Neapolis

Post N° 55


Alina muove la testa di lato a guardare il cielo scuro dalla finestra, e mentre alza il capo, un vento che non c'è le scompiglia i capelli. I suoi sensi di bambina non hanno mai percepito un dolore così forte, e suo padre, con il viso stravolto, lo capisce e le stringe forte la mano. Continuano a guardarsi silenziosi ed increduli, mentre entrambi ripensano a poche ore fa, quando tutto era ancora normale. Solo ieri erano all'Ikea a cercare specchi colorati da appendere in camera. Solo oggi pomeriggio erano lì che discutevano sul film da guardare sabato al cinema. Poi una maledetta vena decide di scoppiare. "Ho male alla testa..aiutami..". Non c'è stato neppure il tempo di aiutarla a respirare, o scioglierle un antidolorifico nell'acqua. Il medico del 118, pietoso, mi hanno detto, le ha chiuso le palpebre con un gesto di rabbia. E la mamma non c'è più. Alina ha solo dodici anni, e a dodici anni non sai, non puoi sapere, non è nella tua mente il pensiero che alla mamma possa accadere qualcosa. O al papà. O a chiunque tu voglia bene. Le hanno messo una vestaglia bianca, composta sul letto dove poche ore prima dormivano sereni, ed ora è lì. Immobile e con il volto ancora roseo. Innaturale non sentirla respirare. Alina ha solo dodici anni, e a dodici anni non puoi accarezzare i capelli alla tua mamma che non ti sorride mentre lo fai, e le tue lacrime trasparenti cadono sulle sue mani giunte che stringono un rosario messole lì da qualcuno. E' una cosa contro natura. La nonna paterna, stravolta, le porta una camomilla bionda bionda, lei si accuccia con le gambe al petto e con le spalle al muro, seduta in terra, ed i suoi piedi sfiorano la struttura del letto, come a non voler perdere il contatto con il corpo della madre. Gli occhi di Alina si muovono lenti, e fissano gli occhi di noi pochi presenti. Non riesco a tenere il suo sguardo, il mio lo abbasso e sposto sul bicchiere tra le sue mani. Non riesco ad immaginare a cosa stia pensando, e non voglio saperlo per nulla al mondo. E invece lo so. Sta pensando che non è giusto quello che è accaduto. Non è "giusto" il dolore che le lacera l'anima. Guardo la camomilla allora. Non saprei spiegarle perchè è successo proprio a lei, non riuscirei a trovare parole per confortarla, e di sicuro non mentre mi guarda con quegli occhi senza luce. Farle una carezza lieve è quello che sentirei di fare, ma non abbiamo una confidenza tale da permettermi di attraversare la stanza, fendere in due il dolore di cui è satura, ed abbassarmi verso di lei. Io da loro ci vado solo a comprare risme di fogli per la stampante. Inizia ora a venire gente, la voce della tragedia ha fatto il giro del quartiere. Mi stringo il bavero del cappotto ed esco in silenzio, mi fa molto male il cuore stasera. Ultimamente lo sto sottoponendo a sforzi emozionali notevoli. Ieri sera, a quest'ora, mi batteva esageratamente forte per una donna alla quale sfioravo i capelli con le labbra, e di cui non ho certezze sui suoi sentimenti. Stasera, mi batte troppo forte per un dolore che non dovrebbe appartenermi, e che invece, maledizione, sento come fosse mio.