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Post N° 274


Nel silenzio internazionale si consuma il dramma del
DarfurLa situazione in Darfur, la regione sudanese da anni percorsa da una sanguinosa guerra civile, è sempre più drammatica. Gli osservatori delle Nazioni Unite per i diritti umani in Darfur ritengono che il governo di Khartum sia responsabile dei bombardamenti avvenuti nei villaggi a nord della regione, durante i quali sono state uccise e ferite numerose persone e altre centinaia sono state costrette a lasciare le loro abitazioni. Il quadro umanitario, quindi, si fa sempre più grave e il governo sudanese continua a rifiutare l'invio dei caschi blu deciso con una risoluzione, dal Consiglio di Sicurezza, il mese scorso. Per far fronte all’emergenza, aggravata dagli attacchi dei guerriglieri filogovernativi Janjaweed, l’Unione africana ha intanto deciso ieri di aumentare le proprie forze schierate in Darfur da 7.000 a 11.000 uomini. Questa iniziativa, però, non cambierà, tanto meno migliorerà, la situazione.Ma cosa di fatto sta frenando il dispiegamento di un contingente delle Nazioni Unite in Darfur? Beh. tanto per cambiare sono gli interessi di molti paesi tra cui, tanto per cambiare, gli Stati Uniti.
Per entrare nello specifico, e capire quali siano questi 'interessi', vi consiglio di leggere la trascrizione dell'intervista di Giada Aquilino, giornalista di Radio Vaticana, a un noto africanista che scrive per il Corriere della Sera, Massimo Alberizzi.**********G. Perchè, secondo lei, permane una situazione di stallo in Darfur?A. - A frenare sono soprattutto gli interessi contrapposti di Stati Uniti, Cina e Russia. Gli Stati Uniti hanno perso le concessioni petrolifere e quindi mirano comunque a destabilizzare in qualche modo il Paese, a ricondurlo cioè in un’ottica più vicina a quella di Washington. E’ la Cina invece ad essersi impadronita delle concessioni petrolifere: Khartoum è piena di nuove costruzioni cinesi, negozi, ristoranti, una comunità grandissima. Inoltre, la Russia sta vendendo armi al governo e quindi si è creato un business. C’è poi il Sudan, che avendo connivenze con le milizie filo-governative, non ha alcun interesse ad andare contro gli stessi Janjaweed.G. - Sul terreno qual è la situazione? A. - Sono riprese le violenze contro i cittadini di origine africana, i ‘darfuriani’. E’ quindi ricominciata una grande impunità perché i 7000 uomini dell’Unione Africana schierati sul terreno sono male armati e non hanno possibilità di effettuare controlli. Prima gli aerei del governo bombardano i villaggi e poi i Janjaweed arrivano a uccidere, ammazzare, violentare…G. – Le forze africane rimarranno fino a fine anno: è stato infatti prolungato di qualche mese il mandato. Ma al Consiglio di Sicurezza dell’ONU invece qual è il dibattito?A. - Gli Stati Uniti cercano di convincere Russia e Cina a togliere la loro opposizione in sede ONU. Perché è passata la mozione che autorizza una forza di peacekeeping, ma con un codicillo: la missione ONU partirà solo se il governo sudanese sarà d’accordo. E appunto Khartoum non può essere d’accordo, anche perché alcuni dei vertici dei Janjaweed e della stessa amministrazione sudanese sono ricercati dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità.G. – Ma, in questo quadro, c’è il rischio di un nuovo Rwanda?A. – Sì, c’ è il rischio, forse meno impressionante. Per il Rwanda parliamo di 100 giorni di violenze, di un bilancio di morti che oscilla tra 800.000 e un milione. In Darfur ci sono 200.000 morti, in due anni e mezzo o tre di conflitto. Però il sistema è uguale.* G: giornalista: A.: Alberizzi