NeverInMyName

Cosa resterà di quegli anni ottanta...


Amato o odiato, ecco cosa rimane di un periodoche ha segnato l'adolescenza di molti di noiMente il mondo sembra rimpiombare nel terrore degli attentati e tutti i blog non parlano d'altro che dei terroristi arrestati questa notte a Londra - da cui intendevano partire, a bordo di aerei diretti negli Usa, imbottiti di esplosivo liquido - io ho voglia di fare un tuffo nel passato. Ho bisogno di staccare per un attimo da questa quotidianità piena di notizie terribili, di dolore e morte...E così mi sono ritrovata a fare un viaggio a ritroso nel tempo, fino agli anni della mia adolescenza, gli ottanta. Quegli anni tanto bistrattati e considerati vuoti, privi di ideali e ... maledetti, come cantava Raf. Ricordate? Beh, io ci sono cresciuta in quegli anni e anche se molte cose non mi piacevano oggi rivendico l'importanza di quel periodo... almeno per la sottoscritta. A stimolare il ricordo di quegli anni è stato il mio amico Pino, che mi scrive da Barcellona e mi racconta che si appresta ad andare a un concerto di George Micheal e che vederlo su un palco a distanza di vent'anni sarà 'come fare un tuffo nel passato'.  Capisco anche che quando intonerà  "Weak me up before you go-go" o " Last Christmas" (ricordate i Wham con Andrew Ridgeley) sarà difficile resistere alla nostalgia e trattenere le lacrime. Credo che sia una cosa bellissima, non ridicola come potrebbe pensare il solito qualunquista che leggendo per caso queste righe potrebbe storcere il naso. Certo non sto qui a dire che fossero anni formidabili. So bene che in quel periodo imperversava la stagione dell’edonismo reaganiano, che era finita la fase dell’ultimo sesso sicuro e l'Aids cominciava il suo percorso di morte, che si registrava il primo disimpegno politico post anni Settanta e imperversavano il Ballo del qua-qua, i fagioli della Carrà e i film di Rambo. Ma erano comunque anni belli e colorati, forse in certi momenti anche troppo. Eppure non erano 'soltanto apparenza' come qualcuno si ostina a sostenere e forse, in particolar modo per quanto riguarda la musica, non era tutto da buttare. In fin dei conti un periodo che si era aperto con "The river" di Bruce Springsteen, "Gaucho" degli Steely Dan e "Remain in light" dei Talking Heads non poteva essere destinato a deludere su tutta la linea. Era proprio il caso di bollarli col marchio dell'infamia accusando chi li caratterizzò di aver propagandato la vacuità dilagante elevando il velleitarismo a forma d'arte e l' effimero a codice esistenziale? No. Non era il caso. Gli anni Ottanta della musica popolare non sono stati soltanto un rincorrersi di gente vuota aggrappata al proprio look. Erano anche la morte di John Lennon (10 dicembre 1980) e l'impegno morale di onorarla. Ma cosa ha infastidito e lasciato un ricordo non sempre positivio degli anni Ottanta? Forse non solo ciò che appariva in superficie. Forse chi regnava nella musica era invisibile e ammaliante. Non 'governavano' gli uomini, ma le macchine. Non i contenuti, ma il modo di trasmetterli. Ed è per questo che ci si è dimenticato presto dei contenuti: perché gli anni Ottanta sono stati gli anni dei media e della campionatura, del cd e di altri nuovi sistemi di riproduzione (il videoregistratore su vasta scala). Sono stati gli anni dei supporti, che hanno spesso costretto produttori e utenti a privilegiare la comunicazione sulla necessità di comunicare. Ma sono stati anche gli anni della notizia. L'informazione sulla musica ha preso il sopravvento sulla musica stessa. I volti dei cantanti sono diventati più importanti della loro voce e qualcuno ne era talmente cosciente (Boy George e Madonna) che ha cercato di nascondere a lungo i propri limiti coprendosi di stracci coloratissimi o truccandosi fino a farsi dolere le braccia.Eppure, sotto la cenere di questo gigantesco falò tecnologico, covava la grande qualità di giovanotti capaci di staccarsi dal gruppo con due accordi di chitarra acustica. Artisti che si sono spremuti come limoni per la musica e che adesso non avrebbero la forza di ricostituire nemmeno un angolo della loro trascorsa esistenza sulla breccia. Ma sono loro ad aver costruito le fondamenta del tempo e ad aver dato un senso alla confusione, evitando che si determinasse una frattura con l'epoca di Dylan, di Bowie, di Springsteen. Basterebbe risentire i classici di Aztec Camera e Lotus Eaters, Pale Fountains e Sade, Tracy Chapman e Anita Baker, per capire che la storia della musica popolare debba fare un inchino e ringraziare.