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Giornata mondiale per il Darfur: facciamo finire il massacro


Oggi in tutto il mondo si tiene una "Giornata mondiale per il Darfur". La popolazione della regione del Sudan martoriata dalla guerra è ormai da tempo 'ostaggio' dello stallo dei negoziati tra Onu, Unione africana (Ua) e governo sudanese, che stride drammaticamente con la sofferenza che i civili stanno provando ogni giorno. Per tentare di far finire questi orrori Amnesty International, in concomitanza con una riunione delle Nazioni Unite, indetta per esaminare il continuo rifiuto del governo del Sudan di consentire l'invio di una forza di peacekeeping nella regione,
come disposto dalla Risoluzione 1706 del Consiglio di sicurezza, ha indetto l'iniziativa che oggi, si spera, possa raccogliere tanti consensi.  Le Sezioni dell'organizzazione di decine di paesi hanno organizzato iniziative a sostegno della forza dell'Onu che possa proteggere efficacemente i civili.Le situazione è preoccupante. L'autorità sudanese ha ultimamente minacciato di espellere le forze dell'Ua presenti in Darfur, qualora quest'ultima accetti di passare le consegne all'Onu. Il governo di Khartum ha inoltre lanciato un'offensiva militare nel nord della regione, che ha dato luogo a gravi violazioni del diritto umanitario quali i bombardamenti di aree civili. Mezzi e unit`a militari, secondo testimoni oculari, stanno affluendo di continuo in Darfur. "Riceviamo giorno dopo giorno sempre pi`u notizie di civili uccisi e di nuovi dispiegamenti di truppe da parte del governo" - ha denunciato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International. "Se Khartum continuer`a a rifiutare
l'ingresso della forza dell'Onu, il Consiglio di sicurezza dovr`a immediatamente imporre sanzioni mirate nei confronti delle autorit`a sudanesi". Il rifiuto da parte del governo del Sudan dell'ingresso dei peacekeeper dell'Onu arriva in un momento critico, poichfine del mandato dell'Amis, la missione di peacekeeping dell'Ua, è prevista per il 30 settembre. Questa circostanza rischia di determinare un vuoto di protezione per i civili del Darfur, che potrebbero subire ulteriori gravi violazioni dei diritti umani da parte dell'esercito sudanese e delle milizie filogovernative janjawid. Il governo del Sudan sembra agire con maggiore baldanza grazie al tacito sostegno di Russia, Cina e Qatar, i tre Stati membri del Consiglio di sicurezza che si sono astenuti sulla Risoluzione 1706. "Russia, Cina e i leader dei paesi arabi dovrebbero intervenire per
ottenere il consenso del Sudan all'invio dei peacekeeper dell'Onu, anzichitarsi in sterili discussioni sui tempi dell'applicazione della Risoluzione" - ha proseguito Khan. "Il governo sudanese è perennemente venuto meno al dovere di proteggere i civili del Darfur da gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Questa responsabilità a spetta ora alla comunità internazionale. La popolazione di questa regione ha bisogno di una comunità a internazionale unita a sostegno dell'unica opzione che può fornire loro effettiva protezione. Occorre la massima pressione sul governo di Khartum affinché accetti la presenza di una forza Onu.  La Risoluzione 1706, adottata dal Consiglio di sicurezza il 31 agosto, invita il governo del Sudan ad a
utorizzare una missione di peacekeeping dell'Onu, che espanderebbe la presenza dell'Onu in Darfur. Finora, il presidente sudanese Omar al-Bashir ha nettamente respinto la Risoluzione. Questa posizione è in forte contrasto con i desideri della popolazione del Darfur, che chiede una forza dell'Onu che le garantisca una protezione più efficace di quella fornita dai peacekeeper dell'Amis. Tutti i gruppi ribelli del Darfur - compresa la fazione di Minni Minawi, che ora è al governo - hanno espresso il proprio sostegno alla presenza dei peacekeeper dell'Onu. Anche il Movimento per la liberazione del popolo sudanese, attivo nel sud del paese e a sua volta facente parte del governo, ha preso posizione favorevole, come la maggior parte dei partiti politici. L'Au è favorevole a un passaggio di consegne all'Onu, le cui forze sarebbero meglio equipaggiate per proteggere i civili del Darfur.