NeverInMyName

Diario di viaggio dall'Uganda... un'esperienza fantastica!.


Gorilla e tanta solidarietà: i regali di un paese nel cuore dell'Africa nera
Ritornata a luglio dall’ennesimo viaggio dall'altra parte del mondo, con tanta fatica e poca vacanza, mi ero ripromessa e soprattutto avevo promesso al mio compagno che a Natale avremmo organizzato una vacanza rilassante…Ma va!!! Ad ottobre avevamo già organizzato tutt'altro itinerario: l’Africa chiamava... ci mancava da due anni, e noi abbiamo risposto. Alla grande! Questa volta, anche per motivi di solidarietà, la destinazione scelta è stata l'Uganda. Eh sì... non solo partivamo per una nuova avventura, anche se per me più che una partenza è sempre un ritorno a casa, ma anche per un'esperienza di vita straordinaria, senza paragoni: l'incontro con la bimba adottata a distanza in questo splendido ma povero Paese, Leya, cinque anni e un sorriso che scioglie il cuore.Io e Stefano da tempo volevamo vedere anche l'Africa centrale (siamo già stati in Namibia, Botswana e Zambia) perchè solo in questa parte del continente vivono gli ultimi  gruppi di gorilla di montagna e anche perché offre la possibilità di vedere un’Africa diversa: qui non c’è il deserto come in Mali, il bush del Burkina Faso, il mare turchese di Zanzibar, la savana gialla del Botswana, né la terra rossa del Madagascar…qui il colore dominante è il verde! Il nostro viaggio è iniziato dalla capitale Kampala, vicina alle sorgenti del Nilo e al lago Vittoria, per proseguire poi verso nord nel parco delle Murchison Falls, il parco Queen Elisabeth con la tappa a Ishasa per vedere i leoni arrampicatori (game drive di 3 ore per vederne due esemplari bellissimi anche se mezzi addormentati). Emozione straorinaria, come quella della crociera sul Nilo, lungo il canale Kazinga, che collega il Lago Eduardo al lago Alberto, un paesaggio bellissimo e un’infinità di bufali, ippopotami, coccodrilli e uccelli che praticamente vivono a ridosso dei villaggi. Uno dei principali motivi per cui vale la pena andare in Uganda è proprio l’incredibile contatto che offre con la natura. L’incontro con gli animali è fin troppo ravvicinato: spesso gli ippopotami “pascolano” vicino alle tende, creando qualche situazione di panico dato che non sono famosi per essere animali affabili… Altro motivo: il popolo ugandese che a mio parere è tra i più cordiali dell’Africa…gli sguardi nei nostri confronti erano sempre curiosi e benevoli, soprattutto tra i ragazzi giovani e i bambini.E poi ci sono loro... i gorilla. Arrivare a loro non è facile. Solo chi ama l'ecoturismo e sa sacrificarsi e 'piegarsi' alla natura viene premiato con l'emozione grandissima di entrare in contatto con loro. Il trekking è durissimo. Cammini per ore nell'impenetrabile foresta di Bwindi. E solo se hai pazienza e tanta determinazione riesci a vederli. E vi giuro, con tutta me stessa, ne vale DAVVERO la pena.Quando i nostri trakers ci hanno detto che stavamo per vederli mi è balzato il cuore in gola. E quando li ho sentiti mi si è letteralmente fermato. E a un tratto eccoli lì,
vicinissimi a noi… tantissimi… grandi, piccoli, piccolissimi... ce n'era anche uno di appena un mese. Ma soprattutto c'era lui, Habinyanja il silverback (che da anche il nome al suo gruppo familiare)… una vera manifestazione di potenza! Grande, forte, fiero... seduto con la schiena dritta, ricoperta del caratteristico pelo argenteo, in una posizione regale. Magnifico. Quando il suo sguardo ha incontrato il mio è stato come se il tempo si fermasse... ma è stato un solo istante. Come richiesto dalla guida ho dovuto abbassarlo... questo grande gorilla si sente sfidato se lo si guarda dritto negli occhi e potrebbe reagire in modo aggressivo. Io stentavo a crederlo, ma il rispetto che mi incuteva quell''essere'- si perché di certo non può essere definito animale un ESSERE con quello sguardo - che avevo di fronte mi ha spinto a seguire le indicazioni del ranger. Peccato sia durato poco. Solo un'ora. Ma è stata un'esperienza indimenticabile. Indimenticabile è stata anche - anzi soprattutto - la mia visita al villaggio di Leya. Anche per arrivare da lei non è stato semplice. In jeep, accompagnata da un autista e dai volontari locali di Action Aid, ho percorso un centinaio di chilometri su una strada-non-strada, piena di buche e sassi. Alla fine del percorso avevo sedere e schiena indolenzita. Ma quando ho incrociato gli occhioni di questa dolcissima creatura, non ho più sentito nulla. Timida, impacciata, ha allungato la manina e quando gliel'ho stretta e l'ho delicatamente avvicinata a me per abbracciarla le brillava lo sguardo. Per tutto il tempo che sono rimasta lì con lei e la sua enorme famiglia, il padre ha tre mogli e latri 24 figli, non ha smesso un attimo di guardarmi, tenendo stretta a se i quaderni e i pennarelli che le avevo portato in regalo. Ma tutti i suoi familiari erano curiosi e contenti della mia visita. Mi hanno dedicato anche una canzone e un ballo tradizionale e consegnato un regalo, un grandissimo frutto esotico che mai avrei potuto portare in Italia, ma che per la sottoscritta è stato il dono più importante mai ricevuto. Che dire di più. Il dolore di andare via è stato pari alla gioia di averla incontrata. Ora mi rimane il ricordo di questa splendida esperienza, le foto e il suo disegno che per me ha il valore della più bella opera d'arte del mondo.