uscire dagli angoli delle giostre e mio padre che mi teneva per mano cercando di convincermi ad avventurarmi su quelle macchine magiche, era l’unico che riusciva a farmi vincere quel senso di timore che alloggiava dentro di me. Mia sorella era più intrepida e non aspettava nessuno, prendeva i primi posti ed io la seguivo guardando da lontano mio padre che mi incoraggiava con il suo sorriso. E tutta quell’aria che si muoveva intorno tirandomi i capelli e spingendomi indietro, e il frastuono dei giochi che assordava, quasi volesse ipnotizzare i giocatori. Passavo per caso ma quella giacca a vento azzurra ha risvegliato in me qualcosa e mi sono fermata a guardare, i giostrai che si preparano per il viaggio. Il frastuono dei giochi in questo momento è sostituito dal silenzio del lavoro e mi chiedo se mai abbiano sentito il desiderio di fermarsi, prima o poi. I loro volti di nessun luogo dietro quegli occhi custodiscono lontani sguardi di altri, risate di gioia e urla di paura. Nomadi del divertimento continuano a viaggiare inosservati, viaggiano per strade sconosciute, seguono mappe e logiche quasi arcane. Per loro la vita è scandita dal cammino senza bisogno di una casa, sempre quella. Si metteranno in viaggio anche domani, ormai i macchinari sono smontati e il sonno della ruota panoramica racchiude ricordi di lunghe strade, curve, ghiaccio sull’asfalto e nebbia che nasconde l’orizzonte e inganna. Alla fine si arriva sempre, ci si ritrova senza bisogno di aiuto. La polvere del viaggio si mescola alla polvere dei campi immobili ad attenderli, fermi lì per questo, per accogliere le giacche a vento scolorite dalle radici invisibili e dai volti che sembrano sempre da un’altra parte mentre vendono biglietti e gettoni validi per una sola corsa.