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Messaggi del 11/09/2022

Sogni e risvegli.

Post n°2223 pubblicato il 11 Settembre 2022 da fedechiara
 

I sogni non sono desideri.

Faccio sogni in technicolor. E perfino in tecnologia digitale – cosa che i sogni hanno inventato molto prima dei tecnici che ce l'hanno rifilata. E sono spesso sogni realistici, minimalisti, ma le realtà che descrivono sono altro da me e temo che uno psicanalista faticherebbe a trovare il bandolo che lo condurrebbe nel mio 'profondo' - e dovrebbe inventarsi qualcosa per giustificare la salatissima parcella.
Che se è vero che la vita è sogno, per certi suoi aspetti, io sono l'uomo che visse due volte, praticamente un (adorabile) Matusalemme del ventunesimo secolo.
E stanotte i sogni erano due – o forse uno era filiazione dell'altro e mi sono perso il passaggio fatale a causa di una giravolta di troppo tra le lenzuola (mi ci avvoltolo come una mummia).
Il primo narrava di uno scultore/pittore, che abbandonava lo stile figurativo (l'han fatto in molti nell'ultimo secolo) e si dedicava alla costruzione di mastodontici cieli nuvolosi di cartapesta (un materiale giusto per intenderci, in realtà erano molto somiglianti al cielo originale e luminosi del pari). Cieli che collocava sul soffitto di luoghi chiusi per offrire l'illusione di una 'via di fuga' dall'angusto e dall'avvilente delle nostre cose di quaggiù.
Lo so che la cosa vi piace e la trovate poetica, ma vi assicuro che il personaggio – del quale io ero una sorta di alter ego – non era affatto cordiale e bendisposto nei miei confronti (l'alter ego), forse per via del fatto che costruire cieli per degli umanoidi che non li meritano è come 'offrire perle ai porci', come recita il noto adagio.
E il secondo sogno mi vedeva solo in una onirica città di N.Y.
Pochi i mitici grattacieli, nel sogno, bensì una metropolitana piuttosto male in arnese che mi portava dal luogo di lavoro (uffici la cui funzione non era precisata) ad una cameretta angusta dove scioglievo sogni e lacrime lungo le tristi notti della mia transumanza colà. E, nel corso delle giornate di lavoro, chiedevo i permessi per rivolgere suppliche inascoltate ai severissimi funzionari della sanità pubblica: che mi concedessero gli esami medici necessari per appurare le cause della scarsa ossigenazione del mio sangue.
Altro dirvì non vo', in proposito. Perché e come fosse che il mio sangue riceveva poco ossigeno non era spiegato nel sogno. I sogni non sono sempre desideri, a volte sono incubi ingiuntivi e condanne immeritate, sappiatelo.
Di bello c'era che il mio principale, una sorta di Tom Selleck molto disponibile al dialogo, mi confortava dicendo di non badarci e fare come se fossi sano, funziona meglio di cento esami, diceva.
E l'unica cosa poetica era la mia discesa nel piazzale, la sera, alla fermata della metropolitana.
E. prima di chiudermi nell'angusta cameretta, sguazzavo, incurante delle scarpe e dell'orlo dei pantaloni che si bagnavano tra le basse onde di una risacca che lavava le pietre del selciato e davanti a me era una porta, una sorta di arco in pietra monumentale, ma privo di fregi e figure.
Lo chiamavo 'la porta sull'oceano' e talvolta mi avvicinavo, ma arretravo quando l'acqua mi arrivava alle ginocchia.
Poi, com'è, come non è, l'improvviso risveglio e di corsa nel bagno...
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