~ Figlia del mare ~~

Salve, o neuroni!


Stamattina, appena sveglia, mentre mi aggiravo per casa come un'anima in pena all'idea di dover riprendere il lavoro
, mi risuonavano nella testa alcuni versi della prima, e più lunga in assoluto poesia che mia mamma, con infinita pazienza e rigore, mi fece imparare a memoria (tutta!!!) quando andavo alle elementari..Di quella poesia ricordo solo le prime tre quattro strofe più qualche verso sparso qui e là, e solo adesso mi rendo conto di come l'avessi memorizzata senza capirci assolutamente niente del significato: erano solo parole con un certo ritmo e metrica infuse nei miei giovani e capienti neuroni.E mi meraviglio, innanzitutto della pazienza di mia madre, poi della crudeltà della mia maestra ed infine della capacità del mio cervello di allora. Adesso non riesco nemmeno a mandare a mente la lista della spesa...
.Ecco il capolavoro brucianeuroni... PIEMONTE   Su le dentate scintillanti vette  salta il camoscio, tuona la valanga  da' ghiacci immani rotolando per le  selve croscianti:  ma da i silenzi de l'effuso azzurro  esce nel sole l'aquila, e distende  in tarde ruote digradanti il nero  volo solenne.  Salve, Piemonte! A te con melodia  mesta da lungi risonante, come  gli epici canti del tuo popol bravo,  scendono i fiumi.  Scendono pieni, rapidi, gagliardi,  come i tuoi cento battaglioni, e a valle  cercan le deste a ragionar di gloria  ville e cittadi:  la vecchia Aosta di cesaree mura  ammantellata, che nel varco alpino  èleva sopra i barbari manieri  l'arco d'Augusto:  Ivrea la bella che le rosse torri  specchia sognando a la cerulea Dora  nel largo seno, fosca intorno è l'ombra  di re Arduino:  Biella tra 'l monte e il verdeggiar de' piani  lieta guardante l'ubere convalle,  ch'armi ed aratri e a l'opera fumanti  camini ostenta:  Cuneo possente e paziente, e al vago  declivio il dolce Mondovì ridente,  e l'esultante di castella e vigne  suol d'Aleramo;  e da Superga nel festante coro  de le grandi Alpi la regal Torino  incoronata di vittoria, ed Asti  repubblicana.  Fiera di strage gotica e de l'ira  di Federico, dal sonante fiume  ella o Piemonte, ti donava il carme  novo d'Alfieri.  Venne quel grande, come il grande augello  ond'ebbe nome; e a l'umile paese  sopra volando, fulvo, irrequieto,  – Italia, Italia –  egli gridava a' dissueti orecchi,  a i pigri cuori, a gli animi giacenti.  – Italia, Italia – rispondeano l'urne  d'Arquà e Ravenna:  e sotto il volo scricchiolaron l'ossa  sé ricercanti lungo il cimitero  de la fatal penisola a vestirsi  d'ira e di ferro.  – Italia, Italia! – E il popolo de' morti  surse cantando a chiedere la guerra;  e un re a la morte nel pallor del viso  sacro e nel cuore  trasse la spada. Oh anno de' portenti,  oh primavera de la patria, oh giorni,  ultimi giorni del fiorente maggio,  oh trionfante  suon de la prima italica vittoria  che mi percosse il cuor fanciullo! Ond'io  vate d'Italia a la stagion più bella,  in grige chiome  oggi ti canto, o re de' miei verd'anni,  re per tant'anni bestemmiato e pianto,  che via passasti con la spada in pugno  ed il cilicio  al cristian petto, italo Amleto. Sotto  il ferro e il fuoco del Piemonte, sotto  di Cuneo 'l nerbo e l'impeto d'Aosta  sparve il nemico.  Languido il tuon de l'ultimo cannone  dietro la fuga austriaca morìa:  il re a cavallo discendeva contra  il sol cadente:  a gli accorrenti cavalieri in mezzo,  di fumo e polve e di vittoria allegri,  trasse, ed, un foglio dispiegato, disse  resa Peschiera.  Oh qual da i petti, memori de gli avi,  alte ondeggiando le sabaude insegne,  surse fremente un solo grido: Viva  il re d'Italia!  Arse di gloria, rossa nel tramonto,.  l'ampia distesa del lombardo piano;  palpitò il lago di Virgilio, come  velo di sposa  che s'apre al bacio del promesso amore:  pallido, dritto su l'arcione, immoto,  gli occhi fissava il re: vedeva l'ombra  del Trocadero.  E lo aspettava la brumal Novara  e a' tristi errori mèta ultima Oporto.  Oh sola e cheta in mezzo de' castagni  villa del Douro,  che in faccia il grande Atlantico sonante  a i lati ha il fiume fresco di camelie,  e albergò ne la indifferente calma  tanto dolore!  Sfaceasi; e nel crepuscolo de i sensi  tra le due vite al re davanti corse  una miranda vision: di Nizza  il marinaro  biondo che dal Gianicolo spronava  contro l'oltraggio gallico: d'intorno  splendeagli, fiamma di piropo al sole,  l'italo sangue.  Su gli occhi spenti scese al re una stilla,  lenta errò l'ombra d'un sorriso. Allora  venne da l'alto un vol di spirti, e cinse  del re la morte.  Innanzi a tutti, o nobile Piemonte,  quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria  diè a l'aure primo il tricolor, Santorre  di Santarosa.  E tutti insieme a Dio scortaron l'alma  di Carl'Alberto. – Eccoti il re, Signore,  che ne disperse, il re che ne percosse.  Ora, o Signore,  anch'egli è morto, come noi morimmo,  Dio, per l'Italia. Rendine la patria.  A i morti, a i vivi, pe 'l fumante sangue  da tutt'i campi,  per il dolore che le regge agguaglia  a le capanne, per la gloria, Dio  che fu ne gli anni, pe 'l martirio, Dio,  che è ne l'ora,  a quella polve eroica fremente,  a questa luce angelica esultante,  rendi la patria, Dio; rendi l'Italia  a gl'italiani.G. Carducci - Rime e Ritmi.Sento ancora la voce di mia mamma che declamava ispirata, con un pizzico di ironia, questi versi altisonanti per renderli più appetibili e memorizzabili... addirittura mimava in certi punti il re pallido e immoto sull'arcione, con la lacrimuccia, e il marinaro biondo e il camoscio sulle dentate cime (io immaginavo monti con i denti..)...Un ricordo dolce, triste e pieno di nostalgia...