Creato da NeverInMyName il 09/11/2005

NeverInMyName

Gli orrori della guerra, una macchia sull'umanità. Per non vanificare il sacrificio di tante vittime, per non assistere inermi a un altro Vietnam, per non giustificare un'altra invasione come quella in Iraq. Per dire mai più a un altro Darfur: stand up togheter!

 

 

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Lapidazione, macabra pratica di individui senza umanità

Post n°305 pubblicato il 22 Ottobre 2006 da NeverInMyName

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Adultera lapidata da seguaci di Al Qaeda

BAGDAD - Una donna irachena di 22 anni, accusata di adulterio, è stata condannata a morte dai seguaci di Al Qaeda e poi lapidata in pubblico ad Al-Qaim, una cittadina situata 320 chilometri a nord-ovest della capitale Bagdad.
Lo hanno riferito fonti giornalistiche nella capitale irachena, che hanno anche precisato che la donna è stata lapidata di fronte all'intera popolazione della cittadina a ridosso del confine con la Siria, chiamata ad assistere all'esecuzione, secondo una consuetudine dei Taleban già adottata in Afghanistan.

Repubblica, 22 ottobre 2006

Cosa penso della pena di morte l'ho scritto più volte. L'atrocità di questo metodo punitivo, ancora attuato in tanti paesi del mondo, mi desta una profonda rabbia e un'angoscia senza fine. E se è possibile la lapidazione amplifica ulteriormente tali sentimenti. 

Lapidare qualcuno a morte non è solo un’orrenda violazione dei diritti dell’uomo, è una pratica abominevole, crudele oltre ogni umana comprensione. Ho letto un articolo di un giornalista testimone di una lapidazione: racconta di gente eccitata, priva di ogni segno di terrore e pietà sul volto, anzi. Sembrava che nel compiere un atto barbaro come quello provasse soddisfazione.

E tutto ciò è terribile quanto la condanna stessa.

Vi segnalo i paesi dove i governi permettono di utilizzare questo metodo per punire una donna riconosciuta adultera. Alcuni non la praticano da anni e la usano solo come minaccia. (Il testo è lungo e capisco quanti non se la sentano di leggerlo tutto...)

Dall'Afghanistan allo Yemen, la minaccia della lapidazione serve in genere a intimidire le donne che cercano di affermare se stesse. E' stato comunque l'Iran il primo paese in cui la lapidazione è tornata in auge con gli integralisti.
In Afghanistan durante il regime dei Talebani vi sono state molte lapidazioni in pubblico. Prima della guerra in Afghanistan i governi si erano opposti a pratiche quali la lapidazione, il taglio della mano e la flagellazione pubblica, e si riteneva ormai che fossero eventi che accadevano raramente in qualche zona rurale. Durante l’occupazione sovietica alcuni gruppi armati di Mujahedin incoraggiarono l’applicazione sommaria di queste forme di punizione ritenute “islamiche”. Nel 1993, ad esempio, a Sarobi, vicino a Jalalabad, dopo 8 anni di assenza un comandante militare rientrò nel suo paese alla testa della milizia Hezb-e Islami e trovò che la moglie si era risposata credendolo morto; ordinò quindi ai suoi uomini di lapidare la donna in pubblico. Sotto i Talebani vi fu un ulteriore aumento dell’uso di queste pene. Ad esempio nel marzo del 1997 la radio talebana Voce della Shari’ia informò che nella provincia di Laghman era stata lapidata un’adultera. Si ha anche notizia di una variante della lapidazione per gli uomini ritenuti colpevoli di 'sodomia': venivano sepolti sotto un muro fatto crollare sopra di loro. Ad esempio nel 1998 a Kotal Morcha, a nord di Kandahar un carro armato fu usato di fronte a migliaia di persone per far cadere un muro su tre uomini accusati di sodomia.
(sull'omosessualità e la shari'a si vedano i documenti della International Lesbian And Gay Association).

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In Arabia Saudita non c’è un vero e proprio codice penale, né un sistema giudiziario regolamentato. Gli imputati non hanno diritto ad un avvocato e i processi sono segreti e si basano esclusivamente sulla confessione, spesso estorta sotto tortura. Gli imputati non vengono informati della condanna e non vi è possibilità di appello: nei casi capitali il loro dossier viene soltanto “riesaminato” dal Consiglio Giudiziario Supremo, i cui membri, nominati dal Re, sono ritenuti responsabili dell’applicazione della shari’a. La pena consuetudinaria per l’adulterio è la morte tramite lapidazione.

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In Bangladesh, i tribunali del clero del villaggio, chiamati salish, emettono una fatwa contro quelle persone - in genere donne - ritenute colpevoli di aver violato il codice morale islamico. Tali condanne vanno dalla rasatura della testa alla lapidazione, passando per la fustigazione. Ogni anno si hanno notizie riguardo a decine di casi del genere. Va notato che ci sono anche ragioni economiche dietro questi editti religiosi; infatti i membri del salish ricevono una donazione, chiamata fatwabaz, ogni volta che emettono una fatwa. Inoltre, come evidenziato dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sull’intolleranza religiosa, le fatwa costituiscono un chiaro tentativo di “rintuzzare ogni tentativo di emancipazione delle donne”. In Bangladesh infatti sono stati i movimenti femministi i primi a schierarsi contro questo sistema giudiziario parallelo, senza regole, né leggi.
Nel 1993 Nurjahan Begum, di 21 anni, dopo essere stata abbandonata dal marito aveva ottenuto il permesso di risposarsi dall'autorità religiosa del suo villaggio. Nel gennaio del 1993 però, il salish la condannò alla lapidazione insieme al nuovo marito, Motaleb, per aver consumato un matrimonio “non islamico” e i genitori di lei alla pena di cinquanta frustate per aver accettato il secondo matrimonio della figlia: l'annullamento del precedente matrimonio non veniva considerato valido e Nurjahan veniva considerata un'adultera. Venne sepolta fino al petto e lapidata a morte dagli abitanti del villaggio, mentre il marito riuscì a sopravvivere alla lapidazione. Anche grazie all’intervento di Amnesty International, un tribunale del Bangladesh condannò 9 uomini a sette anni per aver partecipato alla lapidazione di Nurjahan Begum. Nonostante questa importante sentenza, i salish hanno continuato a emettere condanne ed a farle eseguire. Nel gennaio del 2001, dopo che due nuovi giudici erano stati nominati alla Corte Suprema del Bangladesh - Mohammad Gholam Rabbani e Nazmun Ara Sultana, la prima donna a ricoprire un simile incarico -, la Corte Suprema ha stabilito che gli editti emessi dal clero musulmano sono illegali ed ha chiesto che il parlamento legiferi in modo da rendere l’emissione di una fatwa un reato punibile dalla legge. Dopo un anno però non vi erano ancora stati progressi riguardo a questa proposta.
Anche negli Emirati Arabi Uniti esiste la pena della lapidazione. Nel febbraio del 2000 Kartini bint Karim, cittadina indonesiana, fu condannata alla lapidazione per adulterio da una corte islamica nell'Emirato di Fujairah. In appello la condanna venne commutata in un anno di carcere e nella deportazione in Indonesia.

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In Nigeria, con l’introduzione del diritto islamico negli stati del nord, è stata introdotta la pena della lapidazione, oltre che altre pene crudeli e disumane come il taglio degli arti e la fustigazione. Safya Husseini, nello stato di Sokoto, è stata la prima ad essere condannata alla lapidazione per adulterio. Dopo la mobilitazione internazionale, la condanna è stata ritirata in appello nel marzo scorso, e il governo federale ha dichiarato incostituzionale la Shari’ia. Le condanne alla lapidazione per adulterio però continuano. Amina Lawal Kurami, nello stato di Katsina, è stata condannata nel marzo 2002 e la sentenza è stata ribadita nell'agosto dello stesso anno. La Comunità di Sant’Egidio ha lanciato una petizione per salvare Amina, che può essere sottoscritta sul loro sito. Anche un uomo, Yunusa Rafin Chiyawa, è stato condannato per aver confessato di aver avuto rapporti sessuali con la moglie di un amico, Aisha Haruna. La donna ha detto di essere stata ipnotizzata e per questo è stata scagionata, l’uomo invece ha confessato in tribunale, dove la seduta è stata aggiornata per permettergli di pensare alle conseguenze della sua ammissione di colpa, ma l’uomo ha ribadito la sua confessione ed è stato condannato alla lapidazione alla fine di giugno del 2002. In Somalia, a causa della guerra civile, le strutture giudiziarie sono collassate. I tribunali islamici nati a livello locale sembra abbiano spesso condannato a pene quali il taglio delle mani o dei piedi e anche alla lapidazione. Ad esempio nell’aprile del 2000 un tribunale islamico vicino a Merca nella regione Shebelle inferiore sembra abbia giudicato colpevole una donna per poligamia e l'abbia condannata a morte per lapidazione. L’esecuzione sarebbe stata sospesa perché la donna era incinta. In Sudan il 17 gennaio del 2002 è giunta notizia di Abok Alfa Akok, una ragazza di 18 anni cristiana della tribù Dinka, condannata alla lapidazione per adulterio dalla da un tribunale islamico a Nyala, Darfur meridionale. La rete dei tribunali islamici locali era stata creata dal fondamentalista sudanese Hassan el Turabi; il loro controllo da parte del governo centrale è difficile. La sentenza è stata revocata dalla Corte suprema non appena la notizia era divenuta un fatto di pubblico dominio.

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Nello Yemen, si ha notizia di un uomo "giustiziato" tramite lapidazione nel gennaio del 2000. L'esecuzione sarebbe durata oltre quattro ore prima che l'uomo morisse. Era stato ritenuto colpevole di aver violentato e ucciso la figlia. In Pakistan, invece, la Legge sulla fornicazione (zina) rende punibile questo “reato” con flagellazione pubblica o lapidazione. Vengono ritenute colpevoli di zina anche le donne violentate che non riescono a provare di non essere state consenzienti, e per farlo è necessaria la confessione dello stupratore o la testimonianza di 4 musulmani di buona reputazione che siano stati testimoni oculari del fatto. La testimonianza delle donne non è considerata valida. Nel 1987 Shahida Parvin fu condannata alla lapidazione dopo che un tribunale aveva deciso che la relazione con il suo secondo marito non era valida perché il primo marito aveva negato di aver divorziato da lei. In appello però fu prosciolta. Di recente (maggio 2002) Zafran Bibi è stata condannata a morte tramite lapidazione per adulterio. Era rimasta incinta mentre il marito era in prigione. L'avvocato ha fatto ricorso e il caso sarà esaminato dalla Corte di Appello. Il marito infatti la difende e sostiene essere riuscito ad avere un incontro clandestino con la donna mentre era in carcere. Se non verrà assolta, Zafran Bibi sarà la prima donna ad essere lapidata legalmente in Pakistan.
Ci sono stati infatti alcuni casi di linciaggi tramite lapidazione da parte di folle esaltate. Nel 1994 a Gujranwala un musulmano fu lapidato e bruciato da una folla inferocita dopo che si era sparsa la voce che avesse bruciato alcune pagine del Corano. Nel 1995 a Shab Qadar due appartenenti alla “setta” musulmana degli Ahmadi sono stati attaccati da una folla inferocita e uno dei due è stato lapidato. Decine di Ahmadi sono stati uccisi in modo simile. In ogni caso il Pakistan, come anche la Libia, pur avendo adottato la shari’ia con le sue pene più estreme, come la lapidazione e l’amputazione degli arti, in realtà non le applica mai.

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In Iran, l’articolo 83 del Codice Penale, chiamato legge dello Hodoud, prevede la pena di 100 frustrate per coloro che, non essendo sposati, commettono sesso fuori dal matrimonio; gli adulteri invece vengono puniti con la lapidazione. Dalla rivoluzione islamica di Khomeini si ha notizia di almeno una sessantina di casi di lapidazione, nella stragrande maggioranza dei casi di donne. Tali notizie, raccolte da agenzie stampa e organizzazioni femministe, riguardano prevalentemente casi accaduti in grandi città, mentre resta difficile avere notizie dei casi di lapidazione accaduti in zone più remote. Tali cifra quindi va presa come un flebile indizio di quanti casi possono essere realmente accaduti.
Nonostante la legge islamica preveda che chi riesce a fuggire dalla lapidazione debba essere graziato, sembra che questo non sempre accada, soprattutto se è la donna a riuscire a fuggire. Il 10 agosto del 1994 nella città di Arak, in Iran, una donna venne condannata alla lapidazione per adulterio. Il giudice religioso aveva imposto che i figli e il marito fossero costretti ad assistere alla lapidazione. Dalla fossa in cui era stata intrappolata, la donna chiese al marito di portare via i figli, ma gli fu impedito. Mentre veniva lapidata, nonostante le fossero stati cavati gli occhi, la donna riuscì a tirarsi fuori dalla fossa e a scappare. Le guardie però la ricatturarono e le spararono. Qualche anno prima a Qom, sempre in Iran, una donna era fuggita dalla fossa, ma era stata catturata, risepolta e la lapidazione era quindi stata portata a termine. Il giudice religioso responsabile di Qom, Mullah Karimi, disse al giornale “Ressalat”, il 30 ottobre del 1989: “I decreti religiosi prevedono che la donna sia lapidata sulla base di testimonianze. Anche se era scappata nel bel mezzo dell’esecuzione, doveva quindi essere ricatturata e lapidata a morte”. Nel 1997 fece notizia in tutto il mondo il caso di Zoleykhah Kadkhoda: lapidata e dichiarata morta, si risvegliò all’obitorio, fu portata all’ospedale e le sue condizioni migliorarono. Grazie alla mobilitazione internazionale, fu graziata.
Secondo il Consiglio Nazionale della Resistenza, un’organizzazione che raduna tutti gli oppositori al regime fondamentalista iraniano, la lapidazione è indispensabile al clero islamico per terrorizzare la popolazione persiana. Durante la preghiera del Venerdì, nel maggio del 1998 a Kermanshah, il Mullah Zarandi ha detto a proposito della lapidazione: “Le forze di sicurezza devono mostrarsi più presenti nella società. Per dare un esempio agli altri, il sistema giudiziario dovrebbe prendere qualcuno che lo meriti, portarlo in una pubblica piazza e tagliargli la mano Devono anche lapidare un po’ di persone. In questo modo prometto che la società sarà raddrizzata”. Eppure in Iran sembra che la gente non sopporti più la brutalità dei tribunali e della polizia religiosa. Nell’agosto del 2001, mentre era in corso una campagna di esecuzioni pubbliche tramite impiccagione, la polizia nel Sud-ovest di Teheran ha dovuto lanciare gas lacrimogeni e caricare una folla che aveva cercato di salvare un condannato e impedirne l’impiccagione, lanciando sassi e bastoni alle forze dell’ordine e chiedendone la grazia.
Fra le vittime più recenti della lapidazione, ricordiamo Maryam Ayoubi, 30 anni, lapidata a morte, la mattina dell’11 luglio del 2001 perché ritenuta colpevole di tradimento e assassinio del marito. Il mese prima, il 24 giugno, Robabeh era stata frustata 50 volte e quindi lapidata per adulterio. Il suo amante era stato condannato a 100 colpi di frusta e all’impiccagione.
Questi casi di lapidazione, come almeno altri sette di cui si ha notizia, sono avvenuti sotto la presidenza del “riformista” Khatami, a dimostrazione di quanto l’applicazione della legge sia ancora prerogativa del clero islamico fondamentalista. Khatami ha nominato sua vicepresidente una donna, Massoumeh Ebtekar. Quando le è stato chiesto cosa ne pensava della lapidazione, ha cercato di non rispondere e ha poi detto che in linea generale è necessaria, ma che avviene soltanto in zone remote del paese.
Durante il regime del "riformista" Khatami si ha notizia di circa 18 lapidazioni. L'ultima condanna sarebbe stata emessa a a febbraio del 2002.

 
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