Nebbie e dintorni

Giornalismo e molestie.


Quando il giornalismo si fa molestia. 22 novembre 2021Ho guardato fino in fondo il video di Selvaggia Lucarelli pubblicato integralmente su 'Domani', neonato foglio di punta e di forte battaglia politica della scuderia De Benedetti.La giornalista, munita di cellulare, si aggira ai bordi della piazza dei no vax romani insistendo con i suoi molti 'perché' – che neanche i bimbi giunti alla fatale età dei ripetuti 'perché' che stizziscono i genitori, alla fine - e riceve robusti e rabbiosi inviti ad andarsene e a non molestare i presenti che si negano alle sue domande.Perché 'molestare' direte voi. Bella domanda. Il discrimine è arduo da dimostrare, ma ci proviamo.La giornalista è ben nota per le sue tesi politiche e vaccinali avverse, è una 'pro vax' ben conosciuta e i suoi scritti sono ficcanti e puntuti e sul suo profilo social e nelle pagine di stampa non lesina invettive e giudizi duri che 'levano la pelle'.Si aggira guardinga sui bordi dell'arena a lei avversa, sa che la sua presenza è provocazione per gente incacchiata e allo stremo della loro battaglia 'di libertà' (qualsiasi sia il senso che vogliamo attribuire a questa parola) e affronta il rischio e la tenzone con i suoi interlocutori.Non tutti sono 'interlocutori', badate bene, molti le rispondono a muso duro e la invitano ripetutamente ad allontanarsi.Ecco è qui che scatta il 'fermo immagine' di un 'fare giornalismo' che rasenta la molestia.La giornalista rintuzza i suoi avversari e afferma il suo buon diritto a fare il suo mestiere di giornalista, ma il dubbio che abbiamo è che il giornalismo non sia provocazione, non sia il pungolare la bestia in cattività (i no vax lo sono, privati di cinema e teatri e bar al chiuso e costretti a quotidiani tamponi per lavorare e vivere: da qui la rabbia).La Lucarelli sa di essere di fronte a gente che non ha i suoi strumenti di indagine critica e la capacità di esporre con eleganza ed esaustivamente le sue ragioni e tuttavia cerca lo scontro, sempre più prossimo quanto più insiste a pungolare con i 'perché' retorici e pretestuosi, e si fa forte e leva alto lo scudo del suo dirsi 'giornalista che fa il suo lavoro'. Uno spettacolo para giornalistico che provoca un forte disagio.Dubito/iamo che il lavoro del giornalista sia questo suo pungolare la bestia per averne patente di martire e vittima sui telegiornali il giorno dopo e abbiamo forti riserve su quei 'giornalisti di guerra' che vanno 'sul campo' e perdono la vita sotto il fuoco amico o nemico.Ci sono modi, certo meno gloriosi, di fare i reporters di guerra che, tuttavia, riescono nell'intento di informare e dare conto dei fatti e degli eventi. E non credo/iamo che valga il prezzo della vita la foto da Pulitzer dell'ultimo partigiano morto o ferito in prima linea – come quella famosissima di Capa che lo coglie nel suo ultimo volo fatale prima dello schianto.E le piazze dei no vax in guerra, si parva licet, sono state raccontate cento e cento volte, da quando si è voluto imporre l'odioso 'greenpass', e ce li hanno dipinti come suonati, poveri cristi decerebrati, e le loro ragioni dileggiate ad abundantiam con supponenza ed arroganza degne di miglior causa – e trascuriamo le vagonate di insulti e la creazione ad arte di fazioni guelfe e ghibelline pro e contro i vaccini sui socials e in tivù.Giornalisti 'vil razza dannata'? Forse è eccessivo, ma una meditazione si impone. Ad maiora.Giornalisti vil razza dannata?https://www.youtube.com/watch?v=JULs5RoCEgM
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