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Il troppo che stroppia (3)

Post n°940 pubblicato il 29 Luglio 2019 da fedechiara
 

Prendiamola alla lontana, come fanno quei genitori che devono spiegare al pargolo/a come nascono i bambini e partono dai fiori e dagli uccelli e dai pesci. Io partirò dagli uccelli. C'è un troppo di uccelli nella città in cui vivo - un troppo di tutto, in verità: turisti, studenti, cani; e Venezia è la capitale mondiale della 'sostenibilità' di un massimo di persone per metro quadrato. 
Fino a scoppiarne, prima o poi, - e già i segni di quell'esplosione e 'insostenibilità' prossima ventura si vedono, si sentono, si toccano. Nei vaporetti, poi, ci si tocca integralmente, come le sardine nelle scatole ma senza l'olio, ahinoi e le risse e gli scoppi di voce sono all'ordine del giorno.

Ma dicevamo degli uccelli. I gabbiani sono diventati aggressivi, narrano le cronache del Gazzettino, - ed ho visto con questi occhi lo scippo alato di un gallinaccio in volo che ha strappato di mano mezzo sandwich ad una allibita indonesiana con velo. Il remake de 'Uccelli' di Hitchcoch si farà a Venezia, credo. 
Il fatto è che sono troppi – e neanche la loro trasformazione in uccelli-spazzini, avvoltoi indigeni, né la laguna disinquinata e che ospita aironi e garzette e fenicotteri (dicono), basta a saziare la loro immensa fame. E anche i famigerati colombi degli stucchi sulle piane e le cacate in testa ai distrattoni sono troppi - e la campagna per sterilizzare le femmine è andata fallita perché nessuno, indigeni e turisti e pensionati sulle panchine, ha mai rispettato i divieti di dar loro le briciole e il riso. Il troppo stroppia e mai adagio popolare è stato più cogente e capace di descrivere il disagio e l'allarme sociale.

E il troppo stroppia anche nella Palestina delle guerre ricorrenti ed annunciate, - una via l'altra, perché non c'è soluzione al troppo dei palestinesi che figliano peggio dei conigli e ambiscono a uno Stato e a un territorio sufficiente ai loro bisogni. Ma gli israeliani della conquista e dell'immigrazione continua di ebrei che tornano alla 'terra promessa' neanche si sognano di riconsegnare i territori colonizzati e messi a coltura. Chi avesse suggerimenti 'realistici' da offrire per una pacificazione è il benvenuto, altrimenti taccia e si metta in saccoccia la questione 'guerra' con annessi bombardamenti e morti e feriti e profughi perché 'è nelle cose' ed è una forma della 'politica': quella che interviene quando mancano gli argomenti e gli spazi di manovra alla diplomazia.

E troppi sono i profughi che andiamo a pescare in mare con generosità finanziaria e sociale pari alla cieca follia delle cose che ne scaturiscono poi da noi: gli scontri in piazza e le pistolettate a Castelvolturno e gli episodi di piccola criminalità e spaccio e degrado urbano che conseguono al lavoro che non possiamo offrire loro - e la gente che non li vuole quali vicini di casa e nascono così i ghetti dei futuri 'bronx'. 
Però il verbo buonista trionfa sulla stampa e nei media televisivi e nei convegni e continuano gli sbarchi e la distribuzione regione per regione e paese per paese delle migliaia e migliaia di affluenti indesiderati.

E l'Europa, come le stelle lontane, resta a guardare il nostro dramma di paese costiero e di prima linea e fa come quei colleghi medici di una bella canzone di De André che lodavano il collega che si prendeva cura dei poveri e dei diseredati e finì in miseria personale e commiserazione perché anche troppa bontà 'stroppia' se mancano le risorse e un progetto condiviso.

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